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martedì 21 maggio 2013

I 10 Paesi più razzisti del mondo


I 10 Paesi più razzisti del mondo

La maglia nera va ad Hong Kong, mentre i più tolleranti sono gli Usa, la Gran Bretagna e il Canada. L'Italia classificata come Paese non razzista

I 10 Paesi più razzisti del mondo
Atene. Migliaia di immigrati manifestano contro il razzismo (Credits: Epa/Alkis Konstantinidis)
di Anna Mazzone
La mappa dei razzisti nel mondo regala qualche sorpresa. Secondo i risultati della ricerca World Value Survey , condotta tra il 1981 e il 2008 da un gruppo di studiosi olandesi su 87 paesidel mondo con interviste a più di 256 mila persone, il razzismo si annida persino nel cuore del Vecchio Continente, in Francia, e raggiunge i massimi livelli nelle ex colonie britanniche, dall'India a Hong Kong.
I paesi storicamente più razzisti (come Giappone e Sudafrica) si sono invece rivelati tra i più tolleranti della classifica, che vede all'ultimo posto, e quindi campione di tolleranza, gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna. Ma è veramente così? In molti sostengono che i cittadini del Regno Unito e quelli americani e canadesi, bombardati dalle imposizioni del politically correct, alla fin fine non se la siano sentiti di rispondere in maniera sincera alle domande su chi preferirebbero come vicino di casa. Mentre più schiette sono state le risposte provenienti dall'emisfero orientale del mondo. E l'Italia come si colloca? Vediamo Paese per Paese qual è il termometro del razzismo del mondo.
Mappa dei Paesi più razzisti del mondo
Mappa dei paesi più razzisti del mondo secondo World Value Survey (Credits: Max Fisher/Washington Post)
1. Hong Kong. All'ex colonia britannica in territorio cinese va la maglia nera del paese più "intollerante" del pianeta. Il 71.8 per cento degli intervistati ha dichiarato che rifiuterebbe di vivere vicino a persone di "una razza differente" da quella della propria famiglia.
2. Bangladesh. Subito dopo l'ex colonia britannica in territorio cinese, i più razzisti sono gli abitanti del Bangladesh. Il 71.7 per cento non vuole avere rapporti con gente di "razze" diverse dalla propria.
3. Giordania. Terzo classificato è il piccolo regno di Giordania, dove i razzisti si attestano al 51.4 per cento. Basti pensare che la Giordania è meta di migliaia di palestinesi che raggiungono il Regno per poter studiare e lavorare, ma - nonostante siano apparentemente integrati nella società - non possono frequentare determinati corsi di laurea (come medicina e fisica), non possono diventare insegnanti e non possono acquistare beni immobili (case e terreni).
4. India. Chiude il gruppo dei fab four dell'intolleranza l'elefante indiano, con il 43.5 per cento di tasso di razzismo. In questo caso, il fattore culturale è determinante e la struttura castale della società, con sanzioni molto dure per chi entra in contatto con individui "impuri", determina una ferrea gerarchia razzista che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che per questo motivo è molto difficile da scardinare. 
5. Egitto. Il paese delle Piramidi è tra i più razzisti del continente africano, assieme alla Nigeria. Il tasso di intervistati che si rifiuta di stare vicino a razze diverse si aggira tra il 30 e il 39.9 per cento. Nonostante l'ampio numero di immigrati dai paesi del sud-est asiatico che in Egitto (come in Nigeria) offrono le proprie capacità professionali per diversi generi di attività, il razzismo dei pronipoti dei faraoni sembra non essersi minimamente attenuato. I razzisti d'Egitto sono in compagnia della medesima percentuale in Arabia Saudita, Iran, Vietnam, Indonesia e Corea del Sud.
6. Algeria e Marocco. Un gradino sotto l'Egitto troviamo altri due Paesi dell'Africa del Nord, in cui il tasso di razzismo si attesta tra il 20 e il 29.9 per cento. La storia di Algeria e Marocco indubbiamente segna le risposte degli intervistati. Il Marocco, in quanto Regno, tende a essere strutturalmente chiuso alle etnie provenienti da altri Paesi e l'Algeria, straziata da lunghi anni di guerra, oggi rappresenta un caleidoscopio identitario, nel quale ogni comunità tende a non mescolarsi pur di preservare la propria esistenza.
7. Francia. A sorpresa Parigi si attesta tra i Paesi europei dove il razzismo si fa maggiormente sentire. Secondo i dati di World Value Survey, il 22.7 per cento dei francesi si augura di non avere un vicino di casa di "razza diversa". La Francia rientra così nel gruppo di quei Paesi con tasso di razzismo tra il 20 e il 29.9 per cento, in compagnia di Turchia, Bulgaria, Mali, Zambia, Thailandia, Filippine e Malesia.
8. Italia. Nel nostro Paese il tasso di razzisti oscilla tra il 10 e il 14.4 per cento. Una percentuale minima, che colloca l'Italia sul fondo della classifica mondiale sul razzismo come Paese sostanzialmente tollerante. In compagnia di Roma troviamo la Finlandia e poi Polonia, Ucraina, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Poco più razzisti del gruppo dell'Italia solo Il Venezuela, la Russia e la Cina, con un tasso di intolleranza tra il 15 e il 19.9 per cento.
9. Germania e Giappone. Sono i capifila del gruppo dei penultimi in classifica, in compagnia di Cile, Perù, Messico, Spagna, Belgio, Bielorussia, Croazia, Pakistan e Sudafrica. A Tokyo e Berlino il tasso di risposte razziste si attesta tra il 5 e il 9.9 per cento, nonostante tutte le ricerche condotte precedentemente avessero evidenziato soprattutto in Giappone la tendenza a un razzismo di base, non solo verso l'esterno (Cina e Coree), ma anche verso l'interno, nei confronti dei giapponesi con la pelle più o meno scura.
10. Stati Uniti e Gran Bretagna. Sono i paesi meno razzisti del mondo, assieme a Canada, Brasile, Argentina, Colombia, Guatemala, Svezia, Norvegia, Lettonia, Australia e Nuova Zelanda. Il loro tasso di intolleranza è tra lo 0 e il 4.9 per cento. Cifre definite "fisiologiche" dai ricercatori olandesi, che evidenziano come i Paesi del "nuovo Continente" (le Americhe), eccezion fatta per il Venezuela, tendono a essere largamente tolleranti nei confronti delle etnie diverse e si aggiudicano la palma di luoghi meno razzisti del mondo.

martedì 8 maggio 2012

MUSLIMS IN ROME PROTEST AGAINST PERSECUTION OF CHRISTIANS IN NIGERIA


Nigeria: musulmani domani a Roma fiaccolata contro persecuzioni cristiani

ultimo aggiornamento: 08 maggio, ore 14:54


Roma, 8 mag. - (Adnkronos/Aki) - I giovani musulmani della Comunita' Religiosa islamica italiana (Coreis) parteciperanno domani alla fiaccolata contro le persecuzioni nei confronti dei cristiani in Nigeria che si terra' a Roma. Lo ha annunciato in una nota l'imam Yahya Pallavicini, vice presidente della Coreis. "Ringrazio il presidente della Comunita' Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, per l'invito alla fiaccolata di solidarieta' promossa dalla Comunita' di Sant'Egidio e dall' Ucei (Unione delle Comunita' Ebraiche d'Italia) per domani a Roma", ha affermato Pallavicini.

mercoledì 15 febbraio 2012

'L'Italia sono anch'io'. Città di nascita: Aversa, provincia della Nigeria

'L'Italia sono anch'io'. Città di nascita: Aversa, provincia della Nigeria 

Martedì 14 Febbraio 2012 15:24

di Mario Paciolla

Fuori è freddo. La pioggia cade senza posa imbrigliando la strada tra irregolari tappeti scivolosi di colore grigio. In queste condizioni rifletto sulla possibilità di raggiungere Castelvolturno in macchina. Dopo una breve colazione controllo il meteo e la connessione. Riesco a rintracciare Susan, chiedendole la possibilità di chiamarla via Skype. E’ in linea. 
Foto0034Stavo sbucciando gli yam insieme a mia madre”. Lo yam è un particolare tubero simile alla patata dolce, utilizzato in molte ricette africane. Non nascondo di aver subito chiesto cosa fosse uno yam. Dati i numerosi impegni, anche per lei è una buona idea rispondere a qualche domanda telefonicamente. E’ indaffarata a preparare il pranzo e, a causa del tempo, ha dovuto posticipare la sessione di prove con il coro gospel. Ha dei tratti molto forti ed il viso sembra intagliato in una corteccia d’ebano. I genitori, padre ghanese e madre nigeriana, si conobbero in Italia e, dopo un anno, decisero di sposarsi e metter su famiglia nel casertano. Susan nacque ad Aversa nel 1991. Dopo di lei nacquero altri due fratelli. Tutti in Italia. Nel raccontarmi del padre, un accenno di nostalgia sfiora appena la sua voce forte come il sole africano, dicendomi che la lasciò quando aveva appena nove anni. I pochi ricordi che conserva, sono legati ai racconti della madre. Dopo la perdita, la famiglia decise di stanziarsi nella provincia di Castelvolturno, dove è presente una delle più numerose comunità nigeriane del paese.
Mia madre aveva progettato di trasferirsi a Roma, dove viveva la sorella. Aveva documenti, visto e biglietto in ordine. Per un errore la fecero scendere a Napoli. Poi mia zia è tornata in Africa e lei ha conosciuto mio padre che invece era qui da molto più tempo”. Ci tiene a sottolineare con una certa premura che la documentazione presentata all’ambasciata era completa. “Mia madre non ha raggiunto l’Italia irregolarmente. L’hanno fatta diventare irregolare”. Quando Susan aveva dodici anni, la Questura decise infatti di negare il rinnovo del permesso di soggiorno alla signora Darboe, poiché non in possesso di un reddito adeguato ai parametri burocratici. Non avendo raggiunto ancora l’età per muovere i passi da sola tra le fila della Questura, Susan rientrava nella tutela prevista dal permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre. Come diretta conseguenza è stata costretta a vivere per alcuni anni nel proprio paese da irregolare. Non era residente. Per lo Stato Italiano lei non esisteva. Con tanto di certificato di nascita e di frequenza scolastica. “Pensavo fosse tutto uno scherzo. Non ci credevo. Sono nata in Italia. Studio in Italia. Sono italiana. Davo per scontato che a 18 anni sarei diventata una cittadina italiana”. L’aggettivo “italiana” si rincorre in modo ossessivo tra una parola di Susan e l’altra. La madre entra nella stanza e le porge un piattino con qualche pezzo di banana fritta. Affacciandosi per un attimo sullo schermo, mi chiede con divertita e garbata ironia se ne volessi anch’io un po’. La ringrazio tenendole il gioco. Scompare e sento la porta chiudersi. Dai 13 ai 18 anni, Susan, pur frequentando regolarmente la scuola, è priva di documenti, crescendo in un clima di tensione nel timore di eventuali controlli che l’avrebbero potuta in qualche modo compromettere, rischiando addirittura il rimpatrio forzato in un paese che non ha mai né visto né visitato. Da quando è nata, non ha mai lasciato il territorio italiano. “Non riuscivo ad integrarmi completamente. A scuola ero l’unica che non poteva partecipare alle gite. Alle feste ero l’unica a non essere invitata. Le maestre e mia madre mi dicevano di non farci caso. Io però un poco ci stavo male e mi chiedevo il perché”. A 18 anni, in vista anche dell’esame di Stato, dopo ininterrotti ricorsi, riesce ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ed acquisendo così una protezione internazionale da rinnovare ogni anno. Mi fa vedere il permesso. Alla voce 'nata a' compare il nome del comune di Aversa. Non noto nulla di strano. Abbozzando un sorriso, mi chiede di osservare meglio.
Paese: Nigeria. “Quando me lo rilasciarono, chiesi da quando Aversa fosse considerata una città della Nigeria. Non mi hanno saputo rispondere”.
Fuori continua a piovere incessantemente. La connessione comincia a vacillare trasferendo la chiamata ad intermittenze sempre più frequenti. Chiedo a Susan di chiudere la telefonata. La richiamo nel giro di pochi secondi. È iscritta al secondo anno di giurisprudenza e ha conseguito un certificato di inglese presso il Cambridge. Una volta concluso il ciclo di studi, potrà iscriversi all’Ordine degli Avvocati Italiani solo dopo aver presentato una documentazione degli specifici visti d’ingresso e aver sostenuto un esame di abilitazione previsto per i cittadini stranieri laureati in un’ Università italiana. Il fatto è che Susan non è mai entrata in Italia. Ci è nata e non l’ha mai lasciata. Lavora part-time con una cooperativa e non può in alcun modo firmare un contratto di lavoro per i soliti limiti imposti dai motivi legati al rilascio del permesso di soggiorno. E’ iscritta all’ ARCI e fa parte del dipartimento immigrazione CGIL di Caserta, collaborando come mediatrice culturale. “È un lavoro legato alla mia condizione e ai diritti che mi sono negati. Conosco le abitudini delle persone che arrivano in Italia. Provo a comunicare con loro e cerco di creare un’armonia rendendo le cose più semplici”. Le chiedo cosa le piacerebbe fare da grande. “L’avvocato, poiché anche se le cose dovessero cambiare, i problemi ci saranno sempre”. Mi continua a raccontare di quanto sia stato difficile per lei inserirsi e di come sia maturata nel corso degli anni riuscendo a capire come gestire le situazioni. Mi parla di partecipazione, diritti e cittadinanza in modo tecnico e preciso senza mostrare la minima esitazione. La connessione a quel punto ricomincia a dare problemi. In sottofondo sento la voce della mamma chiamarla dall’altra stanza. Mi chiede scusandosi se abbiamo finito. Con il suo consenso mi riservo di farle un’ultima domanda.
Una volta staccata la telefonata rivedo gli appunti presi fino a quel momento, poi Susan mi ricontatta. “Tra un po’ dovrei andare”. Le chiedo di Castelvolturno, della comunità nigeriana e della situazione dopo quanto accaduto negli anni scorsi. Con un attimo di perplessità, mi chiede cosa voglio sapere. “Conoscevo una delle persone uccise nella strage, per il resto ero piccola, non ricordo bene. La situazione dopo quella tragedia si è calmata. Tra italiani e immigrati c’è sempre stato un rapporto di amicizia. In fondo condividiamo tutti lo stesso problema che è anche la causa di quello che è successo e di quello che succede ogni giorno a Napoli”. Nonostante il pensiero inclinato a delineare una zona d’ombra in quello che dice, l’osservazione di Susan è impossibile da equivocare. “L’unico problema reale è quello dei documenti, che lega a doppio filo anche il problema dell’integrazione”. Per un attimo sembra avere un sussulto di curiosità e mi chiede con estrema ingenuità se può farmi una domanda. Mi parla di Jerry Masslo, della strage di Castelvolturno, di Firenze e di Senegal. Purtroppo cade la connessione. Provo a ricontattarla immediatamente senza risultato. Le dico che abbiamo finito e che può scrivermi ciò che voleva chiedermi. Sullo schermo compare una scritta: “Ogni volta che ci sono tragedie come queste, in Italia il Governo pensa bene di risarcire parzialmente i familiari e gli amici delle vittime rilasciando il permesso di soggiorno o addirittura in alcuni casi la cittadinanza. Perché deve morire qualcuno per far sì che le cose cambino?”. Saluto Susan e la ringrazio per la disponibilità, senza ovviamente essere in grado di rispondere alla domanda.
Intervista in collaborazione con Maria Seredenko e Ilaria Izzo dell’Associazione Hemispheres

http://www.levanteonline.net/index.php/litalia-sono-anchio/6093-litalia-sono-anchio-citta-di-nascita-aversa-provincia-della-nigeria.html

giovedì 5 gennaio 2012

Padova, netturbini protestano: "Licenziati perché siamo neri


Padova, netturbini protestano: "Licenziati perché siamo neri"

4 lavoratori nigeriani accampati di fronte al comune


      TMNEWS
Padova, 4 gen. (TMNews) - Si sono accampati di fronte al Comune di Padova, quattro netturbini nigeriani dipendenti della cooperativa La Casona che lavorava in subappalto per la multiutiliy AcegasAps per protestare contro il licenziamento, "ci hanno licenziato perché siamo neri", affermano.

Come riporta 'Il Gazzettino', i quattro lavoratori denunciano una discriminazione razziale per cui presenteranno un esposto in Procura, anche se alla base sta la preoccupazione dei quattro che d'ora in poi non potranno mantenere moglie e figli. Di sicuro non hanno intenzione di lasciare il loro presidio davanti al municipio di Padova fino a che non riceveranno una risposta.

A parlare per tutti è un 39enne nigeriano da 23 anni in Italia e da oltre 10 al lavoro presso La Casona che subappaltava i netturbini ad Acegas Aps che, però, ha deciso di non rinnovare il contratto. Il lavoratore nigeriano chiama in causa Acegas sottolineando che gli ordini venivano presi direttamente dalla multiutility, fatto dimostrabile dai tabulati telefonici e che la ragione del licenziamento è solo ed esclusivamente la discriminazione razziale.

La decisione di Acegas Aps è di svolgere in proprio la pulizia del centro storico, prima affidata alla cooperativa, potendo così risparmiare 120 mila euro all'anno.
 http://www.tmnews.it/web/sezioni/news/PN_20120104_00059.shtml

sabato 30 aprile 2011

"Fratelli d'Italia Fratelli in Italia"

“FRATELLI D’ITALIA FRATELLI IN ITALIA”
"Racconto italiano"
Nell’ambito di Esperienza Italia con il patrocinio della Provincia e della Città di Torino e con la 6° Circoscrizione la COMPAGNIA DI DANZA “ L’ARABA FENICE “ P R E S E N TA
con la partecipazione straordinaria di: Aziza “ Eurogymnica Torino “ Ndama Seck, direttore artistico del gruppo musicale “Baye Goor Fall” “Spirit of Africa”di Raffaela Noto “Flacara” di Petre Cristea Associazione italo-cinese “Zhi Song” di Ai Lian
A complemento dello spettacolo “ IL PUNTO PREZIOSO “ ( Giulia Colbert di Barolo e l’Unità d’Italia ) Di Renato Cosenza ( Renè )
Coreografie di Renato Cosenza e Davide Romeo
Consulenza storica: Suor Ave Tago, Madre dell’Istituto S. Maria Maddalena di Torino
Consulenza stesura libretto: Lia Cucconi
Musiche: Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Gaetano Donizetti,
Léo Delibes, L.Van Beethoven
Luci e Audio: Luca Baraldi Costumi originali: Lorella Dance - Calzature: Danc’in
CORPO DI BALLO Giulia Colbert di Barolo: Luana Schilardi e Giulia Calcina Carlo Tancredi Falletti di Barolo: Davide Romeo e Stefano Testa e Daniela Propizio, Marco Cosenza, Paola Bertotto, Roberta Morra, Stefania Pulzella
SABATO 14 MAGGIO 2011 - ORE 21
TETRO MONTEROSA Via Brandizzo 65 – Torino
Ingresso: 10 Euro Ridotti: 7 Euro Infoline e prenotazioni: 3388706798
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La Compagnia di Danza l'Araba Fenice, propone a complemento dello spettacolo “Giulia Colbert di Barolo e l’Unità d’Italia” una nuova iniziativa “ FRATELLI D’ITALIA FRATELLI IN ITALIA”, uno spettacolo dedicato alle nuove realtà presenti sul territorio torinese (e non solo) per coadiuvare il processo di integrazione nell’occasione dei festeggiamenti dell’Unità d’Italia. Interverranno nello spettacolo le comunità Rumene, Marocchine, Nigeriane e Cinesi, con canti e danze in abiti originali del loro paese affiancati dai ballerini della Compagnia di Danza L’Araba Fenice e da altri ospiti già conosciuti come Aziza, affermata étoile di danza orientale. Mentre le ginnaste agoniste di ginnastica ritmica dell'Associazione Sportiva EUROGYMNICA faranno parte integrante dello spettacolo, e ancora il gruppo di Danze Afro “Spirit of Africa”, il percussionista e direttore artistico Ndama Seck del gruppo musicale “Baye Goor Fall” attivo da 4 anni che ha partecipato anche a diversi festival a Torino e fuori Italia, tengono anche corsi di danza afro e percussioni, nati tutti d'una famiglia Griot in Senegal, l’Associazione Italo-Cinese “Zhi Song” che offrono accoglienza ai cittadini cinesi per affrontare le difficoltà di inserimento con percorsi di integrazione oltre ai corsi di lingua cinese e alla cultura italiana.

Torino spicca come presenza straniera rispetto alle altre città della Regione. Il fenomeno migratorio è caratterizzato da processi di stabilizzazione e ha profondamente modificato la compagine sociale della città. Dapprima con l’arrivo della Comunità Cinese, ora seguito da cittadini rumeni che, più di altri, connotano il profilo di accoglienza del capoluogo piemontese; Una vera “comunità comunitaria” dal primo gennaio 2007 parte integrante dell’Unione Europea. I cittadini rumeni sono fortemente concentrati in provincia di Torino (3/4 della popolazione rumena in Piemonte), e molto meno numerosi nel resto della Regione, pur risultando ovunque fra le prime cinque nazionalità residenti. Tra gli extracomunitari, marocchini e nigeriani si sono stabilizzati e, in generale, ciò è avvenuto per gli stranieri che hanno “goduto” della sanatoria del 2002. A Torino, uno dei quartieri catalizzatori per un grande numero di immigrati è attualmente rappresentato da Barriera di Milano, dove nel tempo si è creato un terreno ideale determinato da una sinergia di fattori che vanno dall’offerta abitativa (maggiori opportunità di accesso) ai servizi di utilità pubblica (mobilità, viabilità, servizi di prossimità) a favorevoli condizioni di tipo economico (costo della vita, costo delle abitazioni). Quei fattori economici che, secondo quanto riferito dall’Ufficio stranieri, creano le maggiori differenze tra immigrati e cittadini torinesi anche rispetto alla condivisione di spazi culturali. Ecco il bisogno di avere la loro partecipazione nel nostro spettacolo, rispettando così il pensiero verso “gli altri” della stessa Giulia di Barolo. Pensiero portato avanti anche dalla Fondazione Opera Barolo che ha accolto nelle sue strutture gli ultimi immigrati giunti da poco dall’Africa.


La Compagnia, prosegue così il suo tour nell'ambito di Esperienza Italia 150 con il patrocinio della Provincia di Torino, del Comune di Torino e della 6° Circoscrizione, del suo Spettacolo:”Il Punto Prezioso”, Giulia Colbert di Barolo e l'Unità d'Italia. Dopo il grande successo ottenuto al debutto il 27 gennaio 2011 al Teatro Gobetti di San Mauro Torinese si sono proseguite le rappresentazioni il 9 marzo 2011 al Teatro Monterosa di Torino, il 3 marzo 2011 al Teatro Taurus di Ciriè, il 10 marzo 2011 al Teatro Isabella di Torino, l’8 aprile alla Cascina Marchesa di Torino. La prossima rappresentazione sarà: il 20 maggio a Villa Remmert (Ciriè) con il patrocinio del Comune. Effettuerà a maggio, un tour all'interno delle Case Circondariali in tutta Italia. A Torino sarà presente al Ferrante Aporti il 25 maggio e alle Nuove in data ancora in via di definizione ma entro giugno.

articolo pubblicato il: 29/04/2011

martedì 1 giugno 2010

Dopo lo stupro, anche la beffa: lei è espulsa, salvi i carnefici

Dopo lo stupro, anche la beffa: lei è espulsa, salvi i carnefici


Scritto da supmod2 Città Giu 1, 2010 La testimone non c’è più. La ragazza nigeriana teste chiave nel processo che dovrebbe incastrare alle loro responsabilità cinque romeni accusati di stupri, violenze e d’essere gli spietati aguzzini di prostitute di colore, sembra svanita nel nulla. O, più verosimilmente, rimpatriata perché clandestina nel nostro Paese, vittima di una retata, stando a ciò che raccontano alcune sue amiche, nel corso della quale la donna non sarebbe stata in grado di spiegare la sua posizione, ne di esibire la documentazione relativa ai «motivi di giustizia che le imponevano la permanenza in Italia».

Nel novembre scorso la giovane era stata selvaggiamente picchiata dalla gang di violentatori che l’avevano stuprata a turno. La prostituta aveva però trovato la forza e il coraggio di rivolgersi ai carabinieri di Rivoli (il fatto delittuoso era avvenuto nelle campagne di Pianezza) che avevano avviato le indagini.

A seguito di queste, dopo mesi di appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, i militari avevano tratto in arresto tutti i componenti della banda. Cinque immigrati insospettabili, tutti con un lavoro, una casa e una famiglia. Un gruppo che si trasformava in una pericolosa gang ogni sabato sera quando si davano alle scorribande notturne che avevano come obbiettivo le giovani prostitute. Dopo le violenze, le povere ragazze venivano messe in posa, come se fossero state crocifisse; a turno gli aguzzini le prendevano per i capelli e, nelle istantanee, apparivamo come sinistri trofei vittime di tortura. A ribellarsi e denunciare la banda, anche un’altra prostituta che, a questo punto, resta l’unica a poter incastrare definitivamente i violentatori. Le due donne, però, hanno continuato a fare per mesi la vita di sempre, non avendo accettato l’accoglienza in comunità protetta.
Parlando della teste scomparsa, un’amica che divide con lei una stanza in città, ha raccontato: «Si trovava per caso a Porta Nuova ed è stata pizzicata in una retata, poi è andata al Cie e, infine, è stata rimpatriata». Complessa la verifica della circostanza da parte delle forze dell’ordine che sospettano che la donna abbia fornito, una volta fermata, un nome falso. Ma c’è anche un’altra ipotesi. La ragazza si sarebbe nascosta perché terrorizzata da quella che potrebbe essere una vendetta dei complici degli aguzzini che lei ha accusato.
FONTE
bardesono@cronacaqui.it

lunedì 12 aprile 2010

Cure negate senza tessera sanitaria

Muore a 13 mesi bimba nigeriana

Il documento e le cure negate a una piccola nigeriana perché il padre non aveva più il lavoro. Il caso all’Uboldo di Cernusco: la Procura apre un’inchiesta. E in duecento sfilano a Carugate per protesta

di GABRIELE CEREDA

Il padre della piccola nigeriana

Rifiutata dall’ospedale perché le era scaduta la tessera sanitaria, una bambina nigeriana di 13 mesi muore poche ore dopo. Il padre, in regola con il permesso di soggiorno, aveva appena perso il lavoro e non poteva rinnovare il documento che forse avrebbe strappato la piccola alla morte. «Uccisa dalla burocrazia», dicono gli amici della coppia, che in 200 hanno sfilato per le vie di Carugate, hinterland di Milano, dove la famiglia vive.
FOTO Gli amici in strada a Carugate


«I medici avrebbero potuto salvarla se non si fosse perso tutto quel tempo e se le cure fossero state adeguate. Se fosse stata italiana questo non sarebbe successo», grida ora Tommy Odiase, 40 anni, in Italia dal 1997. Chiede giustizia mentre stringe la mano della moglie Linda, di nove anni più giovane.
La notte del 3 marzo la piccola Rachel sta male, è preda di violenti attacchi di vomito. I genitori, spaventati, chiamano il 118. Arriva un’ambulanza che li trasporta al pronto soccorso dell’Uboldo di Cernusco sul Naviglio. Il medico di turno, in sei minuti, visita la paziente e la dimette prescrivendole tre farmaci. «Non l’ha nemmeno svestita», racconta la mamma. Sul referto medico si leggono poche parole: «Buone condizioni generali». Sono riportati anche gli orari di ingresso (00.39) e di uscita (00.45).

Il quartetto, con loro c’è anche la figlia più grande, di due anni e mezzo, gira in cerca della farmacia di turno. Ma le medicine sono inutili e alle 2 di notte l’uomo torna al pronto soccorso. Vuole che qualcuno si occupi della figlia, che sta sempre più male. «Il personale ci risponde che “la bambina ha la tessera sanitaria scaduta, non possiamo visitarla ancora o ricoverarla”», denuncia il 40enne. «Un fatto di una gravità assoluta — sottolinea l’avvocato della famiglia, Marco Martinelli — Dobbiamo capire se esistono direttive precise per casi come questo».

In mano Tommy Odiase ha un permesso di soggiorno da residente da rinnovare ogni sei mesi ma che scade in caso di disoccupazione. Il nigeriano, per ottenere il rinnovo della tessera sanitaria propria e delle figlie, doveva presentare una serie di documenti che ne attestassero la posizione, fra i quali la busta paga dell’ultimo mese. Licenziato solo sei settimane prima, la pratica si è trasformata in un incubo.

Davanti al rifiuto dei medici, l’ex operaio diventa una furia. Urla, vuole attenzione. Qualcuno dall’ospedale chiama i carabinieri per farlo allontanare. Forse dall’altra parte della cornetta ricordano che pochi giorni prima all’ospedale di Melzo, stessa Asl, era morto un bimbo albanese di un anno e mezzo rimandato a casa dal pronto soccorso. L’intervento dell’Arma risolve momentaneamente la situazione: Rachel viene ricoverata in pediatria.

Sono le 3 di notte, «ma fino alle otto del mattino nessuno la visita e non le viene somministrata alcuna flebo, nonostante nostra figlia avesse fortissimi attacchi di dissenteria e non riuscisse più a bere nulla», raccontano i genitori. Nel tono della voce rabbia e dolore si mischiano. La sera del giorno dopo la situazione è critica, tanto che oltre alla flebo accanto al letto spunta un monitor per tenere sotto costante controllo il battito cardiaco. Alle cinque e mezza il cuore della bambina si ferma, dopo 30 minuti di manovre di rianimazione viene constatato il decesso.
I carabinieri acquisiscono le cartelle cliniche, gli Odiase presentano una denuncia per omicidio colposo a carico dei medici e dell’ospedale, la Procura di Milano apre un’inchiesta con la stessa accusa contro ignoti. Ora si attendono i risultati dell’autopsia, pronti per il 12 maggio.

NEWS

mercoledì 24 marzo 2010

Viminale, Rimpatriati 51 Cittadini Nigeriani

Gio 18 Mar - 15.24

(ASCA) - Roma, 18 mar -

Rimpatriati stamane, alle 13.50, dall'aeroporto di Roma Fiumicino con un volo charter diretto a Lagos (Nigeria), 51 cittadini nigeriani, 25 dei quali espulsi dall'Italia, 10 dalla Germania, 6 dalla Grecia, 5 dall'Austria e 5 dalla Norvegia,
 scortati da operatori di polizia dei rispettivi Paesi di provenienza. A darne notizia e' il Viminale che precisa che il volo e' stato organizzato dalla Direzione Centrale dell'Immigrazione e della Polizia delle Frontiere e co-finanziato dall'Agenzia Europea per le Frontiere Esterne ''Frontex''. L'iniziativa, si precisa, ha consentito di rinviare nel Paese africano anche cittadini nigeriani, identificati in collaborazione con l'ambasciata nigeriana in Italia, dediti a reati predatori e al traffico di stupefacenti e rintracciati nelle aree metropolitane di Torino nel corso di mirate operazioni coordinate dalla Direzione Centrale Anticrimine - Servizio Centrale Operativo e condotte dalla Squadra mobile e dall'Ufficio Immigrazione. ''Il rimpatrio di oggi - aggiunge il Viminale - rientra in un progetto piu' ampio, denominato 'Defender', finalizzato a dare ancora piu' efficacia sul territorio all'azione di prevenzione e di repressione della c.d. criminalita' diffusa''.


martedì 1 settembre 2009

Italiani respinti in Nigeria in risposta alla politica di Berlusconi sull’immigrazione.




Il Nigeria è grande 3 volte l’Italia, ha una popolazione di quasi 2 volte e mezzo l’Italia.
Oggi leggo sul blog di Beppe Grillo:
Sono un giornalista italiano (indipendente e con base in Argentina…) e sarei dovuto partire per la Nigeria Mercoledi. Per la prima volta in 10 anni mi hanno negato il visto d’entrata adducendo la seguente ragione:
“Stiamo adottando una politica di ostruzionismo verso gli italiani, come risposta alle politiche di immigrazione del governo italiano”.
Le conseguenze del razzismo nel nostro paese iniziano ad essere tangibili. FACCIAMO QUALCOSA! Mi vergogno d’essere italiano, cacciamo lo psiconano ed i suoi mastini.







lunedì 22 giugno 2009

Esseri umani non solo numeri

Esseri umani non solo numeri

Susan Dabbous
MIGRANTI — In fuga da guerre e persecuzioni, 42 milioni di persone non possono vivere nel proprio Paese. Almeno oggi, nella giornata mondiale del rifugiato, i migranti sono esseri umani e non numeri. —

Syed è il figlio di un talebano, ma da molto tempo non ha più contatti con la sua famiglia perché dal suo Afghanistan è fuggito quando aveva 10 anni. Ora ne ha 20. Syed è un rifugiato arrivato a Roma due anni fa. Lui ce l’ha fatta, molti altri suoi compagni di viaggio no. Li ha visti morire assiderati durante la traversata delle montagne che separano l’Afghanistan dall’Iran, ha tentato di soccorrerli dopo i pestaggi della polizia iraniana nel carcere di Evin, prigione dove finiscono anche i clandestini.

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Syed adesso lavora come mediatore culturale, parla perfettamente l’italiano e aiuta i ragazzi che giunti nel nostro Paese tentano di crearsi una vita normale. Per farlo però dovranno gettarsi alle spalle i ricordi orribili di un viaggio fatto di camion, stive e container bui e asfissianti, con la compagnia costante dell’odore della morte.

La testimonianza di questo ragazzo ha aperto ieri la conferenza stampa a Roma dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, in occasione della giornata mondiale a loro dedicata che si celebra oggi. “Rifugiati, non solo numeri ma persone reali con esigenze reali” è il titolo scelto quest’anno, lo stesso in cui l’Ue ha deciso di blindare i propri confini.

Una scelta operata in primo luogo dall’Italia con la politica dei respingimenti recentemente adottata, che si pone in aperto contrasto con gli obblighi internazionali: la Convezione di Ginevra prevede il diritto d’asilo alle persone che per «fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche».

Il nostro Paese l’ha ratificata. «In una giornata come questa - ha affermato Giusy D’Alconzo di Amnesty International - sarebbe un bel gesto da parte delle autorità italiane dare notizia delle 500 persone rinviate in Libia nei mesi scorsi. Destino che è toccato ieri notte ad altri 77 migranti intercettati nel Mediterraneo» e rispediti al mittente libico.

A ricordare che le persone nel mare nostrum non sono solo numeri è stato anche Asinik Tuygu, il comandante della nave Pinar che ha ricevuto, nel corso della cerimonia di premiazione per chi salva le vite in mare, la menzione speciale dell’Unhcr. Il 16 aprile scorso per Asinik era iniziata una normalissima giornata di navigazione prima di incontrare due barconi in avaria pieni di migranti in stato di choc.

«Ho chiamato subito il mio armatore per chiedergli cosa dovevo fare - racconta il comandante turco -. Avevo già iniziato a prestare i primi soccorsi». La questione ha creato l’incidente diplomatico tra Malta e Italia: entrambe non volevano accogliere i migranti prima che il nostro Paese cedesse di fronte al disastro umanitario.

Durante la partita italo-maltese giocata per quattro lunghissimi giorni in acque internazionali con il cadavere di una giovane nigeriana a bordo, a prevalere, come spesso accade in mare, più che la ragion di Stato è stato il buon senso. «Se c’è in gioco la vita umana tutto il resto è un dettaglio» ha affermato Asinik con voce commossa.

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lunedì 25 maggio 2009

Folle massacra una coppia a martellate Due clandestini lo immobilizzano

Folle massacra una coppia a martellate
Due clandestini lo immobilizzano

E' accaduto alla stazione di Palermo: l'uomo è gravissimo
I nigeriani: non siamo eroi, il cuore ci ha detto di intervenire


PALERMO (11 maggio) - Un folle massacra una coppia a martellate alla stazione di Palermo, due migranti lo bloccano e ne consentono la cattura fra le urla e lo sgomento dei tanti passeggeri. Tutto si è svolto rapidamente: l'uomo, quasi certamente uno piscolabile, si è scagliato contro l coppia che si trovava nella biglietteria. Ora i due sono ricoverati in ospedale in gravissime condizioni.

Le vittime.
Fabio Conti Tozzo, di 38 anni, arrestato dalla polizia ha colpito ripetutamente alla testa Antonino Raccuglia e Marianna Ruvolo, entrambi di 67 anni, ricoverati in due ospedali della città. Il più grave è l'uomo, trasferito in coma farmacologico nel reparto di Rianimazione del Policlinico. Secondo i medici avrebbe perso anche materia cerebrale. La donna si trova all'ospedale Civico di Palermo. È in prognosi riservata, anche se non sarebbe in pericolo di vita.

Aggressione cruenta. «L'aggressore, alto circa due metri e molto robusto ha colpito, con il martello dall'alto verso in basso, le due vittime. L'uomo le ha raggiunte correndo e questo ha dato più forza ai colpi sferrati. Poi quando le ha viste per terra ha continuato a colpirle». Lo ha raccontato il dirigente della Polfer, Maurizio Ficarra che ha interrogato l'aggressore accusato di tentato omicidio.

I nigeriani: non siamo eroi. «Non siamo eroi, lo abbiamo fatto perché abbiamo sentito nel nostro cuore che in nome di Dio questa era la cosa giusta da fare: fermare quell'uomo che poco prima aveva aggredito una coppia». Così Kennedy Anetor e John Paul, entrambi nigeriani, arrivati qualche mese fa in Italia, sbarcati a Lampedusa da un carretta del mare, respingono l'appellativo di eroi.
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domenica 24 maggio 2009

Berlusconi: abbiamo posto fine ai barconi a Lampedusa. Ma a Lampedusa arriva barcone con 73 immigrati

U.E. - ITALIA
Berlusconi: abbiamo posto fine ai barconi a Lampedusa. Ma a Lampedusa arriva barcone con 73 immigrati
24 Maggio 2009

L'Italia rispetta il diritto d'asilo: Silvio Berlusconi lo ha sottolineato in una sua intervista andata in onda su Telereporter.
'C'e' il diritto d'asilo che noi rispettiamo': ha detto il premier parlando di immigrazione che, ha sottolineato, e' una questione che 'riguarda tutta l'Unione europea e ogni Stato - ha aggiunto - ha diritto di tenere chiuse le sue frontiere e di aprirle soltanto a chi va in quello Stato scappando da una situazione di mancanza di liberta' o di pericolo. E allora c'e' il diritto d'asilo che noi assolutamente riconosciamo'.
'Oppure - ha aggiunto - l'immigrazione deve essere regolare, di persone che entrano nel nostro Paese in modo regolare per inserirsi nel costume e nelle tradizioni e rispettare le leggi'.

Non si placano le polemiche sul fronte immigrazione, con Massimo D'Alema che ricorda come in Italia ad uno come Obama si dovrebbe chiedere il permesso di soggiorno. Intanto il Viminale ha reso noto che questa settimana sono stati rimpatriati 68 extracomunitari irregolari, in gran parte nigeriani, marocchini e tunisini sbarcati a Lampedusa. E nell'isola c'e stato anche l'arrivo di un gommone con 73 migranti, intercettato dalla Guardia Costiera.

Era da almeno un paio di giorni che la procura antimafia di Bari e la polizia erano in possesso di elementi che facevano ipotizzare l'imminente partenza dalla Libia di imbarcazioni con clandestini diretti in Italia. Frutto dell'indagine del pm di Bari Giuseppe Scelsi che a fine marzo ha seguito con intercettazioni telefoniche i commenti dei trafficanti nigeriani che avevano organizzato il viaggio concluso con il naufragio di due barconi e la morte di oltre 600 immigrati.
Nella giornata il dibattito politico si e' sviluppato all'incontro dei giovani editori a La Bagnaia. 'Anche Obama e' figlio di un immigrato di seconda generazione: se vivesse in Italia dovrebbe chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno', ha detto D'Alema, spiegando che 'nel mondo vincono le societa' aperte. Se si ha paura degli immigrati e dell'Islam la vecchia Europa non puo' che perdere. Chi viene qui deve rispettare le nostre leggi e la Costituzione cosi' come noi italiani, ma poi serve una politica della integrazione'. D'Alema ha anche detto di condividere 'pienamente' le parole che Gianfranco Fini 'ha piu' volte usato sul tema; non posso invece condividere certe parole e certe proposte avanzate da parlamentari che - ha aggiunto D'Alema - non aiutano la convivenza alla quale bisogna educare'. Da parte sua il presidente della Camera ha detto: 'Dove sta scritto che la destra nei confronti dell'immigrazione debba essere solo 'respingiamoli', il che e' anche cosa giusta nel caso dei clandestini? Io dico integriamoli'.

Per il ministro degli Esteri Franco Frattini l'Europa 'deve portare lo sviluppo nei paesi da dove arrivano flussi migratori di persone'. Frattini ritiene che 'l'Europa debba andare alle radici profonde dell'immigrazione; per questo dobbiamo portare lo sviluppo nei loro paesi; quando arrivano a Lampedusa e' troppo tardi'. Quanto agli immigrati, per Frattini bisogna 'distinguere tra legalita' e illegalita', tra persone oneste e quelli che entrano illegalmente e lavorano nell'economia in nero. Legalita' e illegalita' non sono la stessa cosa, altrimenti agli immigrati che sono legali che lezioni diamo?'.
Di Europa ha parlato anche il ministro per le Politiche comunitarie, Andrea Ronchi: 'Sull'immigrazione l'Europa ha lasciato sola l'Italia, a dimostrazione che questa Europa non funziona, e' assente dal Mediterraneo e l'immigrazione e' diventata un problema gravissimo'. Ronchi ha anche ribadito che 'le politiche sull'immigrazione adottate del governo sono perfettamente in sintonia con quelle europee'. Mentre il presidente dei senatori Pdl, Maurizio Gasparri, ha detto che i respingimenti sono un 'nostro pieno diritto e continueremo, ne faremo di piu', perche' il diritto internazionale, gli accordi fatti con molti paesi a partire dalla Libia, ci consentono di respingere chi entra illegalmente in Italia'. Ma il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ritiene che si debbano 'evitare respingimenti indifferenziati' per rispettare le 'singole vicende umane'.

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venerdì 8 maggio 2009

Guantanamo Libya. The new Italian border police

Guantanamo Libya. The new Italian border police

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Centro di detenzione di ZlitanTRIPOLI - The iron door is closed. From the small loophole I see the faces of two African guys and one Egyptian. I can't stand the acrid smell coming from the holding cells. I ask them to move. Now I can see the whole room, three meters per eight. There are some thirty people inside. Piled one over the other. There are no beds, people sleep on the ground on some dirty foam mattresses. Behind, on the walls, somebody has written Guantanamo. But we are not in the U.S. base. We are in Zlitan, in Libya. And the detainees they are not suspected terrorists, but immigrants arrested south of Lampedusa.

Centro di detenzione di ZlitanPeople press behind the door. They have not been receiving any visits since they were arrested. Someone raises the voice: "Help us!" A young man put the hand out of the loophole and give me a piece of cardboard. There is written a telephone number, by pen. The prefix is that of Gambia. I put it in my pocket, hiding from the police. His name is Outhman. He asks me to tell his mother he is still alive. He has been locked in this prison for the last five months. Fabrice instead spent here nine months. Both of them were arrested during police raids in the immigrants neighbourhoods in Tripoli. Since several years actually, Libya is committed to patrol the European southern border. With any means. In 2003 Italy signed an agreement with Gaddafi and sent oversea motorboats, cars and body-bags... funding detention centres and deportation flights. Since then, tens of thousands of immigrants and refugees every year are arrested in Libya and held in such inhuman conditions.

Centro di detenzione di Zlitan"People are suffering here! The food is bad, and the water is dirty. We are sick and there are pregnant women." Gift is 29 years old. She is from Nigeria. She was arrested three months ago, while she was walking with her husband on the street. They left two children in Tripoli, she said. She is not allowed to call them. Her husband has been repatriated the previous week. She is still here, alone, wearing the same clothes she had when she was taken prisoner. Before, she has been living in Libya for three years, working as a hairdresser, and she didn't have any idea to cross the sea towards Italy, as many of the other immigrants who are here.

Il direttore del campo di Zliten, Ahmed SalimIt is not the case of Y. Because he really dreamed about Europe. He is Eritrean and he deserted the army in order to seek for political asylum in Europe. He was apprehended in the sea. By the Libyans police. And locked here in Zlitan. Before entering in the office of the director – Ahmed Salim -, a policeman whispers something to him. When we ask him about the conditions of the prison, he answers with a trembling voice: "Everything is good." He is frightened. He knows that if he says something wrong he will be beaten. The director smiles in front of him and grants us he will not be deported. Within the next week he will be transferred to the detention centre of Misratah, 210 km east of Tripoli, where all the Eritreans refugees are concentrated.

Mezzi di pattugliamento al centro di ZuwarahIn the region of Zlitan, there are three other detention centres for immigrants, in Khums, Garabulli and Bin Ulid. They are smaller and detainees kept there are normally moved to the camp of Zlitan, which can hold up to 325 people. But how many detention centres are there in Libya? According to the evidences we collected in the last years, they are at least 28, mostly concentrated along the coast. There are three kinds of centres. There are concentration camps, like those of Sebha, Zlitan, Zawiyah, Kufrah and Misratah, where migrants and refugees are concentrated waiting for their deportation. Then there are smaller facilities, such as Qatrun, Brak, Shat, Ghat, Khums ... where aliens are held for a shorter period of time before being sent to the bigger camps. And then there are the prisons: Jadida, Fellah, Twaisha, Ain Zarah ... Common prisons I mean, with entire branches dedicated to undocumented foreigners. The most known one was the prison of Fellah, in Tripoli, but it was recently demolished to construct a new building, in line with the restyling of the entire city. Its function was replaced by Twaisha, the prison near the airport.

La chiesa di San Francesco, a TripoliKoubros managed to escape from Twaisha only few weeks ago. He is Eritrean, 27 years old. He used to live in Sudan, but after an Eritrean friend was deported from Khartoum, he suddenly decided to leave towards a safer place in Europe. He went out from Twaisha walking with crutches. He says he was seriously beaten by a drunk policeman who asked him money. Hopefully his Eritreans cell mates collect some money to let him free. To bribe a prison guard $ 300 is enough. I met him in front of the church of San Francesco, in Tripoli. Like every Friday, about fifty African migrants are waiting for the opening of Caritas. Tadrous is one of them. He was released last October from the prison of Surman. He is one of the few refugees having been judged by a court. His story interests me. It was on June 2008. They took the sea from Zuwarah, in 90 people. But after a few hours they decided to come back, because of the stormy sea, and they were arrested. The judge sentenced them to 5 months of detention, with the charge of illegal emigration. I ask him if he was given a lawyer. He simply smiles shaking the head. The answer is no.

Nothing strange, says the lawyer Abdussalam Edgaimish. Libyan law does not provide free legal aid for crimes punishable by less than three years. Edgaimish is the director of the Bar of Tripoli. He welcomes us in his office, in the First September road. He explains us that the practice of arrest and detention of immigrants have nor legal basis neither a validation from the court. Any Libyan citizen, according to the law, could not be deprived of liberty without a warrant of arrest. But for foreigners it is not the same. Police raids are usual. The practice is that of house-to-house raids in the suburbs of Tripoli.

Pattuglie a Zuwarah"Migrants are victims of a conspiracy between the two shores of the Mediterranean. Europe sees only a security problem, but nobody wants to talk about their rights. " Jumaa Atigha is also a lawyer of Tripoli, graduated in Rome in 1983. Since 1999, he chaired the Organization for the Human Rights of the Foundation led by the firstborn of Gaddafi, Saif al Islam. In 2007 he resigned. During his presidency he led a national campaign, making the Government release 1,000 political prisoners. He describes a country involved in a rapid change, but still far from an ideal situation with respect to individual and political freedom. Atigha knows well the conditions of detention in Libya. From 1991 to 1998 he has been jailed without trial, as a political prisoner. He tells us that torture is a common practice among the Libyan policemen. "The lack of awareness means that policemen think to serve justice, while they are torturing people"

Mustafa O. Attir think the same. He is professor of sociology in the Tripoli University of El Fatah. "It is not simply a problem of racism. Libyans are kind with foreigners. It is a matter of police." Attir knows what he says. He visited Libyan prisons as a researcher in 1972, 1984 and 1986. Police officers have no education – he tells us - and are instead educated to the concept of punishment.

Parrucchiere ghanese a TripoliSuddenly his words make me rethink to the Ghanaian hairdressers in the medina, the Chadian tailors, the Sudanese shops, the Egyptians waiters, the Moroccan ladies in the cafeterias, and the Africans cleaning the roads every night. While Eritreans refugees are hiding themselves in the suburbs of Gurji and Krimia, thousands of African immigrants live and work here, maybe exploited, but with a relative peace. Certainly for Sudaneses and Chadians people, everything is easier. They speak Arabic and they are Muslims. They have been living in Libya for tens of years and therefore they are quite tolerated. The same for Egyptians and Moroccans. Instead is different for Eritreans and Ethiopians. They are here only for a transit to Europe. Often they do not speak Arabic. Often they are Christians. And their grandparents fought against Libyans with the Italian colonial troops. And as they travel with the money for the crossing in the pocket, they are often stolen even in the street. For the Nigerians, and more generally for the Anglophone sub-Saharan, is different. If they are directed to Europe or not, it is not important. Their integration in the Libyan society clashes systematically with the racist stereotypes against Nigerians, linked to the crimes of some Nigerian criminal networks. They are accused of smuggling drugs and alcohol, exploiting prostitution, bringing the Hiv virus and perpetrating robbery and murders.

Università el Fateh, TripoliDuring 2007, professor Attir organized three conferences on the subject of immigration in the Arab countries. In Libya he is one of the greater experts. And he is ready to deny the figures circulating in Europe. "Two million immigrants in Libya are waiting to leave to Italy? It is not true." Actually there is no statistic at all. The Libyan population is five and a half million people. Foreigners can not reasonably be more than one million, including Arab immigrants. Most of them have never thought to cross the sea. And Libya need them, because its economy is growing up, and the country is underpopulated and its citizens don't want any more to do heavy and cheap labours. Attir is aware of the pressures that Europe is doing on Libya. But he also knows that "there is no way" to stop the transit of migrants in the sea.

Pattuglie a ZuwarahLibya has about 1,800 km of coastline, largely uninhabited. Colonel Khaled Musa, head of anti-immigration patrols in Zuwarah, don't really think that the six patrol boats promised by Italy will solve the problem. For sure they will help to control the coast between the Tunisian border, Ras Jdayr, and Sabratah. But it is only around 100 km. The 6% of the Libyan coast. And the departures have already moved on the coasts east of Tripoli, between Khums and Zlitan, more than 200 km from Zuwarah. The department of immigration of Zuwarah was created in 2005. The number of migrants arrested fell from 5,963 in 2005 to 1,132 in 2007. For the head of the investigations department, Sala el Ahrali, the figures show the success of the repressive measures. Many smugglers have been arrested, that is why the departures decreased. And the coast is patrolled every night, by cars. Every ten kilometres there is a police tent, on the beach. But only along 50 kilometres from the Tunisian border, from Farwah, to Mellitah, near the gas treatment plant owned the Italian Eni and the Libya's National Oil Company.

Jehad Nga for The New York TimesIt goes from Mellitah to Gela, in Sicily. Greenstream, this is its name, is the longest underwater pipeline in the Mediterranean. Ironically, it runs along the same route which leads thousands of migrants to Lampedusa. On the surface of the sea, EU sends its military forces to stop the transRit of human beings. While at the bottom of the sea, eight billions cubic meters of gas annually pass through the 520 km of pipes, among the bones of thousands of victims of migration. An image that perfectly summarizes the relationship of the last five years between Rome and Tripoli, leaded under the slogan "more oil, less immigrants".


Read also:
Libya: inside the immigrants detention centre of Misratah
Border Sahara: the detention centres in the Libyan desert
Download the Fortress Europe 2007 Report: Escape from Tripoli


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