martedì 30 settembre 2008

Ancora razzismo o, forse, non era razzismo?

Uno studente ghanese ha presentato denuncia: scambiato per un pusher, sarebbe stato picchiato e offeso dai vigili urbani
La storia del "negro" Emmanuela Parma è di nuovo scandalo
La Procura apre un'inchiesta, il comandante difende i suoi: "Si è ferito da solo, una caduta fortuita"dalla nostra REDAZIONE

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Emmanuel Bonsu
PARMA - Il volto tumefatto dello studente ghanese e la sua denuncia ("sono stato insultato e picchiato dai vigili") incendiano il dibattito politico nella città della sicurezza. Un ritorno di fiamma che investe le istituzioni di Parma a poche settimane dalla foto di una prostituta accasciata a terra sul pavimento di una cella della polizia municipale. La procura ha aperto un'inchiesta affidata al sostituto procuratore Roberta Licci. Chiede ai carabinieri che hanno raccolto la denuncia del giovane di non diffondere informazioni. Hanno disposto una visita medica per il ragazzo. Nel frattempo, anche il Comune cerca di far luce sull'episodio. L'assessore alla sicurezza Costantino Monteverdi ha convocato una riunione con i dirigenti della polizia municipale. Del caso si sta interessando anche l'Ufficio antidiscriminazioni del ministero delle Pari opportunità. La Cgil parla di "episodio sconcertante e di una gravità inaudita". Il caso diventa nazionale con interrogazioni e prese di posizione dell'intera opposizione, dalla Sereni a Ferrero. IL VIDEO-TESTIMONIANZA - IMMAGINI - Emmanuel Bonsu si è presentato ai carabinieri insieme alla sua famiglia, con in mano una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e un verbale del pronto soccorso. Spaventato più che arrabbiato, ha mostrato una busta del Comune di Parma con la scritta "Emmanuel negro" (LA FOTO). Dice che gliel'hanno data i vigili quando, dopo cinque ore passate nella cella del comando, lo hanno rilasciato. Il comandante della polizia municipale Emma Monguidi ipotizza che sia stato lui stesso a fare quella scritta e spiega che l'occhio nero è il frutto di una caduta a terra, rovinosa e fortuita: voleva sottrarsi ai controlli.
Cercavano uno spacciatore, ma in manette c'è finito uno studente che, ironia della sorte, sta per iniziare a lavorare come volontario in una comunità di recupero per tossicodipendenti. In attesa dell'esito degli accertamenti, è la politica a occupare la scena. Da giorni s'interroga sulle sette ordinanze anti-degrado firmate dal sindaco Pietro Vignali sulla scia del decreto Maroni. Ordinanze che colpiscono prostitute, clienti, accattoni, gente che schiamazza e che butta i mozziconi di sigaretta per terra. La scorsa settimana è stato annunciato l'arrivo di un elicottero, unità cinofile, diciotto nuovi agenti e manganelli per i vigili urbani. Ma ci si interroga sull'opportunità di affidare a questi ultimi compiti di polizia, per i quali non sono adeguatamente preparati.
(30 settembre 2008)

Da "Repubblica on line"

sabato 27 settembre 2008

Arriva il Patto Ue sull’immigrazione



Stop alle regolarizzazioni di massa: arriva il Patto Ue sull'immigrazione



Immigrati fermati dalla polizia italiana


Sarkozy tira un sospiro di sollievo: dopo le tensioni emerse nel luglio scorso a Nizza, i ministri dell'Interno e della Giustizia dei 27 Stati membri dell'Ue hanno approvato giovedì 25 settembre all'unanimità ilPatto europeo sull'immigrazione e l'asilo proposto dalla presidenza di turno francese. Il sì definitivo ci sarà solo al Summit dei capi di Stato Ue il prossimo 15 e 16 ottobre 2008, ma - assicurano a Panorama.itfonti europee di Bruxelles - "il voto sarà una pure e semplice formalità": gli ostacoli politici, in sostanza, sono stati superati. Esiste da oggi una politica migratoria comune.
In cima all'agenda politica della presidenza di turno francese, il Patto - che cerca di coniugare rigore contro l'immigrazione clandestina e necessità di integrare i regolari - si pone cinque obiettivi principali: "Organizzare l'immigrazione legale tenendo conto delle priorità, dei bisogni e delle capacità di accoglienza di ogni Stato membro e favorire l'integrazione; lottare contro l'immigrazione clandestina, favorendo il ritorno degli stranieri in situazione irregolare nel loro paese di origine oppure verso un paese di transito; potenziare i controlli alle frontiere; attuare una procedura unica per la richiesta di Asilo (entro il 2012,ndr); creare un partenariato globale con i paesi di origine e di transito per favorire le sinergie tra le migrazioni e lo sviluppo".
Stop alle regolarizzazioni di massa. Sul fronte della lotta contro l'immigrazione clandestina, spicca la decisione di porre fine alle regolarizzazioni di massa. Sarà anche reso obbligatorio da qui al 2012 il visto biometrico e saranno regolamentati i ricongiugimenti familiari in base alla disponibilità di alloggi o la conoscenza della lingua del paese di accoglienza.
Altra novità: la "blue card". Ispirandosi al sistema della "green card" americana, l'Ue intende privilegiare l'accesso sul suo territorio di una manodopera straniera altamente qualificata attraverso l'attribuzione di un permesso di soggiorno ad hoc. Per il presidente della Commissione Libertà Civili, Giustizia e Affari interni del Parlamento europeo, Gérard Duprez, il Patto consente "per la prima volta all'Ue di organizzare i flussi migratori in funzione dei suoi bisogni". Ma non tutti sono d'accordo. Contattato da Panorama.it, un portavoce dell'African Diaspora Policy Centre, un think tank influente di Amsterdam, sostiene che l'Europa "non può pensare di accappararsi le menti più brillanti del nostro continente. I governi africani spendono tempo e denaro a formare medici o informatici per poi vederseli scappare nel Nord del mondo". Secondo l'Organizzazione mondiale delle Migrazioni (OIM), ogni anno circa 20.000 africani altamente qualificati lasciano il continente per i paesi ricchi. Un danno pari a quattro miliardi di euro annui che colpisce i settori sanitari e educativi, entrambi cruciali per lo sviluppo dell'Africa.



LEGGI ANCHE: Il Vaticano polemico col governo: segnali di intolleranza





VATICANO CONTRO IL GOVERNO


Sull'Osservatore romano duro articolo di don Vittorio Nozza, responsabile
della Caritas italiana. Dubbi anche sul Piano Ue che sarà discusso a ottobre

Il Vaticano critica il governo
"Sugli immigrati c'è intolleranza"

Il Pd: "L'esecutivo ascolti, e su temi così delicati mosstri meno spocchia"


Il Vaticano critica il governo "Sugli immigrati c'è intolleranza"
CITTA' DEL VATICANO - L'Osservatore Romano critica oggi - con parole severe - il "giro di vite" adottato dal governo italiano sui ricongiungimenti degli immigrati e i richiedenti asilo, e allo stesso tempo attacca le politiche europee che prevedono "restrizioni, ostacoli e barriere" all'immigrazione. Lo si legge in un articolo di prima pagina firmato dal responsabile della Caritas italiana don Vittorio Nozza, che scrive: "Intristisce quando, dal mondo politico, arrivano segnali contrari che alimentano un clima di paura e intolleranza". Immediata la reazione del Pd: "L'esecutivo ascolti, e mostri meno spocchia".

Nell'articolo dell'Osservatore, si fa riferimento è al Patto per l'immigrazione e il diritto d'asilo che dovrebbe essere adottato dal vertice europeo dei capi di Stato e di Governo del prossimo 15 ottobre. Parlando sia di questo complesso di norme, sia delle restrizioni italiane sul diritto d'asilo, il numero uno della Caritas sostiene che i principi di accoglienza, tolleranza e convivenza fra i popoli non sono più condivisi, di fronte alla svolta culturale xenofoba in atto.

"Ci si deve interrogare - spiega don Nozza- circa i cambiamenti culturali in atto. E' evidente che il solo appello -pur necessario- ai valori presenti nella cultura istituzionale e nel diritto internazionale (si prenda il caso dell'asilo) non sono più considerati valori comuni.
Esistono più voci, nell'informazione, nella cultura, nelle forze politiche, che spingono a forme più o meno raffinate, di diffidenza, intolleranza, contrasto, violenza". "E' urgente pertanto - prosegue il testo - una rinnovata tensione e azione pedagogica. In quest'ottica deve essere chiaro che quando la Chiesa predica i valori di rispetto della dignità, solidarietà, condivisione tra i popoli, di incontro tra le culture e le religioni non fa battaglie politiche ma precisa solo i presupposti sui quali la politica deve costruire".

Per questo - conclude l'articolo - "intristisce quando, dal mondo politico, arrivano segnali contrari che - per mitigare le frustrazioni di chi vede riflesse nell'altro, nel diverso le proprie insicurezze- alimentano un clima di paura e di intolleranza. Tanto che nella dimensione locale del vivere si accentuano tendenze di chiusura autarchica e di arroccamento sociale".

E poco dopo arriva la reazione del Pd, secondo cui l'esecutivo il governo non può continuare a ignorare gli appelli alla tolleranza arrivati prima dal Vaticano e, oggi, dall'Osservatore romano, A parlare è il ministro ombra dell'Interno, Marco Minniti: "Mi auguro fermamente che questa volta il governo dimostri sensibilità e capacità di ascolto. A tutto ciò non si può continuare a rispondere, come si è fatto finora, con una semplice alzata di spalle. Su temi così delicati e complessi un po' meno di spocchia non guasterebbe".

http://www.repubblica.it/interstitial/interstitial1319862.html

mercoledì 24 settembre 2008

Il governo tradisce i diritti umani

Migranti, il Vaticano attacca il governo
"Tradisce i diritti umani e gioca al ribasso"

ROMA - Con gli ultimi provvedimenti presi in materia di immigrazione, restrittivi sui ricongiungimenti familiari e sui richiedenti asilo, il governo "si allontana sempre di più, e non solo nel tempo, dallo spirito della lettera di quei diritti umani che trovarono possibilità di essere espressi perché si proveniva forse dagli orrori di una guerra mondiale. Eppure l'uomo e la donna sono gli stessi, hanno bisogno di protezione, specialmente nei casi in questione". La dura presa di posizione arriva da monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti che già a più riprese aveva criticato la politica verso gli immigrati dell'attuale governo e dell'Unione europea.

In sostanza, afferma il prelato in un'intervista a Radio Vaticana, l'esecutivo italiano gioca "al ribasso" sui diritti umani degli immigrati.

Sui temi e le problematiche relative all'immigrazione erano intervenuti di recente anche il Papa e il presidente dei vescovi italiani, cardinale Angelo Bagnasco.

(24 settembre 2008) Tutti gli articoli di politica

China and Africa

CHINA'S QUEST FOR RESOURCES
A ravenous dragon
Mar 13th 2008 From The Economist print edition

China's hunger for natural resources has set off a global commodity boom. Developed countries worry about being left high and dry, but the biggest effects will be felt in China itself, says Edward McBride (interviewed here)
Newspix
BESIDE the railroad track, between two hillocks of rust-red soil in the midst of Congo's mining belt, three Chinese labourers appear as if from nowhere. There are lots of Chinese around these days, explains one of their compatriots, Harvey Lee, who is driving through the scrub to the nearby copper plant he runs for a Canadian metals firm. On his way, he points out several rudimentary smelters. “That one”, he says, waving at a clump of corrugated-iron sheds and belching chimneys, “is owned by a man from Shanghai.” Moments later, when another ramshackle compound comes into view, he adds, “and that one belongs to two ladies from Hong Kong.” In all, he reckons, Chinese entrepreneurs have set up half of Lubumbashi's 50-odd processing plants.
All around Lubumbashi, the capital of Congo's copper-rich province of Katanga, there are signs of a sudden Chinese invasion. Chinese middlemen have begun buying ore from the area's many wildcat miners and selling it on to processing plants like Mr Lee's. Locals point out several villas in the city's leafy colonial cantonment that are occupied by mysterious Chinese businessmen. Katanga Fried Chicken, hitherto Lubumbashi's most popular restaurant, now has three busy Chinese competitors.


If all goes according to plan, these fledgling businesses will soon be overshadowed by Chinese investment on a much grander scale. In late 2007 the Congolese government announced that Chinese state-owned firms would build or refurbish various railways, roads and mines around the country at a cost of $12 billion, in exchange for the right to mine copper ore of an equivalent value. That sum is more than three times Congo's annual national budget and roughly ten times the aid that the “consultative group” of Western donors has promised the country each year until 2010. The Chinese authorities, it seems, are so anxious to obtain enough minerals to sustain their country's remarkable economic growth that they are willing to invest billions in a dirt-poor and war-torn place like Congo—billions more, in fact, than Western governments and investors combined are putting in.
And Congo is not the only beneficiary of China's hunger for natural resources. From Canada to Indonesia to Kazakhstan, Chinese firms are gobbling up oil, gas, coal and metals, or paying for the right to explore for them, or buying up firms that produce them. Ships are queuing off Australia's biggest coal port, Newcastle, to load cargoes destined for China (pictured above); at one point last June the line was 79 ships long. African and Latin American economies are growing at their fastest pace in decades, thanks in large part to heavy Chinese demand for their resources.
China's burgeoning consumption has helped push the price of all manner of fuels, metals and grains to new peaks over the past year. Even the price of shipping raw materials recently reached a record. Analysts see little prospect of an end to the boom; the prices of a few commodities have fallen on the back of America's worsening economic outlook, but others, including oil, wheat and iron ore, continue to set new records. China, with about a fifth of the world's population, now consumes half of its cement, a third of its steel and over a quarter of its aluminium. Its imports of many natural resources are growing even faster than its bounding economy. Shipments of iron ore, for example, have risen by an average of 27% a year for the past four years. Western mining firms are enjoying a sustained boom.
Unwelcome advances
But China's sudden global reach is generating as much anxiety as prosperity. In 2005 America's congressmen, citing nebulous national-security concerns, scuppered the proposed takeover of Unocal, an American oil firm, by CNOOC, a state-owned Chinese one. The opposition candidate in Zambia's presidential election in 2006 made a point of attacking the growing Chinese presence in the country. Residents of Russia's far east fear that China is planning to plunder their oil and timber and perhaps even to colonise their empty spaces.
Some non-governmental organisations worry that Chinese firms will ignore basic legal, environmental and labour standards in their rush to secure resources, leaving a trail of corruption, pollution and exploitation in their wake. Western companies fret that the Chinese state-owned firms with which they suddenly find themselves competing have an agenda beyond commercial gain. The Chinese government, they say, is willing to pay over the odds for mining or drilling rights to secure access to physical resources. It also intervenes unfairly on its companies' behalf, they claim, by offering big aid packages to countries that welcome Chinese investment. All this, it is feared, will dent the profits of big oil and mining firms, stoke inflation and imperil the West's access to resources that it needs just as much as China does.
Diplomats and pundits, for their part, fear that the West is “losing” Africa and other resource-rich regions. China's sudden prominence, according to this view, will reduce the clout of America, Europe and other rich democracies in the developing world. China will befriend ostracised regimes and encourage them to defy international norms. Corruption, economic mismanagement, repression and instability will proliferate. If this baleful influence spreads too widely, say the critics, the “Washington consensus” of economic liberalism and democracy will find itself in competition with a “Beijing consensus” of state-led development and despotism.
Such fears are not entirely groundless if the recent conduct of some of Congo's neighbours is anything to go by. Angola, to the south, has been receiving so much aid and investment from China that in 2006 it decided it had no need of the International Monetary Fund's billions and all the tiresome requirements for transparency and sound economic management that come with them. Sudan, to the north, has shrugged off Western threats and sanctions over the continuing atrocities in Darfur, thanks in large part to China's readiness to invest in Sudanese oilfields and buy their output. Farther afield, China's eagerness to do business in Myanmar, and its consequent reluctance to chide the tyrannical generals that run the place, helped to prevent a forceful international response to the violent repression of peaceful demonstrations there last year.
Nonetheless, this special report will argue that concerns about the dire consequences of China's quest for natural resources are overblown. China does indeed treat some dictators with kid gloves, but it is hardly alone in that. Its companies do not always uphold the highest standards, but again, many Western firms are no angels either. Fifty years of European and American aid have not succeeded in bringing much prosperity to Africa and other poor but resource-rich places. A different approach from China might yield better results. At the very least it will spur other donors to seek more effective methods.
For all the hue and cry, China is still just one of many countries looking for raw materials around the world. It has won most influence in countries where Western governments were conspicuous by their absence, and where few important strategic interests are at stake. Moreover, as China is becoming more involved in places such as Congo, its policies are beginning to change. It has promised to co-operate with the World Bank in its development efforts in Africa. It no longer seems prepared to back its most objectionable allies in the face of international opprobrium. Its diplomats, for example, did eventually stop parroting their line about unwarranted interference in the internal affairs of a sovereign state and allow United Nations peacekeepers to be deployed in Sudan.
The saga over Sudan shows how sensitive the Chinese authorities have become to criticism, despite their impassive reputation. When Steven Spielberg resigned as an adviser to the Beijing Olympics in protest at China's failure to do more about Darfur, a shrill chorus of criticism arose from China's official media—suggesting that such gestures do indeed have an impact.
Chinese companies will inevitably find themselves in fierce competition with Western ones for natural resources, as they must if global markets are to work efficiently. For the most part, however, they do not operate very differently from their peers. To the extent that the Chinese government does subsidise oil production, it helps to bring down the price for everyone else (its subsidies for oil consumption are another matter). As the world's biggest consumer of many commodities, China naturally wants to ensure a steady supply of them to keep its economy going. But markets for commodities are global, and the risk of any one consumer cornering supplies, or securing them at a lower price, is negligible.
Own goal
The worst fallout from China's quest for natural resources will be seen not in the countries they come from, nor in the countries that are competing for supplies, but in China itself. Over the past few years the volume of raw materials it consumes per unit of output has risen sharply. In particular, China has gone from miser to glutton in its use of energy, and is now struggling to diet. That has involved bigger imports of oil, gas and coal, and so more foreign entanglements. But it has also led to the rapid depletion of resources that China cannot import, such as clean air and water.
China is building a huge stock of grimy heavy industry, just as its coastal provinces are getting rich enough to care about the consequences. Protests about environmental issues are on the increase. There is not enough water in the Yellow River basin, which covers a huge swathe of northern China, to supply both farmers and factories. Acid rain from coal-fired power plants is reducing agricultural yields, raising the spectre of increased rural unrest. As it is, the authorities are struggling to ensure that the air will be fit for athletes to breathe at the Olympics in Beijing this summer. All the while, the number of noxious steel mills, cement kilns and power plants relentlessly increases. Global warming, which is fed by their fumes, will make all these problems even worse.
Environmental concerns are unlikely to bring down the Communist regime, or even to stir as much resentment as the arbitrary confiscation of land currently does among China's poorest. But those concerns are certainly prompting the government to reflect on what sort of economic path it wants to pursue. So far, its efforts to temper economic growth, encourage energy efficiency and wean the country off heavy industry have had little effect. But continued failure would eventually make China a less prosperous and more unstable place.

Dove vanno il latte ed i cibi adulterati?

23/09/2008
Il latte ai poveri
Scritto da: Fabio Cavalera alle 16:28
Lo scandalo del latte "arricchito" con la melamina è l'ultimo di una lunga serie. Forse il più odioso. E per almeno quattro ragioni:
1) i protagonisti - imprenditori e dirigenti sia della pubblica aministrazione sia del partito - erano perfettamente a conoscenza dell'avvelenamento, sapevano che stavano vendendo un prodotto tossico o ne stavano autorizzando la vendita. Non si è dunque trattato di un errore ma di quello che in altre parole si potrebbe definire un volontario tentativo di strage;
2) i numeri (22 aziende coinvolte, 13 mila bambini ricoverati, 53 mila sotto osservazione medica) chiamano in causa non un singolo o pochi individui senza scrupoli ma l'intero sistema, giacchè la questione del cibo adulterato resta irrisolta da anni, dando l'impressione (e alla fine la certezza) che nessuno abbia la voglia di invertire la rotta considerando la salute pubblica più importante del profitto;
3) i consumatori sono stati scientificamente raggirati, poi per settimane tenuti all'oscuro sulla gravità delle analisi effettuate, in nome di un obiettivo più alto (la perfetta riuscita delle Olimpiadi) smentendo con ciò chi sperava che la Cina avesse scelto la stada di una maggiore trasparenza comunicativa;
4) il latte tossico oltre che a bambini era destinato soprattutto ai Paesi poveri del Terzo Mondo, in Asia e in Africa (questo è un particolare sfuggito a molti).
Si dirà che anche nel mondo industriale avanzato si sono verificati casi simili. E' vero: chi dimentica il vino al metanolo in Italia? Ma, a parte che quello era un episodio isolato (nessuna giustificazione, per carità) e che i responsabili hanno pagato con alcuni anni di carcere (come era sacrosanto), viene da chiedersi per quale motivo in Cina la contraffazione del cibo sia una pratica tanto diffusa e le più elementari regole di tutela della saluta pubblica siano poco più di una fastidiosa litania. E' solo colpa della sfrenata corsa ai profitti che ha generato egoismo? O è perchè la classe dirigente cinese offre un esempio di eticità politica assai discutibile? O, ancora, è perchè il senso della legalità non ha messo radici profonde? Possibile che la Cina non faccia tesoro degli errori altrui e in particolare delle negatività proposte dal modello occidentale?
La Cina rivendica giustamente la sua via e la percorre. Non si occidentalizza ma si modernizza però emula il nostro peggio. E addirittura lo amplifica come se la Storia non fosse lì da leggere. Questo è il grave. E non vi è una giustificazione. La circostanza che il prodotto tossico fosse destinato ai poveri dell'Asia e dell'Africa può dare ragione al settimanale inglese Economist quando qualche mese addietro titolò in prima pagina "I nuovi colonialisti". Provocatorio. Ma lo scandalo del latte rafforza il sospetto che un certo tarlo si sia insinuato nella cultura politica ed economica della Cina. Sarà capace Pechino di cancellare i dubbi?
dal Corriere della Sera on line

e...la strage continua

Il barcone avvistato nei giorni scorsi ma il maltempo ha reso impossibili le ricerche
La tragedia avvenuta probabilmente fra venerdì e sabato. Proseguono le ricerche
Immigrazione, naufragio a Malta
Recuperati decine di cadaveri

LA VALLETTA - Strage di immigrati al largo di Malta. Recuperati decine di cadaveri a circa 30 miglia dalla costa. Secondo il quotidiano locale L-Orizont, gli annegati sarebbero almeno 35. Il barcone, stracarico di clandestini, era stato avvistato da un elicottero tedesco nei giorni scorsi. Nonostante il mare grosso e venti forti, un aereo militare ed una motovedetta della marina maltese avevano perlustrato lo specchio di mare indicato dal pilota dell'elicottero, ma il barcone non fu trovato. Le ricerche sono proseguite sabato scorso per tutta la giornata senza successo. Solo ieri sera, l'incrociatore francese Arago ha avvistato i corpi. Le autorità ritengono quindi che il naufragio sia avvenuto fra venerdì e sabato. Ma il mare si è di nuovo ingrossato e le ricerche sono state sospese. Appena un mese fa, sempre al largo dell'isola di Malta, 70 clandestini caddero in mare da un barcone carico di clandestini: furono recuperati solo 8 cadaveri. L'ultima tragedia di un'infinita catena di disgrazie del mare accadute sulle rotte della speranza. La maggior parte dei migrati che raggiungono Malta o che sono aiutati a largo delle coste dell'isola partono dai porti libici. Medici senza frontiere Italia ha recentemente fatto riferimento ad un bilancio di 380 clandestini morti nel canale di Sicilia - il braccio di mare situato nel Mare Mediterraneo tra la Sicilia e la Tunisia - durante i primi sei mesi di quest'anno, dopo i 500 nel 2007. Secondo il bilancio dell'associazione Fortress Europa, rassegna stampa che fa memoria delle vittime della frontiera, dal 1988 il bilancio sarebbe di 12.566 morti e di 4.646 dispersi nel canale di Sicilia.
(24 settembre 2008)

martedì 23 settembre 2008

NOI, I NUOVI BARBARI

INCHIESTA
L'ITALIA STA CAMBIANDO PELLE: SEMPRE PIÙ VIOLENTA E INTOLLERANTE


NOI, I NUOVI BARBARI

Italiani brava gente, si diceva una volta. Ma a dar conto degli ultimi incredibili episodi di violenza, sembrerebbe che non è più così. Viaggio nel Paese dove sempre più spesso trionfano rancore, insicurezza e paura.


Domenica 14 settembre Abdoul Guiebre, un ragazzo di diciannove anni originario del Burkina Faso, ruba in un bar di via Zuretti, a Milano, due confezioni di biscotti. I proprietari, padre e figlio, lo inseguono e lo ammazzano a sprangate gridando: «Negro di...». I magistrati dicono che il razzismo non c'entra, ma c'entra tutto il resto: la futilità del furto, la reazione furiosa e spropositata, la banalità del male, insomma. Italiani brava gente, si diceva una volta. Oggi, a leggere certi recenti episodi di cronaca, sembra di essere diventati il Paese dell'intolleranza. Un'intolleranza che non è di matrice razzista, ma che può diventarlo, prima o poi, perché il razzismo cova nell'intolleranza.

Un atteggiamento che nasce dalla paura, dal bisogno di sicurezza, dall'inquietudine per il "diverso". «Di fronte a un gesto minimo, padre e figlio hanno risposto con un gesto massimo. Sono saltate le forme di convivenza e i conflitti vengono risolti con la violenza», ha spiegato il sociologo Aldo Bonomi. «La morte di Abdoul lancia un segnale netto. La città è fragile e lo è da un pezzo». Chi ha preso una spranga e gridato quelle frasi, non l'ha certo fatto per legittima difesa, ha commesso un delitto a sfondo razzista, hanno scritto in un documento centinaia tra docenti universitari, liberi professionisti, insegnanti, sacerdoti come don Gino Rigoldi, pensionati e studenti, alla vigilia del suo funerale. La banalità del male non ha età. Può riguardare anche un gruppo di tredicenni, come quelli che nel Cremonese hanno infierito con sadismo nei confronti di un bambino di undici anni. O far dimenticare in un commissariato di Polizia, come quello di Monza, che viviamo nel Paese di Cesare Beccaria, così da ammanettare un povero cristo a una colonna per ore perché mancano le celle (ma a denunciare il fatto è stato lo stesso sindacato di Polizia, a testimonianza che la società civile ancora funziona).

A volte può bastare uno sguardo di troppo tra due giovani, come è avvenuto a Torino, dove un operaio incensurato di 25 anni ha cosparso di benzina l'auto in cui era seduto l'uomo con cui aveva avuto pochi minuti prima un banale diverbio, dandogli fuoco. Altre volte sono le parole a essere usate come pietre. Come quelle dell'ex parlamentare di Rifondazione Francesco Caruso («i comunisti non sono democratici e possono pure gambizzare»), uno che si è dichiarato "sovversivo a tempo pieno".

L'Italia ha i nervi scoperti. Sempre di più si litiga per un niente. La guerriglia urbana ormai è diventata un fatto quasi ordinario. L'abbiamo vista a Pianura, nei giorni dell'emergenza della monnezza. L'abbiamo rivista a Ponticelli, sempre a Napoli, con lo sgombero di un campo nomadi, preso a pietrate e a molotov da scugnizzi, gente comune, malavitosi ed esponenti della camorra. Si è materializzata con la devastazione degli ultrà napoletani nella prima giornata di campionato. Ed è ritornata dopo la mattanza di nigeriani a Castelvolturno.

«Senza accorgersene, sta scomparendo quella coscienza del sociale e solidale che ha fatto l'Italia di ieri», ha scritto don Antonio Mazzi su questo giornale. Italiani brutta gente, insomma. Siamo diventati i veri barbari in casa nostra. Invasori del nostro Paese.

Francesco Anfossi

PALERMO, DAGLI AL LAVAVETRI!

Palermo, fine agosto: nella zona del Palazzo dei Normanni un giovane automobilista aggredisce brutalmente un inerme lavavetri romeno, ma l'immigrato è salvato da un noto giornalista e poi soccorso da molti palermitani che gli esprimono concretamente la loro solidarietà. Una volta medicato, il lavavetri si è allontanato per il timore di essere identificato, in quanto privo del permesso di soggiorno. E l'aggressione razzista è rimasta impunita. A salvare il lavavetri è stato il giornalista Franco Nicastro, decano dei cronisti giudiziari e presidente dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia.

«Quando mi sono avvicinato», racconta Nicastro, «l'aggressore è fuggito immediatamente, altrimenti le conseguenze del pestaggio sarebbero state molto più drammatiche. Con grande soddisfazione, ho notato che molti cittadini palermitani si sono fermati ad aiutare il romeno (semi-svenuto e sanguinante) e hanno condannato duramente l'odiosa aggressione. La mia città si è confermata accogliente e tollerante. Tuttavia, con mio sommo stupore, il giorno successivo, le Forze dell'ordine, invece di cercare l'aggressore, hanno identificato tutti i lavavetri della zona!».

Pietro Scaglione

PIÙ CHE IL CRIMINE REGNA LA PAURA

È inutile fare giri di parole: in Italia non c'è nessuna "emergenza sicurezza". Mentre invece è assai reale la paura degli italiani, sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti. I media hanno registrato il calo dei furti d'auto: 20 mila "colpi" in meno tra 2006 e 2007. Ma questa è la punta dell'iceberg. Lo dimostra il rapporto The Burden of Crime in the Eu ("Il peso del crimine nella Ue") curato da prestigiosi centri di ricerca (Gallup, Istituto Max Planck, Unicri, Geox), finanziato dalla Commissione europea e presentato alla fine del 2005.

Il rapporto raccoglie i dati di 15 Paesi storici dell'Unione più Polonia, Ungheria ed Estonia. La conclusione è che «i crimini più comuni, come furti con scasso, furti, rapine e aggressioni, sono calati in tutti i Paesi Ue, e in modo significativo, negli ultimi dieci anni, con le uniche eccezioni di Belgio e Irlanda». Ma parliamo dell'Italia. Primo dato: considerato l'insieme dei dieci reati più comuni, si scopre che l'Italia è dodicesima su diciotto Paesi, con una riduzione di circa il 40 per cento rispetto al 1988. La criminalità comune affligge gli italiani assai meno che i cittadini dei Paesi del Nord, per non parlare di irlandesi (primi) e inglesi (secondi).

Andiamo più nello specifico. Furti con scasso: l'Italia è quinta, dopo Gran Bretagna, Danimarca, Estonia e Irlanda. Furti e borseggi: l'Italia è quattordicesima. Rapine: l'Italia è diciottesima su diciotto. Violenze sessuali: l'Italia è tredicesima su diciotto. Il Paese più virtuoso d'Europa, sotto questo aspetto, è l'Ungheria. Aggressioni e minacce: l'Italia è diciottesima su diciotto. Crimini legati a questioni di razza, fede e orientamento sessuale: l'Italia è diciottesima su diciotto, non siamo per nulla inclini a discriminare. È la Francia il Paese più rischioso per i "diversi". L'Italia è anche "bassa" (quindicesima su diciotto) per i reati compiuti contro gli immigrati, cosa che ci fa onore se pensiamo che in Europa il 15 per cento degli immigrati denuncia di aver subìto un reato.

Truffe e frodi: Italia diciassettesima su diciotto, meglio di noi solo la Finlandia, il peggio in Estonia. Corruzione: andiamo un po' peggio ma nulla di drammatico. L'Italia è dodicesima su diciotto, meglio persino del Lussemburgo. I più corrotti: i greci. I più corretti? I finlandesi.

Insomma, ci piaccia o no, nel mondo reale l'Italia è un Paese piuttosto sicuro. Però tanta è la paura. Siamo quinti in Europa per furti con scasso ma secondi (dopo la Grecia) nella convinzione che entro un anno verranno a rubarci in casa. Ancor più clamoroso: gli italiani sono terzi (dopo Grecia e Lussemburgo) nel considerare pericolose le strade al calar della notte, con lo stesso timore dei primi anni Novanta. Il che porta a una conclusione: il problema vero, in Italia, non è il crimine. È la paura.

Fulvio Scaglione


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http://www.stpauls.it/fc/0839fc/0839fc30.htm

Una strage di lavoratori... Enrico Pugliese

CAMORRA
Una strage di lavoratori
Enrico Pugliese

L'assassinio per mano della camorra di sei immigrati a Castelvolturno e le successive manifestazioni hanno dato la stura a tutti i luoghi comuni sulla situazione degli immigrati, sul loro ruolo e la loro condizione in quell'area ricca devastata del litorale di Napoli e Caserta, teatro della strage. Comincerei da qualche punto fermo. Non si è trattato - sembra ormai assodato - di un regolamento di conti. Questo è invece quel che si è detto subito, quello che in tutti gli ambienti di destra (e in larghi ambienti di sinistra) si è pensato e si continua irresponsabilmente a scrivere.

Come ha ben mostrato ieri su La Repubblica Giuseppe D'Avanzo che pure non esclude che per uno o due ci possa essere stato un qualche coinvolgimento in minori attività di spaccio - l'indifferenza per le orribili condizioni di sfruttamento, la mancanza di rispetto della vita umana, condita dal disprezzo di stampo razzista per questa gente, hanno reso possibile quella situazione talché non dovrebbe destare meraviglia il fatto che una banda di camorristi possa «pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno». Alla domanda retorica su quanto valga un nero la risposta di D'Avanzo è «niente». E perciò davvero non c'è da scandalizzarsi «se duecento di questi niente hanno gridato per il pomeriggio la loro rabbia». Basterebbe la lettura dell'editoriale di D'Avanzo, oltre che la buona inchiesta a caldo del manifesto , e chiudere il discorso qui, se non ci fosse una invasione di luoghi comuni anti-immigrati negli organi di informazione anche quelli più seri. E allora è necessario ancora qualche ulteriore chiarimento. Così, ad esempio, la tesi del regolamento dei conti è fatta propria dal vescovo di Capua in una ineffabile intervista su La Stampa . Il prelato ci informa del fatto che trattasi di un regolamento di conti anche se «è difficile dire di che natura esso sia». Ma su altre cose il prelato non ha dubbi. Si tratta di nigeriani che rappresentano il nucleo più consistente, a suo avviso, «del litorale domizio da Ischitella a Pescopagano». E in molti hanno parlato di nigeriani, per poi scoprire che tra le vittime della strage non ce ne erano. Ma qualche responsabilità - ci informa il prelato (e non è il solo) - i nigeriani ce l'hanno, eccome: «I nigeriani sono gente intelligente ma dedita piuttosto alla droga e alla prostituzione». L'affermazione è grossa e l'intervistatore cerca di dare una possibilità di chiarimento al vescovo. Ma non c'è nulla da fare: «Sono solo loro a darsi alla droga e alla prostituzione». Amen. Dopo queste gravi affermazioni e tanto allarmismo il vescovo ci spiega che gli immigrati - esclusi i cattivi di cui sopra - «partono alle cinque del mattino dai casolari dell'entroterra dove abitano in quattro in una stanza e vanno a cercare lavoro nelle piazze dei paesi». E Guido Ruotolo nella pagina accanto ci illustra il come si tratta di lavoratori e fornisce informazioni sulle loro condizioni di vita e di lavoro. Insomma i messaggi - su La Stampa come su altri giornali - appaiono largamente contraddittori. Comunque, l'impressione che resta al lettore o al telespettatore alla fine di tutto è quella di una situazione orribile, dove però orribili sono anche gli immigrati, come dimostrano le violenze alle quali essi si sono dati. E le violenze sarebbero state appunto un indicatore del fatto - che innocenti o no - si trattava di gentaglia. I nemici degli immigrati - quelli che predicano contro l'immigrazione clandestina (come se in Italia ce ne fosse mai stata altra) - comunicano che, se non c'è controllo, questi poveri disperati finiscono per ingrossare le fila della criminalità organizzata. In questo caso si è visto però che le vittime ingrossavano solo le fila del lavoro nero. E il lavoro nero c'è nelle aziende dei padroni, dei camorristi orrendamente sfruttatori e dei padroni non camorristi parimenti sfruttatori. Ma perché quegli immigrati stanno lì per quei lavori e in quelle condizioni? Ce lo spiega un po' proprio il prelato di cui sopra. «Il territorio è stato devastato, le paludi bonificate durante il fascismo sono diventate discariche abusive» e così via di seguito. Io ci andrei un po' più piano. La bonifica (comprensoriale e aziendale) - prima, durante e dopo il fascismo - ha cambiato il volto agricolo di quelle che una volta erano le terre dei Mazzoni. La nuova agricoltura intensiva ortofrutticola in terre una volta poco abitate richiede mano d'opera che deve venire per forza dall'esterno (prima i caporali la portavano da altre zone della Campania). La mano d'opera straniera migrante (con i suoi disperati bisogni) è quella più adeguata perché più flessibile e meno costosa. Proprio come nella ricca agricoltura della California che ha braccianti più poveri dei nostri. Perciò a Castelvolturno o a Villa Literno o a Casal di Principe troviamo i ganesi, gli ivoriani, oltre a qualche nord africano, i nigeriani e tutti gli altri lavoratori a giornata. Poi c'è anche la camorra, le discariche abusive e quant'altro. Ma quella è un'altra storia. La povera gente che è stata uccisa - gli immigrati del Ghana, del Togo etc. - era da noi per lavorare punto e basta. E se - fatto grave e disperante - se la prende generalmente con i bianchi. La cosa deve fare ulteriormente pensare: si sta creando un solco gravissimo che si può colmare solo con la solidarietà e che invece si allarga con i pregiudizi.

BUCO NERO

Nel buco nero di Castelvolturno dove la vita vale 25 euro al giorno

Eduardo Di Blasi


lampedusa sbarchi immigrati 220
Si chiama Nency, ma il nome l'ha da tempo napoletanizzato in Nunzia. Viene dal Kenya, anche se quando le poni la domanda risponde: «Da Roma, ho fatto due anni per spaccio di droga a Rebibbia». Ha quasi cinquant'anni, i capelli bianchi, tre figlie e un ex marito che le passa 500 euro al mese. È una madre di famiglia che in questi due anni ha inventato una bugia («ho detto che sono andata in convento») per non raccontare alle figlie una verità difficile da nascondere.

Oggi, uscita da quel convento, è tornata a Castel Volturno e ha lasciato le figlie a Roma. Ha fame, in tasca non ha nemmeno i soldi per le sigarette, gira per strada con uno scialle leggero mentre inizia a fare veramente freddo. Eppure è tornata qui. Perché? Perché solo qui Nunzia può sopravvivere, può arrangiarsi, può grattare qualcosa per se, può nascondersi assieme agli altri suoi connazionali nell'enorme buco nero che da quasi trent'anni cancella le storie degli africani d'Italia. Troverà un tetto, troverà dei soldi, spacciando o mettendosi sul ciglio della strada a vendere quello che resta di se stessa. Ce la farà: sopravviverà. Troverà la sua fetta di vita alle spalle della Domitiana, in queste case basse attraversate da stradine piene di rifiuti e di facce di neri. Manderà i soldi a casa da questo nuovo convento senza indirizzo. Nessuno le chiederà nulla.
Come nessuno chiederà mai niente ad Alex, ghanese di 30 anni, faccia incazzata mentre cerca di mettere in fila due parole in italiano. Nessuno gli chiederà nulla, tranne l'affitto per il letto (150 euro al mese) e le sue braccia, che sono in vendita tutte le mattine alle cinque, in una piazza di Pianura, davanti al bar Ferrara. Una giornata di lavoro senza alcuna copertura assicurativa viene via per 20-25 euro, sei giorni la settimana domenica esclusa, sempre che il padrone non decida che preferisce picchiarti e non darti nulla, perché tu, in fondo, non sei niente.
Ecco perché nessuno chiede loro nulla, perché loro non esistono. Sono ventimila gli immigrati irregolari nella provincia di Caserta, almeno 11mila quelli di Castel Volturno, che sono per la stragrande maggioranza africani.

«Non esiste un posto così nel mondo», avvisa Antonio Casale, direttore del centro Fernandes, da 12 anni fiore all'occhiello della Caritas di Capua nel cuore di questo buco nero. Non esiste, non fa fatica a rispondere, perché qui, in 30 anni, non è successo niente. «Prima arrivavano i francofoni del Benin e della Costa D'Avorio, poi è stata la volta dei ghanesi, dei togolesi, dei nigeriani. Oggi arrivano i sudanesi, i liberiani, sempre più poveri e più ignoranti». Arrivano a Castel Volturno per due motivi fondamentali. Il primo è che in nessun posto del mondo un immigrato irregolare potrebbe trovare una casa. Non ci sono barboni a Castel Volturno. Tutti hanno un tetto dove ripararsi in questo paradiso di seconde case cadenti. La seconda ragione è che qui ci sono gli altri africani, da sempre. E allora puoi creare una microcomunità.
Eccolo il «modello Castel Volturno», la non integrazione di bianchi e neri che ha portato a quella che Casale definisce «la separatezza». Nel buco nero senza legge, dove anche un occupante di casa napoletano può chiedere l'affitto a un africano e la cosa sembra normale, dove le automobili non solo non hanno l'assicurazione esposta, ma alcune nemmeno il posto dove esporla, le comunità vivono per conto proprio.

«Hanno i loro negozi, i loro quartieri, anche le loro chiese». Tutti. Ognuno per sè. Ecco perché anche quelli che vivono qui da dieci anni non parlano una parola di italiano: perché sembra non dovergli servire. «Se ne accorgono appena vanno via da Castel Volturno». È un circolo vizioso che crea questi mondi paralleli, questi traffici leciti e illeciti. È l'obiettivo di trovare i sessanta euro a settimana, le due-tre giornate di lavoro.

«Cacciar via gli immigrati non è la soluzione al problema di quest'area. Per Castel Volturno e il litorale Domizio occorre altro: un organico progetto di riqualificazione». A parlare è l'arcivescovo di Capua, monsignor Bruno Schettino, che presiede la fondazione Fernandez, che accoglie ogni giorno 60 immigrati con un servizio mensa che offre il pranzo a 100 persone. «Hanno paura ed è comprensibile: per mia esperienza personale questa è gente che non fa alcun male». Ma quel che ci vuole è una strategia: «Il discorso è più ampio e non si risolve mandando via alcune centinaia di stranieri, che qui fanno lavori che altri non intendono svolgere».

Fabio Basile, anche lui da anni nella trincea di Castel Volturno a metterci tutto quello che può metterci la società civile in un processo del genere (è tra gli animatori del centro sociale "Ex canapificio" di Caserta da sempre impegnato sul mondo migrante), non fa fatica a descrivere il modello suddetto: «È così, e nessuno se ne importa. Il governo, ancora una volta, pensa di farne un problema di sicurezza pubblica, ma qui è chiaro che stiamo parlando d'altro».
Vediamo bene di cosa stiamo parlando allora. «Noi siamo un piccolo comune campano con i problemi di una metropoli», sintetizza il sindaco di Castel Volturno Francesco Nuzzo e per fare un esempio dell'enorme mole di lavoro che si trova a fronteggiare nella sua scomoda posizione spiega: «Abbiamo ventimila irregolari, venti vigili urbani e una sola assistente sociale, perché con i tetti di spesa non possiamo assumerne nemmeno un'altra, e non sto dicendo che ne servono due».
Non va meglio a polizia e carabinieri che dovrebbero presidiare un territorio in cui le regole non solo non esistono, ma sembra quasi non possano esistere, con la camorra che possiede case, negozi e bar, che spara e commercia, costruisce, investe, interra rifiuti speciali e fa mozzarelle. E queste centinaia di facce scure, schiavi composti di questa terra, che solo per identificarli ci vorrebbero 5mila giorni e per sequestrargli la macchina un deposito giudiziario di diversi chilometri quadri. Angelo Papadimitra, segretario della Cgil di Caserta, non ha dubbi: «Da questa storia si esce solo con una legge speciale per Castel Volturno. Ci vuole una sanatoria». Invece il governo si fa portabandiera di un nuovo «ordine pubblico», in un posto in cui i sei africani ammazzati giovedì scorso aspettano ancora un funerale. Tra sabato e domenica non si è trovato nessuno che facesse l'autopsia di quei corpi crivellati di colpi.

Pubblicato il: 22.09.08
Modificato il: 22.09.08 alle ore 8.37


http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=79205

lunedì 22 settembre 2008

LA PRIMA RISPOSTA ITALIANA ALLA STRAGE



................."A Castelvolturno non c'è ostilità dei residenti con la comunità aficana», ha spiegato il capo dei poliziotti casertani. Una prima risposta alle violenze degli immigrati di venerdì scorso c'è già stata: una ventina di ghanesi sono stati identificati attraverso i filmati della Scientifica. Verranno espulsi dalla questura..................
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=292005



domenica 21 settembre 2008

"THE NIGERIAN MAFIA...........?"

The recent happenings in Castelvolturno (massacre of 7 Africans) by people suspected to be members of the CAMORRA (the Naples mafia) has seen fingers being pointed to the CASALESSI family. In this havoc there are many things that people in the Nigerian community in Italy may be worrying about.

The first report that hit the press was of the killing of 6 Nigerians by the mafia because of non payment of drug royalties. The killings had every indication that would make anyone point to an organized group like the Camorra; hundreds of bullets form automatic Kalashnikovs by 6 people on 'fake' police jackets and cars……….

Later in the day the news came out clearer and the identities of those killed were known; 4 Ghanaians, a Togolese, and a Liberian. There was no Nigerian involved. The poor Africans were all working in their textile and tailoring shop where they sew and mend cloths for Italians and foreigners.

The story changed and some press reports had it that since they were non Nigerians it would have been a mistake by the commando that carried out the operation, insinuating that the Napoli mafia (Camorra) was really annoyed with the Nigerian mafia which has an alliance with them but in the recent past started to disobey and have their own (Nigerian) bosses thereby stopping to pay royalties from drug proceeds. It was also reported that the Nigerian group that had signed pacts of alliance many years ago with the main mafia for the indirect control of drugs, prostitution, illegal labor, illegal immigration etc were gathering too much powers ;therefore should be thought a lesson or re-dimensioned. http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/19/Camorra_strage_extracomunitari_co_8_080919002.shtml

http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/19/Roberti_Una_pulizia_etnica__co_8_080919003.shtml

The police still insist that those killed were involved in drug movement in the area (they are Africans after all) notwithstanding that no drug was found in their workshop or in their residences.

The Nigerian mafia had their first clash with the Italian mafia 22 years ago (1986) when 6 Nigerians were 'kneecapped' . There was apparent peace and cooperation with the two mafias until the night between 23rd and 24th April 1990 when the camorra organized a commando that hit a group of their Nigerian allies in bar Centro di Pescopagano- leaving two deed and many who were not even connected with drugs wounded. In the month of January this yare 3 persons were charged with the death of those Nigerians.

These are just little bits of the 'Black mafia' which has in the past 17 years gained a lot of powers and is peculiar for the its tribal based set-up and the sort of impunity it has amongst other organized criminal groups.

According to the report it is hard to believe that among the numerous drug pushers none of the Nigerians has ever collaborated with the justice to reveal what happens within the group and they have continued to propel their activities from Italy to all over Europe growing from the sells of heroine to the control and wholesale of the cocaine and the control of prostitution.

The recycling of the black mafia money is through money transfer and other complicated connections that are difficult for the Italian central bank or the European Central Bank (ECB) to discover and dismantle. The report claims that the Nigerian Mafia in this form has shown a great competitiveness that makes it the 5th Mafia in Italy.

http://www.positanonews.it/dettaglio.php?id=16812

Some question I would ask members of the community who read all the press reports , analysis and tv reports on Nigeria and her nationals in Italy:

· Are we all prostitutes, mafians, and drug pushers?

· What is the population Nigerian in Italy and what is the percentage involved in these vices?

· Who speaks or will speak for the community and defend her and the Nation for all the exaggerations and accusations that has been going on these days in the press?

· what is our mission (embassy) doing to see that the numerous Nigerians that are resident in Italy and are highly law abiding do not face unnecessary harassments and molests from Italians and the serotypes of the Italian law enforcement agencies? many African ambassadors went or sent their representatives to Castel Volturno some days ago; did anyone from the Nigerian mission travel to that area to ascertain the security of law Abiding Nigerians living in that region?

There are more questions to be asked and to be answered on this issue Do you have any?

Okey. Chukwubike C



Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

Spedizioni punitive e raid

Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

La fuga di Teddy, il nigeriano che vuole salvare le prostitute

Un mazzo di fiori sulla scena del crimine  (Controluce)
Un mazzo di fiori sulla scena del crimine (Controluce)
CASTELVOLTURNO (Caserta)- Teddy è andato via perché adesso sa cosa significa essere una boccetta. «Vogliono la tua sottomissione, gli interessa solo questo. Abbiamo provato a renderci utili. Ma a loro non interessa. Siamo schiavi, e tali dobbiamo rimanere». In un'intercettazione di 12 anni fa, uno dei tanti macellai dei Casalesi saluta il suo compare. Lo saluta dicendo che in serata magari se ne va a Castelvolturno «per giocare a boccette con i negri». Poche ore dopo, da una macchina in corsa parte una raffica di mitra contro tre extracomunitari che aspettavano l'autobus sulla Domiziana. «Siamo i loro giocattoli, ma fanno così perché sanno che agli altri italiani in fondo non dispiace ».

Il 19 agosto di quest'anno il nigeriano Teddy Egonwman e sua moglie Alice sono diventati birilli a casa loro. All'ora di cena un gruppo di quattro uomini si mise a sparare sulle finestre del container dove vivevano, ne sfondò la porta e continuò a fare fuoco anche dentro. Un'ottantina di colpi. Due giorni dopo, Teddy e la sua famiglia erano su una macchina diretta a Torino. Così finiscono le illusioni, da queste parti. I coniugi Egonwman si erano messi in testa di fare qualcosa. In modo confuso, arruffato, pasticcione. Ma ci avevano provato. Erano arrivati in Italia da clandestini, come tutti. Teddy trovò lavoro e permesso di soggiorno in un'azienda edile, Alice si buttò nell'import- export di oggetti africani. Lui fondò un'associazione per raccogliere tutti gli immigrati provenienti da Benin City. L'anno scorso aveva deciso di redimere le sue connazionali che lavorano in strada. Faceva addirittura le ronde, non risparmiava qualche schiaffone, alle ragazze a ai loro galoppini. «Non avevano capito che nulla deve e può cambiare. I "miei" e i "tuoi" non vogliono seccature».

A Castelvolturno Teddy era un personaggio così isolato da risultare addirittura patetico nei suoi sforzi. La spedizione punitiva fu bipartisan, nigeriani e casalesi d'accordo nel dare una lezione a un pesce piccolo che veniva considerato un traditore del suo popolo e metteva in crisi il patto tra mafiosi africani e Casalesi. «Volevo dare il mio contributo per liberare la Domiziana dalla prostituzione. Mi hanno urlato che ero un venduto alla Polizia. Mi hanno sparato. Nessun italiano mi ha dato solidarietà, perché un negro che cerca di darsi da fare deve avere per forza qualcosa di storto, no? Tanti saluti, allora». Quelli che restano però rischiano davvero di diventare boccette a disposizione di giocatori anfetaminici e fuori controllo, schiacciati da due poteri simili e alleati nel tenere oppressi i pochi che si muovono sulla linea di confine. «Le uniche vere comunità che ancora esistono sul territorio sono quelle criminali», ragiona un investigatore e le sue parole sono simili a quelle di padre Giorgio Poletto, il prete comboniano che da anni cerca di togliere le ragazze nigeriane dalla strada. «Non è mai stato così difficile. Abbiamo davanti un mare di persone anonime, con rappresentanti che sanno di non rappresentare nulla. La frammentazione li rende più deboli. Sono soltanto individui, alla mercé di un sistema criminale perfetto nella gestione del territorio. In una parola: schiavi».

La strage di Varcaturo rappresenta il disprezzo per i più deboli, quelli che si trovano in mezzo. Il simbolo di questa violenza «terrorista e razzista», come la definisce il magistrato Franco Roberti. La Spoon river delle vittime racconta di gente molto diversa dal prototipo dello spacciatore. Francis era felice perché due settimane fa aveva avuto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, dopo sei anni in Italia. Faceva il muratore e frequentava le associazioni di Caserta che si battono per i diritti degli immigrati. Elaj il sarto partecipava alle assemblee settimanali sui diritti degli immigrati, anche lui frequentava i centri sociali impegnati. Akej il barbiere è morto con 700 euro nei calzini. Stava andando a spedirli alla famiglia da quella sorta di Western Union non autorizzata che sorge accanto al locale della strage. Lavorava a Napoli, in un locale del centro. Nei locali devastati dai proiettili e nelle loro case delle sei vittime non è stata trovata droga. Puliti.

Marco Imarisio
21 settembre 2008

sabato 20 settembre 2008

ALITALIA




Flussi 2007. Sì al ripescaggio, ma solo per le badanti

Sacconi annuncia il provvedimento del governo. Metà delle Domande presentate da stranieri: "Sospettiamo elusione della Bossi-Fini"

Roma – 18 settembre 2008 - Il governo ha in programma un mini-ripescaggio delle domande dei flussi 2007, limitato a quelle presentate per lavoratrici e lavoratori stranieri chiamati in Italia per assistere persone non autosufficienti.
Il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che ha presentato stamattina a Roma una campagna per l'integrazione degli immigrati, ha annunciato che il governo sta lavorando ad un provvedimento che permetta la regolarizzazione di stranieri impegnati nel lavoro familiare "anche fuori quote". Verranno prese in considerazione le domande d'assunzione presentate lo scorso dicembre, ma solo se in possesso di determinati requisiti.

Fra questi, il ministro ha indicato l'assistenza a non autosufficienti e il fatto che i datori di lavoro risultino "affidabili ed individuabili". Sacconi ha tenuto a dire che "sono escluse sanatorie", ma si tratterà di "procedure selettive per la regolarizzazione".

"Ci sono evidenti anomalie - ha detto il ministro - in molte domande presentate da collaboratrici domestiche. Il 48% fa capo a datori di lavoro stranieri. Questo induce al legittimo sospetto sulla genuinità delle domande stesse e ci fanno pensare che potrebbero avere un carattere elusivo della legge Bossi-Fini".

L'ipotesi di un ripescaggio ristretto alle badanti dei non auto-sufficienti era stata ventilata da Sacconi
già lo scorso maggio, in occasione della presentazione del pacchetto sicurezza. Se andasse davvero così, si allontanerebbe però l'ipotesi di riconsiderare tutte le domande già presentate in occasione del varo del decreto flussi 2008 , annunciato all'inizio di agosto dal ministro per la famiglia Carlo Giovanardi.

Elvio Pasca

NIGERIANS NOT INVOLVED

Camorra blamed in immigrant murders
Police suspect notorious Casalesi clan killed six
(ANSA) - Caserta, September 19 - Police on Friday said the notorious Casalesi clan of Naples' Camorra Mafia was probably behind the murder of six immigrants in the small Campania town of Castelvolturno.

Three Ghanaians, two Liberians and a Togo national were shot dead on Thursday night at an ethnic clothing shop where local residents often brought clothes for minor adjustments.

A third Liberian died in hospital on Friday morning, and doctors were operating on another man injured in the attack.

Investigators said the 84 shell cases found at the scene of the crime came from a Kalashnikov assault rifle and a semi-automatic pistol.

Police believe the same weapons were used 20 minutes earlier in nearby Baia Verde to kill a 53-year-old Italian known to have had links with the Casalesi clan, who was shot 20 times.

According to investigators the killers may have been posing as policemen, since witnesses reported seeing four men wearing uniforms pull up in a car with flashing lights.

Police said they believed the murders were connected to drugs trafficking in the town, where African immigrants had recently begun dealing autonomously and had stopped paying percentages to the local Mafia.

But relatives of the dead men reacted angrily to suggestions that the killing was drugs-related.

''He worked from morning till night, he didn't even stop to eat,'' said the partner of the 28-year-old Ghanaian who worked in the shop.

''He was innocent, he wasn't a criminal,'' Another friend of the Ghanaian said he had been ''murdered while he was sewing''.

Immigrants claiming the crime was race-related clashed with police on Friday after setting up a road block in front of the shop, shouting ''you Italians are all b******s, this is racism''.

'DEAD MEN WALKING'.

Other residents said the murders were just the latest of a series of Mafia crimes in the small town and hit out at the government for abandoning them to the Camorra.

''Does this seem like a normal town to you? Is it normal that 18 people have died in a few months when the town's population is less than 20,000?'' asked one man in the town's central square.

''We're dead men walking here. The state has abandoned us, our fate is sealed,'' he said.

Another elderly man at a bar in the square said it was impossible to carry out any business activity here without paying the Mafia first.

''We're afraid here, afraid to be killed even sitting outside a bar. People say nothing because they are afraid of dying''. The Bishop of Naples, Cardinal Crescenzio Sepe, called on the Camorra to put down their weapons following the massacre and compared them to ''poisonous snakes''.

''Until these bearers of death are defeated we will always have cemeteries full of hatred and violence,'' he said.

One of the most feared Naples Camorra outfits, the Casalesi clan's criminal empire was exposed in Roberto Saviano's worldwide bestseller Gomorra, now also a film that won the second prize at Cannes this year
http://www.ansa.it/site/notizie/awnplus/english/news/2008-09-19_119270584.html

venerdì 19 settembre 2008

" Chained to the poll" ......



Dove ?: Monza (Milano, Lombardia) FOTO SHOCK !


IMMIGRANT CHAINED TO THE POLE IN AN ITALIAN POLICE STATION. THE POLICE COMPLAINED THAT ALL THE CELLS WERE OCCUPIED.....Hummm...
Over to you for your comments.
Quando: 18 Settembre 2008
Categoria: Cronaca

Descrizione dell'utente
La foto è stata diffusa da un sindacato di polizia, ed è comparsa con grande enfasi sul sito online del quotidiano La Repubblica.
Al commissariato di via Romagna a Monza, mancano le celle di sicurezza: dunque ecco la soluzione.
Ammanettano le persone fermate al palo. Mancano le celle di sicurezza, non c'è l'impianto antincendio,
si lamentano i rappresentanti sindacali che poi sottolineano i cronici problemi di organico: 'per una citta' di 130 mila abitanti circola una sola Volante e a volte con due soli agenti a bordo'




NON ERANO CRIMINALI

Amici degli immigrati uccisi: non erano criminali
CASERTA (19 settembre) - Davanti al negozio 'Ob Ob exotic Fashions' c'è lo zio di una delle vittime. Steven, ghanese, fa il giardiniere e dice che suo nipote Giulios, 32 anni, una delle vittime «era un bravo ragazzo. Non ha mai fatto nulla di male, non è un criminale». Steven mostra le sue mani per dimostrare che «noi qui ci ammazziamo di fatica, non siamo certo dei camorristi». Ripete la stessa storia anche Cristopher, liberiano di 28 anni. Lui conosceva Alaji, 28 anni, un'altra delle vittime. «Lavorava nel negozio di sartoria, era alla macchina da cucire quando è stato ammazzato - racconta Cristopher - la camorra? Forse cercava qualcun altro ma di certo nessuno dei nostri amici». Un altro extracomunitario, che parla solo la sua lingua, racconta che poco prima della strage due persone a bordo di due motorini avevano più volte fatto la spola davanti alla sartoria. Ma ad un certo punto le versioni degli africani sembrano contraddirsi. Uno di loro, infatti, sostiene che poco distante dalla strage c'era un Suv di colore nero in attesa, con all'interno alcune persone che poi si sono spostate davanti alla sartoria e hanno fatto la strage. Tra la folla di extracomunitari c'è anche Obodu, liberiano. L'uomo mostra le ferite: è una delle vittime del 18 agosto scorso quando nel centro di Castel Volturno i sicari ferirono a colpi di pistola e fucile 5 extracomunitari, ma senza provocare morti.

Rivolta a Castevolturno

Proteste dopo l'uccisione di sei extracomunitari: sparati 130 proiettili
Castelvolturno, rivolta degli immigrati dopo la strage di camorra
Vetrine rotte e auto in mezzo alla strada: «Non siamo trafficanti di droga, questo è razzismo»
Il luogo della strage (Epa)CASTELVOLTURNO (Caserta) - Circa 130 proiettili esplosi da sei-sette sicari, a bordo di almeno un'auto e una moto. È questo lo scenario che gli investigatori hanno finora ricostruito dell'agguato in cui sono stati uccisi giovedì sera sei immigrati africani a Castelvolturno. Un volume di fuoco impressionante (a sparare sono stati un kalashnikov, una pistola calibro 9x21 e una 9x19), simile a quello impiegato nell'agguato di Baia Verde, sempre a Castelvolturno, vittima il gestore di una sala giochi, Antonio Celiento: in questo caso una sessantina i colpi esplosi. La quantità di proiettili usata in entrambi gli agguati è uno dei diversi elementi che fanno pensare a un solo gruppo di fuoco in azione: per averne la certezza occorrerà però attendere la perizia balistica. Gli inquirenti ritengono che, all'origine della strage degli immigrati, ci fosse una «spedizione punitiva» contro la sartoria, probabilmente un centro del traffico di stupefacenti. Per il momento non emergono piste diverse da quella del regolamento di conti.
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LA RIVOLTA - Nel frattempo, sale la rabbia a Castelvolturno: alcuni immigrati, bastoni in mano, hanno frantumato le vetrine di alcuni negozi e rivoltato auto in mezzo alla strada, distruggendo i vetri di altre vetture ferme. Il tutto davanti al luogo dove sono stati uccisi i sei stranieri. «Vogliamo giustizia - urlavano - non è vero che i nostri amici ammazzati spacciavano droga o erano camorristi. Sono state dette tutte cose false». Gli extracomunitari, soprattutto africani, puntano il dito contro chi li accusa di spacciare droga. «Noi siamo persone perbene, non è giusto che ogni volta che si parla di droga - dicono - siamo noi i colpevoli e questo solo perché è nero il colore della nostra pelle. Questo è razzismo». A un certo punto gli immigrati hanno iniziato a lanciare massi e oggetti pesanti contro la camionetta della polizia. La protesta è proseguita nel pomeriggio: gli immigrati hanno sradicato segnali stradali gridando «italiani bastardi».IL SINDACO - Preoccupato il sindaco di Castelvolturno. «Sono incontrollabili, temo qualcosa di grave» ha affermato Francesco Nuzzo, parlando al telefono, secondo quanto da lui stesso riferito, con il questore di Caserta, Carmelo Casabona. Il sindaco ha cercato di trattare con un gruppo di immigrati per fermare gli atti di vandalismo. A cercare di calmare gli animi sono anche alcuni stranieri che ai loro connazionali continuano a urlare: «Basta Basta».
La rabbia degli immigrati (Ap)LE INDAGINI - Nel frattempo l'attenzione degli investigatori si concentra sulle 'nuove leve' del clan dei Casalesi, cinque-sei personaggi fautori di quella strategia stragista che sembra aver prevalso nel clan rispetto a quella dell'inabissamento scelta dai 'capi storici' dopo i colpi subiti. Si tratta delle stesse persone, tutte latitanti, ritenute responsabili di buona parte degli attentati avvenuti negli ultimi mesi: Francesco e Alessandro Cirillo, quest'ultimo detto 'O Sergente', Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia (detto 'O zuoppo'), Giuseppe Setola, Emilio Di Caterino. Gli investigatori riterrebbero che è tra loro che bisogna cercare chi ha sparato centinaia di colpi lungo la via Domiziana. Come è tra loro che va cercato il killer di Umberto Bidognetti, ucciso il 2 maggio scorso, colpevole solo di essere il padre del pentito Domenico. E sempre i sei latitanti sarebbero i responsabili dell'assassinio dell'imprenditore Domenico Noviello, colpito il 16 maggio con 22 colpi di pistola a Castelvolturno dopo aver denunciato i clan, e dell'uccisione di Michele Orsi, freddato il 1 giugno. Il gruppo che fa capo ad Alessandro Cirillo e Giuseppe Setola sarebbe anche responsabile del ferimento avvenuto il 30 maggio a Villaricca di Francesca Carrino, nipote di quella Anna Carrino compagna del boss Francesco Bidognetti, detto Cicciotto 'e Mezzanotte, che ha lanciato appelli contro la camorra e che con le sue rivelazioni ha consentito l'arresto di diversi esponenti della cosca. Il ragionamento che viene fatto da investigatori e inquirenti è che, presi questi latitanti, la scia di sangue potrebbe interrompersi. Ma non solo. Un ulteriore colpo, assestato questa volta ai leader emergenti e non ai capi storici, potrebbe rimescolare di nuovo le carte all'interno dell'organizzazione dei Casalesi.
19 settembre 2008

IMMIGRATI IN FRANCIA

La proprietà: sistemeremo tutti

Occupato il «ristorante dei re»
In sala siedono solo i lavapiatti

Alla alla «Tour d'Argent» di Parigi la simbolica protesta contro il lavoro irregolare

(Ap)
(Ap)
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Persino il più famoso ristorante
di Parigi impiega immigrati irregolari. Non è un'accusa, ma un fatto, denunciato da una quarantina di «sans papiers» che hanno organizzato mercoledì sera un'occupazione simbolica della «Tour d'Argent», il celebre tempio della gastronomia, dove si gusta (e si paga come «argent ») l'anatra numerata per ogni cliente. Fra essi, alcuni dipendenti del locale — a quanto pare sette lavapiatti impiegati da diversi anni — e altri clandestini che si sono uniti alla protesta per solidarietà. In sostanza, autodenunciandosi, i lavoratori sperano in una regolarizzazione. «Lavoro qui da nove mesi, cinque giorni su sette, dalle 10 alle 19, per 1.200 euro al mese, pago persino i contributi sociali a mio carico e potrei essere espulso dalla Francia dall'oggi al domani», dice Mediba, un giovane del Mali, seduto con i suoi compagni di lavoro sulle sedie in raso dei lussuosi saloni della «Tour». Per evitare danni eccessivi all'immagine del locale — i clienti ieri sono entrati da una porta secondaria — la direzione ha immediatamente reagito. Fabrice Rollo, responsabile delle risorse umane, ha dichiarato di non essere al corrente della presenza di lavoratori clandestini, ma si è impegnato ad avviare subito le procedure burocratiche per la regolarizzazione

«È una buona notizia, ma restiamo vigili», ha detto il rappresentante della Cgt, il sindacato che ha avviato da tempo la battaglia in difesa dei sans papiers, in particolare nei settori della ristorazione e dei servizi. Nella giornata di ieri, su ordine della direzione, i clandestini sono stati costretti a lasciare il ristorante. Ne sarebbe nato qualche parapiglia fra impiegati regolari, addetti alla sicurezza e al servizio e sans papiers. Alcuni hanno sporto denuncia per violenza. «Anche la Tour d'Argent dovrà rispondere alla giustizia e rispettare i diritti dei lavoratori», ha fatto sapere la Cgt, che intende rivolgersi alla magistratura. Nei mesi scorsi, altri famosi ristoranti e ritrovi parigini sono stati occupati per denunciare un fenomeno che — comprendendo imprese di pulizie, fast food e bar — riguarderebbe migliaia di persone. In alcuni casi, come avvenuto la primavera scorsa al Bistro Romain, una nota brasserie sugli Champs-Elysées, i proprietari del ristorante hanno dichiarato di essere solidali con i lavoratori in sciopero e di aver depositato presso la prefettura di Parigi i dossier di regolarizzazione. Ma si è scoperto che almeno una settantina di impiegati erano irregolari. Di fronte al giro di vita imposto dal governo, che negli ultimi mesi ha intensificato controlli ed espulsioni, l'autodenuncia dei camerieri e la solidarietà dei datori di lavoro può sembrare un risvolto grottesco e paradossale del problema, ma in sostanza conferma la scarsa sintonia fra misure di carattere politico e la realtà sociale ed economica di attività produttive (servizi, ristorazione, servizi alla persona) che non potrebbero funzionare a regime senza l'apporto di lavoratori stranieri. Il primo maggio scorso, per la prima volta migliaia di sans papiers sono sfilati in testa al corteo assieme ai lavoratori regolari. Negli ambienti del ministero dell'Immigrazione si ritiene che la solidarietà dei datori di lavoro e la pubblicità data all'avvio delle pratiche di regolarizzazione sia in qualche caso un modo per tirare una riga sulle irregolarità del passato, ma nello stesso tempo si è deciso di ampliare le possibilità di regolarizzazione, pur sottoponendo le richieste ad un esame caso per caso dei dossier. Dall'inizio del movimento, su circa 1.700 domande, più di 900 sono state accolte. E la regolarizzazione alimenta d'altra parte la speranza di nuove possibilità. Proprio ieri, alcune imprese di pulizia e artigianato sono state bloccate dallo sciopero di dipendenti irregolari, mentre proteste e astensioni dal lavoro si segnalano in alcune aziende editoriali. Il sindacato, come dice Raymond Chauveau della Cgt, non chiede sanatorie generalizzate, ma regole uguali su tutto il territorio nazionale. «Oggi si hanno differenze di trattamento da una prefettura all'altra o da un'azienda all'altra». A quanto pare, anche da un ristorante all'altro, come alla Tour d'Argent: anatre numerate e lavapiatti senza documenti.

http://www.corriere.it/esteri/08_settembre_19/sans_papier_ristorante_re_nava_f38a819c-860d-11dd-bef9-00144f02aabc.shtml

Massimo Nava
19 settembre 2008



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