Visualizzazione post con etichetta AFRICA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta AFRICA. Mostra tutti i post

domenica 9 febbraio 2014

Spagna, “proiettili di gomma e piombo contro migranti poi respinti in Marocco”

Spagna, “proiettili di gomma e piombo contro migranti poi respinti in Marocco”

La prova in un video amatoriale mandato in onda da "La Sexta". Gli agenti non hanno prestato alcun soccorso mentre alcuni affogavano, in attesa poi di ricondurre le otto persone giunte sulla battigia dall’altro lato del recinto che divide i due Paesi fino al mare. Il delegato del governo e la Guardia Civil negano. Ma l'opposizione chiede le dimissioni del ministro degli Interni

Spagna, “proiettili di gomma e piombo contro migranti poi respinti in Marocco”

Ha già detto che la settimana prossima riferirà in Parlamento. Ma l’opposizione chiede a gran voce le sue dimissioni. Il ministro degli Interni spagnolo Jorge Fernández Díaz, insieme alla Guardia civil, avrebbe mentito sulla morte dei 13 migranti che giovedì sera tentavano di varcare la frontiera ibero-marocchina. Centinaia di subshariani avevano preso d’assalto il confine con Ceuta. Alcuni erano stati respinti in territorio marocchino dalla gendarmeria. Altri invece, erano riusciti a raggiungere a nuoto il suolo iberico. È stato allora che la Guardia civil avrebbe prima sparato (proiettili di gomma e di piombo, secondo le prime testimonianze) contro gli uomini in acqua e lanciato lacrimogeni. Poi gli agenti spagnoli hanno scortato con una cordata umana alcuni migranti, che era riusciti a raggiungere la riva sani e salvi, restituendoli al territorio marocchino. Una procedura che va contro la legge sull’immigrazione: quando un immigrato tocca terra iberica, per legge deve essere portato in questura per il riconoscimento e poi trasferito al più vicino Ceti, Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes (centro di permanenza temporanea degli immigrati). In questo caso proprio a Ceuta.
La prova sta tutta in un video amatoriale, mandato in onda dalla televisione La Sexta. Le immagini girate sulla spiaggia del Tarajal non solo mostrano come i migranti fossero già in acque spagnole, ma anche come gli agenti non hanno prestato alcun soccorso mentre alcuni affogavano, in attesa poi di ricondurre le otto persone giunte sulla battigia dall’altro lato del recinto che divide i due Paesi fino al mare. La Guardia civil ha poi confermato che la “riconsegna” dei migranti che arrivano a nuoto dal Marocco è “frequente” e fa parte di un protocollo secondo il quale, quando è chiaro che un immigrato ha appena lasciato il suo territorio d’origine, si omette il processo amministrativo d’espulsione e si esegue direttamente la consegna della persona in questione alle forze della polizia marocchina. Il problema però è capire se questo protocollo sia legale. Per questo alcune organizzazione non governative per la tutela degli immigrati hanno chiesto di aprire con urgenza un’inchiesta sul caso che faccia luce sulle modalità di controllo delle frontiere di Ceuta e Melilla.
Francisco Antonio González, delegato del governo a Ceuta, ha assicurato che le vittime facevano parte di un gruppo di circa 400 subshariani che giovedì hanno tentato di scavalcare il recinto. Individuati dalla gendarmeria marocchina, gli immigrati si sarebbero divisi in vari gruppi. Uno di questi si è diretto verso il mare nel disperato tentativo di fuggire agli agenti e passare il confine. Le prime testimonianze dei sopravvissuti parlano chiaro: la Guardia civil ha aperto il fuoco. Alcuni parlano di proiettili di gomma, altri di palle di piombo, versione confermata poi dal ritrovamento di alcuni bozzoli lungo la spiaggia. Affermano inoltre che gli agenti avrebbero usato del gas lacrimogeno contro le persone in acqua, provocando il panico e quindi la morte, finora accertata, dei 13 migranti. Insomma non sarebbe stata la polizia marocchina, così come ipotizzato dal governo spagnolo, ma gli stessi agenti della Guardia civil a usare il pugno duro.
Il delegato del governo ha però negato la versione degli immigrati in conferenza stampa. “Sono stati utilizzati proiettili di gomma e mai contro gli immigrati. Si è fatto ricorso anche alle armi da fuoco solo per spaventare con il rumore quelle persone”, ha dichiarato, assicurando che gli agenti hanno puntato sempre in aria. Anche la Guardia civil ha detto di non aver usato armi da fuoco contro gli immigrati, anche se ha riconosciuto quello di materiali antisommossa con intento intimidatorio. Secondo la versione degli agenti era d’altronde impossibile sparare direttamente sulla persone, visto che in mezzo c’era un recinto alto sei metri. Assicurano poi che, una volta attraversata la frontiera, gli spari sono stati comunque rivolti in aria per dissuadere i subshariani a continuare la marcia verso il territorio spagnolo.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/08/spagna-proiettili-di-gomma-e-piombo-contro-migranti-poi-respinti-in-marocco/873860/

domenica 6 dicembre 2009

Voglio i miei soldi": ucciso

                   Voglio i miei soldi": ucciso

La vittima Ibrahim M'Bodi e il luogo dove è stato trovato



Biella, senegalese litiga col datore
di lavoro. Colpito con 9 coltellate
PAOLA GUABELLO
BIELLA
Non voleva pagargli gli arretrati, gli aveva perfino detto d’iscriversi al registro degli artigiani per sbarazzarsi di lui come dipendente. Ma Ibrahim M’Bodi, senegalese con regolare permesso di soggiorno, fratello di Adam, segretario della Fiom-Cgil a Biella, non era d’accordo e soprattutto voleva i soldi che gli spettavano di diritto. Così è scoppiata la lite, poi uno dei due ha estratto un coltello: M’Bodi, 35 anni, è morto ammazzato da nove coltellate.

Ha confessato subito Michele D’Onofrio. Davanti ai carabinieri, dopo un breve interrogatorio, non ce l’ha fatta a reggere la pressione e ha parlato. Artigiano residente a Zumaglia, centro del Biellese di mille abitanti dove abitava anche la vittima, era esperto di arti marziali. «Lui ha tirato fuori il coltello e allora ho reagito, un momento di follia», ha detto agli inquirenti. Sul corpo del senegalese è stata eseguita l'autopsia, nei prossimi giorni si saprà l’esito. Dal referto del medico legale dovrebbe uscire l'ora in cui è avvenuta la morte, che dovrebbe risalire a un paio di giorni prima del ritrovamento del cadavere, e i punti in cui sono state inferte le nove coltellate: se solo davanti o anche sulla schiena, e se sono presenti lesioni da difesa. Dettagli fondamentali per i vcapi d’imputazione.

Ibrahim M’Bodi era stato trovato senza vita mercoledì mattina nel canale di scolo di una risaia a Ghislarengo, nel Vercellese, lungo la strada provinciale che collega il paese a Rovasenda. Una distesa di campi tagliata da stradine sterrate e fossati che col favore delle tenebre aveva inghiottito il corpo dell’africano fino a quando un acquaiolo che passava di lì, verso mezzogiorno, lo aveva notato dando l’allarme.

Il cadavere era stato ripulito dal sangue. L’assassino andava di fretta e soprattutto voleva agire indisturbato e senza destare sospetti: si è liberato così della sua vittima, imboccando una stradina che parte dalla provinciale e che si perde tra le risaie addentrandosi per un centinaio di metri. Un disperato tentativo di ritardare il ritrovamento oppure di depistare le indagini. Senza nome

Per diverse ore la salma è rimasta all’obitorio di Vercelli senza un nome: l’ucciso non aveva documenti, solo dalle impronte digitali i carabinieri sono riusciti a dargli un’identità. «Il mio cliente si è dimostrato collaborativo con gli inquirenti - spiega l'avvocato Alessio Ioppa di Borgosesia che ha assunto la difesa di D’Onofrio assieme al collega Massimo Mussato di Vercelli - e in effetti potremmo dire che ha per certi versi confessato. Di più non posso anticipare, in quanto le indagini sono ancora in corso».

In queste ore gli investigatori stanno cercando di ricostruire la vicenda. Sarà di estrema importanza, ai fini di comprendere il movente del delitto, ritrovare e analizzare il coltello, soprattutto per ciò che riguarda le impronte digitali. L'omicidio sarebbe avvenuto nel Biellese e l'ipotesi appare confermata anche dal fatto che, a breve, il fascicolo verrà trasmesso dalla procura di Vercelli ai colleghi di Biella. Intanto le organizzazioni sindacali hanno indetto un presidio mercoledì prossimo davanti alla prefettura di Biella, dalle 11 alle 12, perchè «l’omicidio di Ibrahim da parte del suo datore di lavoro non può passare sotto silenzio. Fatti di inaudita gravità come questo rientrano in un clima generale di imbarbarimento dei rapporti sociali, con la possibile aggravante dell'odio razziale».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200912articoli/50063girata.asp

mercoledì 7 ottobre 2009

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno
Dopo la gravissima operazione della guardia di finanza contro gli africani del quartiere romano, oggi hanno preso parola i residenti del quartiere, che lamentano il clima di paura e denunciano le manovre speculative dietro la pulizia etnica di via Campobasso. Con la scusa della «sicurezza».

Decine di finanzieri con manganello al contrario irrompono nelle case dei migranti senegalesi e nigeriani con la scusa di «controlli antiabusivismo commerciale», e portano via una cinquantina di persone, lasciandosi dietro porte sfondate, case distrutte e qualche ferito.
La scena è avvenuta ieri pomeriggio al Pigneto, quartiere all’inizio della via Prenestina al centro di «riqualificazione»: le guide dei locali romani scrivono che questa zona è un po’ «come Tribeca a New York»: case basse, artisti e locali. Dentro questo scenario vive una composizione sociale a tante facce: giovani in carriera, anziani nati e cresciuti tra la circonvallazione Casilina e porta Maggiore, studenti fuorisede e migranti, soprattutto bengalesi e africani. Se ti capita di fare molto tardi, al Pigneto, fai a tempo a vedere le birrerie che chiudono e le bancarelle del mercato che aprono, seguendo un ideale passaggio di testimone che rappresenta bene l’equilibrio delicato della zona. È un equilibrio, quello tra i giovani che hanno rianimato le piazze, i migranti che qui lavorano e gli abitanti storici, che le istituzioni e le forze dell’ordine dovrebbero contribuire a mantenere e non lavorare per demolire. Invece, i finanzieri ieri sono arrivati a muso duro per perquisire la case. Sono stati respinti fermamente dai migranti, che chiedevano se avessero un mandato di perquisizione, e sono tornati poco dopo in tanti e in assetto antisommossa, decisi a fargliela pagare a questi africani che conoscono persino i loro diritti.
Ma questa è anche una storia di resistenza, oltre che il resoconto di un normale abuso nella libera Italia di Bossi-Fini e Berlusconi e nella Roma di Alemanno e Storace. Per questo, quando la via piena di passanti assiste al rastrellamento, si mobilita. Qualcuno chiama gli avvocati, i rappresentanti della comunità senegalese, accorrono anche i ragazzi dell’Onda che poco lontano hanno occupato una palazzina per farne una casa dello studente autogestita, «Point break».
A decine si ritrovano all’ufficio immigrazione della Questura di Roma, dove si scopre che 18 migranti verranno trattenuti «per accertamenti», mentre di altri sette non si hanno notizie. È di questo pomeriggio la conferenza stampa del comitato di quartiere e degli abitanti multicolore del Pigneto, che mostrano di avere le idee chiare. «Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa – hanno spiegato quelli del comitato – Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città». Anche gli abitanti parlano di «rastrellamento in piena regola». «Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe ‘ripulire’, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio – proseguono gli abitanti – Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case e’ in costante ascesa. Noi cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione».
Se si scende dall’isola pedonale verso il ponte che oltrepassa la linea ferroviaria, sulla destra c’è via Campobasso, la via degli africani. Fino a qualche anno fa, quando al Pigneto c’era solo un’osteria, questa stradina era meta dei cinefili perché è qui che si trova l’oratorio di don Pietro, il parroco che 54 anni fa aiutava i partigiani interpretato da Aldo Fabrizi in «Roma città aperta». Altri tempi, altri rastrellamenti.

 fonte

sabato 19 settembre 2009

Strage di Castel Volturno, l'inchiesta Il boss: "Uccidete anche le donne"

E in una lettera Setola intimò ai magistrati: "Scarcerate mia moglie"

Giuseppe SetolaIl terrore mafioso aveva quell´unico movente, «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire». E un chiaro piano esecutivo. «L´ordine di Giuseppe Setola era: "Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne"», ha raccontato l´assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l´altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più. Dovevamo fingerci carabinieri, indossare le pettorine, fare una perquisizione in quel locale, attendere che si calmassero le acque e poi ucciderli tutti. La disposizione era che tutti quanti noi dovevamo sparare. E non doveva rimanere nessun testimone».Andò così. Per caso non c´erano anche le donne.


Un anno dopo, ecco le istruzioni complete degli stragisti di Castel Volturno. Legge dei casalesi, la mafia che non distingue gli africani. Un lavoratore vale quanto un bandito, muoiano uno sull´altro, mentre i sicari colpiscono alla cieca e abbattono un sarto, due clienti operai, due manovali, un loro amico che passava. L´obiettivo viene centrato oltre ogni delirio criminale, in quel 18 settembre 2008. Al chilometro 43 della Statale Domitiana, dentro e fuori la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion", cadono infatti sei uomini.


Tutti innocenti, si può confermare oggi sulla scorta degli approfondimenti giudiziari e a dispetto di quanti - persino ministri in carica - li bollarono come «spacciatori».Sono i sei cittadini ghanesi uccisi dalle sventagliate di kalashnikov, mitragliette e pistole, centrotrenta colpi. È un anno, domani. Un tempo che la giustizia non ha fatto passare invano: il mandante e cinque esecutori della clamorosa azione di sangue sono già alla sbarra, dopo la complessa istruttoria firmata dai pm Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il coordinamento del procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho. Oltre al boss Setola, i killer Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia, Davide Granato, Antonio Alluce. Tra due mesi comincia il processo. E dalle mille pagine dell´inchiesta emergono per la prima volta anche velate minacce contenute in alcune lettere del padrino Setola, messaggi inviati a pubblici ministeri e giudici.

lunedì 8 giugno 2009

Lettera di protesta che abbiamo scritto per l’incontro tra Gheddafi e 700 donne italiane

Lettera di protesta che abbiamo scritto per l’incontro tra Gheddafi e 700 donne italiane

Pubblichiamo il testo di una lettera di protesta contro l’ incontro programmato per il prossimo 12 giugno tra il leader libico Gheddafi e 700 donne italiane scelte da deputate, imprenditrici e semplici casalinghe guidate da Mara Carfagna e dalla presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia

Al Leader della Gran Giamahiria Araba Libica Popolare Socialista

(Per conoscenza, alle e ai rappresentati del governo italiano e dell’Unione europea)
----------------------------------------------
Gentile Muammar Gheddafi,

noi non facciamo né vogliamo far parte delle 700 donne che lei ha chiesto di incontrare il 12 giugno durante la sua visita in Italia.
Siamo, infatti, donne italiane, di vari paesi europei e africani estremamente preoccupate e scandalizzate per le politiche che il suo Paese, con la complicità dell’Italia e dell’Unione europea, sta attuando nei confronti delle donne e degli uomini di origine africana e non, attualmente presenti in Libia, con l’intenzione di rimanervi per un lavoro o semplicemente di transitarvi per raggiungere l’Europa.

Siamo a conoscenza dei continui rastrellamenti, delle deportazioni delle e dei migranti attraverso container blindati verso le frontiere Sud del suo paese, delle violenze, della “vendita” di uomini e donne ai trafficanti, della complicità della sua polizia nel permettere o nell’impedire il transito delle e dei migranti.

Ma soprattutto siamo a conoscenza degli innumerevoli campi di concentramento, a volte di lavoro forzato, alcuni finanziati dall’Italia, in cui donne e uomini subiscono violenze di ogni tipo, per mesi, a volte addirittura per anni, prima di subire la deportazione o di essere rilasciati/e.

Alcune di noi quei campi li hanno conosciuti e, giunte in Italia, li hanno testimoniati.
Tra tutte le parole e i racconti che abbiamo fatto in varie occasioni, istituzionali e non, o tra tutte le parole e i racconti che abbiamo ascoltato, scegliamo quelli che anche Lei, insieme alle 700 donne che incontrerà, potrà leggere o ascoltare.

Fatawhit, Eritrea : “Il trasferimento da una prigione all’altra si effettuava con un pulmino dove erano ammassate 90 persone. Il viaggio è durato tre giorni e tre notti, non c’erano finestre e non avevamo niente da bere. Ho visto donne bere l’urina dei propri mariti perché stavano morendo di disidratazione. A Misratah ho visto delle persone morire. A Kufra le condizioni di vita erano molto dure (…) Ho visto molte donne violentate, i poliziotti entravano nella stanza, prendevano una donna e la violentavano in gruppo davanti a tutti. Non facevano alcuna distinzione tra donne sposate e donne sole. Molte di loro sono rimaste incinte e molte di loro sono state obbligate a subire un aborto, fatto nella clandestinità, mettendo a forte rischio la propria vita. Ho visto molte donne piangere perché i loro mariti erano picchiati, ma non serviva a fermare i colpi dei manganelli sulle loro schiene. (…) L’unico metodo per uscire dalle prigione libiche è pagare.”

Saberen, Eritrea: “Una volta stavo cercando di difendere mio fratello dai colpi di manganello e hanno picchiato anche me, sfregiandomi il viso. Una delle pratiche utilizzate in questa prigione era quella delle manganellate sulla palma del piede, punto particolarmente sensibile al dolore. Per uscire ho dovuto pagare 500 dollari.”

Tifirke, Etiopia: “Siamo state picchiate e abusate, è così per tutte le donne”. (Dal film “Come un uomo sulla terra”).

Siamo consapevoli, anche, che Lei e il suo Paese non siete gli unici responsabili di tali politiche, dal momento che gli accordi da Lei sottoscritti con il governo italiano prevedono ingenti finanziamenti da parte dell’Italia affinché esse continuino ad attuarsi e si inaspriscano nei prossimi mesi e anni in modo da bloccare gli arrivi dei migranti sulle coste italiane; dal momento, inoltre, che l’Unione europea, attraverso le sue massime cariche, si è espressa in diverse occasioni a favore di una maggiore collaborazione con il suo Paese per fermare le migrazioni verso l’Europa.

Facciamo presente innanzitutto a Lei, però, e per conoscenza alle e ai rappresentati del governo italiano, alle ministre e alle altre rappresentanti del popolo italiano che Lei incontrerà in questa occasione, così come alle e ai rappresentanti dell’Unione europea, una nostra ulteriore consapevolezza: quella per cui fare parte della comunità umana, composta da donne e uomini di diverse parti del mondo, significa condividere le condizioni di possibilità della sua esistenza.

Tra queste, la prima e fondamentale, è che ogni donna, ogni uomo, ogni bambino, venga considerato un essere umano e rispettato/a in quanto tale.

Finché tale condizione non verrà considerata da Lei né dalle autorità italiane ed europee noi continueremo a contestare e a combattere le politiche dell’Italia, della Libia e dell’Unione europea che violano costantemente i principi che stanno alla base della sua esistenza e fino a quel momento, quindi, non avremo alcuna voglia di incontrarla ritenendo Lei uno dei principali e diretti responsabili delle pratiche disumane nei confronti di una parte dell’umanità.

- Firmatarie:

Federica Sossi, Alessandra Sciurba, Isabelle Saint-Saens, Glenda Garelli, Anna Simone

- Per adesioni individuali semir@libero.it )

mercoledì 20 maggio 2009

SI PUO FIDARE?

La Libia sicuramente sta prendendo qualcuno per 'c..lo.'
chi è?

  1. L'Africa ?
  2. L'Europa ?
  3. Se stessa ?
-------------------------------------------------------------

giovedì 14 maggio 2009

martedì 12 maggio 2009

Immigrati/ Respingimenti verso Libia,una strategia con stop and go

Immigrati/ Respingimenti verso Libia,una strategia con stop and go

Ce la farà Tripoli a reggerli con rischio collasso su sue coste?

postato 33 min fa da APCOM

ARTICOLI A TEMA
Quale respiro temporale può avere la strategia dei respingimenti degli immigrati clandestini verso la Libia inaugurata dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni? Sarà in grado Tripoli, da sola, di reggere l'urto del rientro di migliaia di disperati sulle proprie coste, rischiando l'aggravarsi di una emergenza umanitaria? Con le polemiche sul diritto alla richiesta d'asilo ('negato' dai respingimenti, secondo le organizzazioni umanitarie) sono questi gli interrogativi che accompagnano la 'svolta' annunciata dal ministro Maroni con la 'linea dura' nel contrasto ai flussi di clandestini che arrivano dal paese nordafricano. Dal 7 maggio, sono circa 500 gli immigrati clandestini raccolti in mare da mezzi navali italiani e riportati in Libia con l'ok di Tripoli. Da ieri, non si segnalano respingimenti. E' arrivato, semmai, il primo 'no' delle autorità libiche all'approdo del pattugliatore 'Spica' della Marina Militare italiana che nella notte aveva soccorso un barcone con 69 clandestini a bordo. Dopo una trattativa con i libici, terminato con il 'no' allo sbarco, e l'ennesimo 'niet' dalle autorità maltesi all'accoglienza dei clandestini, l'unità della marina militare ha dovuto fare rotta verso Porto Empedocle. E' un segnale - fa notare una fonte qualificata - che i libici non possono riprendersi tutti quelli che partono dalle loro coste e che vengono intercettati in acque internazionali dalle nostre unità navali. Insomma, la situazione non è semplice. Sebbene la Libia abbia trasformato, con l'accordo siglato a fine agosto tra Gheddafi e Berlusconi, l'Italia da paese 'quasi' nemico per i trascorsi coloniali non risolti a Paese amico è difficile immaginare che la strategia 'vincente' per contenere i flussi siano i respingimenti con una disponibilità illimitata del Paese nord africano; soprattutto se non ci sarà un impegno, invocato a più riprese dallo stesso ministro dell'Interno, dell'Unione europea. Nell'accordo tecnico siglato tra Italia e Libia per il contrasto all'immigrazione clandestina (che non è mai stato reso pubblico) - secondo una fonte - all'articolo 6 si farebbe riferimento all'impegno della Libia al rispetto Convezione Onu dei diritti dell'Uomo. L'avvio dei pattugliamenti previsti dall'accordo italo-libico è previsto il 15 maggio. Un giorno prima, a Gaeta, ci sarà la consegna delle unità navali alla Libia. I respingimenti sono iniziati tra il 6 e il 7 maggio. Se i respingimenti fanno parte di una intesa 'last minute' (non ci sono conferme ufficiali che i respingimenti siano contenuti nell'accordo) lo si capirà presto. L'obiettivo di spostare più a Sud la frontiera del contrasto all'immigrazione, allegerendo così la situazione a Lampedusa, potrà riuscire - spiega la fonte qualificata - solo se la Libia non sarà lasciata sola. Da qui a giugno, lo scenario potrebbe rapidamente cambiare. Come? La 'linea dura' adottata dal governo potrebbe essere accompagnata da qui a breve da una apertura alla collaborazione con organismi internazionali ed europei per la tutela degli immigrati richiedenti asilo sul territorio libico dove i centri sono già al collasso e sono pieni di persone che provengono da zone dove ci sono violenze e guerre. In quel caso, il governo incasserebbe un doppio successo: sul piano operativo, spostando più a Sud il contrasto al traffico di essere umani e su quello umanitario, ottenendo che le richieste sul diritto d'asilo siano vagliate in Libia, prima ancora della partenza verso le coste italiane. E' una questione di scelta dei tempi per Italia e Libia, ora Paesi 'amici'. Ma non solo.

lunedì 26 gennaio 2009

Onu: “A Lampedusa preoccupante situazione umanitaria”

Onu: "A Lampedusa preoccupante situazione umanitaria"

La propaganda del governo, invece di affrontare i probelemi, li aggrava. Il pericolo è che per ottenere consenso cresca il razzismo. Intanto i 'diritti civili' e 'umani' sono messi in secondo piano.

lampedusCon la campagna sulla paura è ripartita anche quella contro gli stranieri. Il caso è Lampedusa. Senza più neppure rendersi conto del peso delle parole il leader della Lega, Umberto Bossi ha detto: "In queste settimane dovrebbe partire una nave intera di immigrati che li riporti in Tunisia".

Appoggiando le posizioni del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, il Senatur ha aggiunto: "Fa bene perchè se li porti in giro in tutta Italia non li trovi più, scappano. Da Lampedusa sanno che per uscire possono solo tornare a casa".

Povera gente, in gran parte in fuga non solo da guerra e persecuzioni politiche, ma da miseria e fame, alla ricerca di una opportunità per vivere questi esseri umani sono trattati e descritti come fossero anmali pericolosi, intrusi temibili, invasori. Alcuni di loro hanno già parenti in Italia o in Europa, altri provengono dalla Somalia in guerra. Non è chiaro fino a che punto siano accurate le procedure per l'assegnazione di permessi di soggiorno per motivi umanitari. Il Consiglio dell'Unione Europea Affari generali e relazioni esterne il 27 gennaio 2003 ha formalmente approvato una direttiva che prevede ai richiedenti asilo in attesa della conclusione dell'esame della propria richiesta sia garantito un alloggio, cibo, vestiario e un sostegno economico per le spese giornaliere oltre a cure mediche, informazioni e accesso alla scuola. Questo avviene a Lampedusa?

Maroni ha detto il 23 gennaio:"A Lampedusa sono 1.677 i cittadini extracomunitari. Abbiamo proceduto dal 1 gennaio al rimpatrio di 150 persone fra egiziani e nigeriani. Abbiamo portato a Lampedusa le Commissioni per valutare le richieste di asilo e su circa 800 domande di richiesta di asilo sono accoglibili 377. Coloro che hanno presentato domanda saranno portati nei centri adibiti a chi chiede asilo. E' un cambiamento importante che garantisce che (la persona a cui) viene garantito l'asilo abbia effettivamente i requisiti".

La complessità con la quale avvengono le identificazioni e comunque le normative internazionali che garantiscono al richiedente condizioni specifiche non sembrano applicate nel caso di lampedusa, poichè alcuni migranti sostengono altro."Io ho mia moglie a Bergamo, voglio andare da lei - ha detto uno di loro - ho attraversato il deserto dalla Tunisia, a piedi, sono arrivato in Libia e ho pagato duemila euro per raggiungere l'Italia. Sono stato nel Cpa, in cui dovevo rimanere poche ore, e invece ci sono rimasto per oltre 30 giorni. Dormivamo a terra come le bestie".

Nei giorni scorsi la decisione del ministro Maroni di 'segregare' i migranti sull'isola invece di smistarli in altri centri ha prodotto l'opposizione congiunta della popolazione italiana e degli stranieri.

Im ministro dell'Interno, forse alla ricerca di spazio mediatico, ha adotatto un linguaggio che facilmente incontra i favori di una aprte crescente di italiani ai quali la paura e il razzismo vengono suggeriti a dosi massiccie. Maroni ha detto: "Il fatto che i clandestini fossero tenuti a Lampedusa ha impedito che potessero scappare, come sarebbe potuto avvenire in un altro posto". Poi ha aggiunto d confermare "la decisione che abbiamo preso: dall'isola dovranno essere tutti rimpatriati".

Durante una protesta nella quale italiani e migranti hanno marciato insieme verso il municipio, per contestare la costruzione di un centro di identificazione ed espulsione sull'isola. I migranti gridavano "rispettate i nostri diritti" e "libertà".

Con una dichiarazione l'agenzia dell'ONU per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) ha affermato che la 'preoccupazione' per il benessere di circa 2000 migranti "trattenutì in un 'centro di detenzione' su un isola del sud Italia è sempre maggiore" (testuale Bbc, ndr).

l'Alto Commissario ha detto che il centro di Lampedusa ha una capacità di accoglienza per sole 850 persone e si costringono centinaia di migranti a dormire all'aperto e al freddo. Secondo l'UNHCR la nuova politica di immigrazione in Italia è in parte responsabile del sovraffollamento che sta creando "una situazione umanitaria di preoccupante".

Pirkko Kourula, capo della divisione europea dell'agenzia dell'ONU, ha esortato "le autorità italiane ad adottare tutte le misure necessarie per affrontare la difficile situazione umanitaria in attoa Lampedusa".

L'esponente dell'UNHCR" ha aggiunto: "I dati disponibili mostrano che molti di coloro arrivati via mare nel 2008 provengono da Somalia ed Eritrea. In base alle stime preliminari per il 2008, circa il 75 per cento delle persone arrivate in Italia via mare ha fatto richiesta di asilo e a circa il 50 di loro è stato riconosciuto lo status di rifugiato o un altro tipo di protezione. Questo dimostra che il Mar Mediterraneo - conclude - è decisamente una 'via dell'asilo' per molte persone che fuggono da violenze, guerre e persecuzioni".

FONTE

mercoledì 14 gennaio 2009

Bush l’africano

Bush l’africano

George W. Bush

Ironia della sorte. George W. Bush, il 43esimo presidente degli Stati Uniti, l’uomo che secondo la maggior parte dei sondaggi tra pochi giorni lascerà la Casa Bianca con l’indice di gradimento più basso di sempre (attorno al 27 percento in patria), ha fatto breccia nei cuori africani. Proprio nel continente che ha dato le origini al suo successore, Barack Obama, Bush raccoglie un consenso medio che si aggira attorno all’80 percento, secondo un recente sondaggio della fondazione Pew.

Le guerre in Afghanistan e Iraq, Guantanamo, l’uragano Katrina e i discutibili metodi adottati nella guerra al terrorismo. Ieri, nell’ultima conferenza stampa da presidente, Bush ha dovuto difendersi dal fuoco di fila dei giornalisti, che gli hanno chiesto conto di tutte le principali decisioni prese durante i suoi due mandati presidenziali. Pochi, però, hanno evidenziato i lati positivi dell’amministrazione, quelli che in Africa ricordano molto bene: il ruolo avuto nella fine della guerra civile sudanese, durata vent’anni e costata la vita a più di due milioni di persone; gli aiuti allo sviluppo verso il continente nero, passati da 1,3 a 5 miliardi di dollari nel periodo 2001-2008; ma, soprattutto, il piano per la lotta all’Aids da 15 miliardi di dollari, lanciato nel 2003 e destinato a dodici Paesi africani (sui quindici totali) in cui gli indici di sieropositività sono tra i più alti del mondo.

Non un programma da poco, se si tiene conto di quanto l’Aids pesi sulla vita del continente: un milione e mezzo di africani morti solo nel 2007, molti dei quali giovanissimi. In alcuni Paesi, come lo Swaziland e il Sudafrica, dove l’indice di sieropositività tocca il 20 percento della popolazione, la lotta contro la malattia è una lotta per il futuro della società. E questo Bush lo ha capito bene, lanciando un programma a tutto tondo che comprende trattamenti sanitari, educazione e prevenzione (comprese campagne a favore dell’astinenza sessuale prematrimoniale, molto criticate da alcune organizzazioni internazionali). Una delle poche storie di successo dell’amministrazione Bush, ma talmente efficace da indurre Obama a promettere di continuarla, garantendo gli stessi fondi stanziati dal suo predecessore.

In nessuna parte del mondo, tranne Israele e pochi altri Paesi, Bush può vantare un indice di gradimento così alto. Questo nonostante, negli ultimi otto anni, la politica americana in Africa non sia stata certo una passeggiata trionfale. Il fallimento della strategia di Washington in Somalia, dove il governo sostenuto dalla Casa Bianca sta cadendo sotto i colpi delle milizie islamiche, ne è la riprova, così come lo scetticismo con cui è stato accolto Africom, il nuovo comando militare unificato americano per il continente, talmente poco amato da essere costretto a mantenere la propria sede in Germania. Considerazioni che però non reggono di fronte alle folle festanti che hanno accolto Bush in Liberia, Ruanda, Tanzania e Benin solo per citare alcuni dei Paesi in cui il presidente ha fatto più breccia. L’attaccamento alla religione e alla famiglia espressi da Bush hanno fatto il resto: in un’Africa ancora povera, e che ha subìto la faccia peggiore della globalizzazione, il richiamo ai valori tradizionali costituisce ancora un fattore importante. Così come il sostegno del continente è una piccola consolazione per l’unico presidente americano a cui è toccata l’umiliazione di dover schivare scarpe in una conferenza stampa. Almeno in Africa, l’uomo di Crawford non sarà dimenticato.

FONTE

lunedì 17 novembre 2008

Presentazioni di oltre Babilonia Roma, Firenze, Mestre 17-18-19 NOV



.
IGIABA SCEGO

presenta il suo romanzo

OLTRE BABILONIA

Dalla Roma multietnica di oggi

alla Somalia del colonialismo italiano

lunedì 17 novembre - ore 18.00

Firenze - Libreria Feltrinelli - Via de' Cerretani 30/32


Intervengono

Clotilde Barbarulli, Domenico Guarino

Daniela Lastri e Leonardo Sacchetti

Letture di Chiara Brilli

martedì 18 novembre - ore 18.00

Roma - la Feltrinelli Libri e Musica - Piazza Colonna 31/35

Intervgono Goffredo Fofi e Alessandro Portelli

Letture di Laura Sampedro

mercoledì 19 novembre - ore 18.00

Mestre - la Feltrinelli Libri e Musica

Piazza XXVII Ottobre 1

Intervengono Luigi Barbieri e Alessandra Sciurba

www.donzelli. it

Donzelli editore



__,_._,___


Balafon Film Festival 2008

FONTE SPETTACOLI Bari (BA), 21 Novembre 2008

Balafon Film Festival 2008: programma del 21 novembre

Si svolge a Bari, presso il Cinema Armenise, la XVIII edizione di Balafon Film Festival - Arte e cultura africana e della diaspora nera, dedicata a Miriam Makeba.

Programma Balafon Film Festival 2008:

* VENERDÌ 21 NOVEMBRE – CINEMA ARMENISE


- ore 19.00 Sezione fuori concorso
UN GIORNO NELLA VITA DI JOSIAH di Gavin Hood (Sud Africa, 1999) - cort.

- ore 19.30 Sezione fuori concorso
THE STOREKEEPER di Gavin Hood (Sud Africa, 1998) - cort.

- ore 20.00 Sezione in concorso
C'EST DIMANCHE di Samir Guesmi (Francia-Algeria, 2007) - cort.

- ore 20.30 Sezione in concorso
MOKILI di Berni Goldblat (Svizzera-Burkina Faso, 2006) - lung.

- ore 22.00 Sezione fuori concorso
CINE TAPUIA di Rosemberg Cariry (Brasile, 2007) - lung.

* tale programma potrebbe subire variazioni

***

Alcune Schede Film:

C'EST DIMANCHE!
di Samir Guesmi (Francia-Algeria, 2007)

Regia/Direction: Samir Guesmi
Sceneggiatura/Screenplay: Samir Guesmi
Fotografia/Camera: Pascale Marin
Montaggio/Editing: Pauline Dairou
Sonoro/Sound: Julien Sicart
Musica/Music: Shantel
Interpreti/Cast: Simon Abkarian, Djemel Barek, Elise Oppong, Illiès Boukouirene
Formato/Format: 35 mm
Durata/Duration: 31'
Versione originale/Original version: francese
Produzione/Production: Kaleo Films
Distribuzione/Sales: Kaleo Films
Premi/Awards: Premio ISMU (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) e Menzione Speciale alla 18° edizione del Festival del Cinema Africano, d'Asia e America Latina di Milano (Italia, 2008), Premio del Pubblico al Festival International du Court Métrage de Clermont-Ferrand (Francia, 2008), Menzione speciale della Giuria al Festival Internazionale del Cinema di Valencia (Spagna, 2008) Premio della Giuria al Festival International du Film Francophone de Namur (Belgio, 2008), Premio BeTV al Festival de court-métrage de Bruxelles (Belgio, 2008)

Sinossi: Ibrahim vive in Francia con il padre. A scuola è un disastro. I professori gli consegnano una brutta nota da far firmare a casa. Incapace di comunicare con il padre, severo e così lontano dalla sua realtà, Ibrahim gli fa credere che la nota sia un diploma. Fuori di sé dalla gioia, il padre si scatena e trascina Ibrahim in un crescendo di situazioni imbarazzanti. Unico rifugio per il ragazzino è l'amichetta Fatou che lo accoglie e gli infonde un po' di coraggio.

Samir Guesmi
Attore di cinema e teatro. Per il cinema, ha recitato in numerosi film, tra i quali Bancs publics di Bruno Podalydès, Andalucia di Alain Gomis, Leur morale... et la nôtre di Florence Quentin, Selon Charlie di Nicole Garcia. C'est dimanche! è il suo esordio alla regia.

**
MOKILI
di Berni Goldblat (Svizzera-Burkina Faso, 2006)

Regia/Direction: Berni Goldblat
Sceneggiatura/Screenplay: Moumouni Sanou
Fotografia/Camera: Michel K. Zongo
Montaggio/Editing: Bertin Florent Bado
Suono/Sound: Moumouni Sodré Jupiter
Musica/Music: Dhudn J
Interpreti/Cast: Lionel Pousson Bado, André Bougouma, Valentin Ouédraogo, Alimata Salouka, Moumouni Sanou, Makenzie Sidibé, Olga Toé
Formato/Format: Beta SP
Durata/Duration: 83'
Versione originale/Original version: francese, lingala, dioula, mooré
Produzione/Production: Les Films du Djabadjah, Cinomade
Distribuzione/Sales: Les Films du Djabadjah, Cinomade
Premi/Awards: Premio per il Miglior Montaggio dell'Africa Movie Academy Awards (AMAA; Nigeria, 2007)

Sinossi: Mokili è la cronistoria delle settimane antecedenti gli esami di maturità nella vita odierna di due adolescenti nel Burkina Faso, molto diversi tra loro. Papou, da una parte, orfano di madre e allevato dal padre non ricco, che prende coscienza delle realtà della vita e decide di battersi per risollevarsi. Dall'altra parte Goumbé, viziato da un ricco padre che pensa che i soldi doneranno ai suoi figli un'educazione che lui non gli ha fornito. Ciascuno alla sua maniera, molto differente tra loro, i due adolescenti gestiscono le loto relazioni familiari e amicali, facendo delle scelte di fronte ai pericoli quotidiani che loro incontrano, come la droga e la corruzione. Portato dalla facilità verso gli eccessi, Goumbé finirà per perdere tutto mentre Papou arriverà a farsi uno spazio nella vita.

Berni Goldblat
Nato nel 1970 a Stoccolma, membro fondatore dell'associazione Cinomade insieme a Daphné Serelle.

Cinema Armenise, Bari
via Pasubio 178 – angolo via G. Petroni
dalle ore 19,00
Info: contattare la segreteria organizzativa del Festival
tel. 080.5283361 - cell. 3663397036
info@abusuan.com





domenica 9 novembre 2008

HAMILTON NAKI..THE BLACK CLANDESTINE

I've shared a document with you called "HAMILTON NAKI..THE BLACK CLANDESTINE":
It's not an attachment -- it's stored online at Google Docs. To open this document, just click the link above.
---
BELOW ARE SOME LINKS TO MORE INFORMATION ON HAMILTON NAKI


--
Chukwubike Okey C.

sabato 8 novembre 2008

GASPARRI ....OBAMA

«Obama? Ora Al Qaeda più contenta»
Bufera sulle parole di Gasparri

Il senatore Pdl: «Molti interrogativi su Barack». Poi la precisazione: «Difenderà democrazia». Il Pd all'attacca

Maurizio Gasparri
ROMA - La vittoria di Barack Obama alle presidenziali Usa ma soprattutto le parole pronunciate da Maurizio Gasparri sul neopresidente democratico e sulla lotta al terrorismo sono state al centro di un botta e risposta proprio tra il presidente dei senatori del Pdl e la sua omologa del Pd, Anna Finocchiaro, nell'aula di Palazzo Madama. Scatenando una vivace polemica politica che ha poi varcato le soglie di Palazzo Madama. «Con Obama alla Casa Bianca Al Qaeda forse è più contenta» ha detto Gasparri nel corso della registrazione del Gr Rai parlando del 44esimo Maurizio Gasparri presidente degli Stati Uniti e dellla lotta al terrorismo (ascolta l'audio).

L'ATTACCO E LA REPLICA - Parole che hanno spinto la senatrice democratica siciliana a intervenire in aula, sottolineando che «dichiarazioni del genere minano i rapporti tra Usa e Italia». La Finocchiaro ha invitato gli uffici del Senato a «sbobinare il testo disponibile su Internet». Certo, «se poi Gasparri può dire di non avere mai detto quelle frasi, siamo tutti più sereni. Ma dobbiamo assumerci la responsabilità delle relazioni con il nostro maggiore alleato».

Dai banchi della maggioranza, Gasparri si è limitato a replicare che «la presidente Finocchiaro non ha motivo di ergersi a nuovo portavoce della presidenza degli Stati Uniti. Il tono del richiamo - ha sottolineato Gasparri - è esagerato e fuori luogo».Anna Finocchiaro (Lapresse)

«SI SCUSI CON L'AMBASCIATA USA» - La miccia della polemica però era già stata innescata e ha varcato in poco tempo l'aula di Palazzo Madama. «Sarebbe istituzionalmente corretto che il senatore Maurizio Gasparri, dato il suo delicato ruolo parlamentare, si affrettasse a chiedere ufficialmente scusa agli Usa tramite il suo ambasciatore a Roma» ha detto Vincenco Cerami, ministro della Cultura del governo ombra del Pd. Da parte sua «Berlusconi, che ha una intelligenza politica di primo piano, cura bene il proprio aspetto seduttivo ed è bravo a creare relazioni, può darsi che segua questa linea nei confronti di Obama, che però mi sembra un uomo meno incline ai convenevoli, più dritto allo scopo». Luciano Violante provocatoriamente sottolinea che «volendo seguire la logica di Gasparri» si dovrebbe dire «che Al Qaeda i festeggiamenti li fece con Bush che negli ultimi otto anni non ha fatto altro che alimentare la guerra». E Fabio Evangelisti, presidente vicario del gruppo Idv alla Camera ha chiesto a Berlusconi «di prendere le distanze» e condannare «senza se e senza ma» le gravi parole di Gasparri.

«OBAMA NON SI PREOCCUPA DELLE MIE PAROLE» - Gasparri però respinge al mittente accuse e inviti a pubbliche scuse, provando a specificare meglio il suo pensiero su Obama, il terrorismo e Al Qaeda. «Sono stato accusato di critiche infondate a Barack Obama. In primo luogo non credo che il presidente degli Stati Uniti sia molto preoccupato da quanto possa dire io in riferimento alle recenti elezioni - ha controreplicato il presidente dei senatori del Pdl -. Notifico comunque alla senatrice Finocchiaro e ad altri colleghi della sinistra che alcune mie dichiarazioni rilasciate alla radio ad una domanda sulla possibilità di un mutamento della politica americana nelle aree investite dal terrorismo fondamentalista facevano riferimento a notizie rese note dalla stampa» (e qui Gasparri ha citato un articolo pubblicato il 31 ottobre dal Corriere dal titolo: «"Umiliare i repubblicani". L'appello di Al Qaeda in un video su Internet». Nuovo intervento sulle elezioni americane»). «A questo punto - ha aggiunto tra l'altro l'esponente del Pdl - tutti siamo convinti che Barack Obama darà continuità alla politica in difesa della democrazia e della legalità internazionale che ha contraddistinto gli Stati Uniti d'America indistintamente dalle presidenze che si sono alternate».

«NESSUN CASO» - A sostegno del presidente dei senatori Pdl il segretario della Dca-Pdl, Gianfranco Rotondi minimizza: «Gasparri è un po' come me: per una battuta fa saltare il banco. Non c'è da creare un caso. L'America resta l'America, chiunque vinca non cambia». - Solidarietà a Gasparri dal collega Pdl Mario Ferrara: «Maurizio è vittima della sterile critica demagogica di certa sinistra». «

MARONI - E Roberto Maroni ci tiene a dichiarare: «Non sono d'accordo con chi sostiene che la vittoria di Obama renderà felice Al Qaeda. Anzi sono convinto che non cambierà nulla nella lotta al terrorismo». Anche se ha tifato McCain, il ministro dell'Interno plaude alla «vittoria plebiscitaria» del democratico, dicendosi convinto che, con lui presidente degli Stati Uniti, l'Europa non sarà più trattata solo come l'ancella degli Usa.


mercoledì 5 novembre 2008

GOD BLESS AMERICA!!!!!!!


CONGRATULATIONS MR PRESIDENT- BARACK OBAMA

MAY GOD PROTECT AND LEAD YOU.
THE BEST BIRTHDAY GIFTFROM AMERICA.
THANK YOU USA.
CHARLES

martedì 4 novembre 2008

L'AFRICA SI RACCONTA: MOSTRA FOTOGRAFICA

L'AFRICA SI RACCONTA: MOSTRA FOTOGRAFICA
Scritto da Luigi Garofalo

ESPOSTE ANCHE LE OPERE DI LILANGA, "IL PICASSO D'AFRICA"

 4 novembre, ore 18-20, Facoltà di Scienze della Comunicazione, aula d'ingresso e chiostro, via Salaria 113, Roma. Intervengono il mons. Lorenzo Leuzzi, l'on. Touadì, i responsabili delle ambasciate e il preside Morcellini. L'ingresso è gratuito. Il continente è rappresentato dai suoi abitanti. Cinquanta foto sono state selezionate dalle ambasciate e dagli studenti africani in Italia. L'obiettivo è sfatare lo stereotipo della povertà e della guerra, perché questi mali non delineano la vera identità dell'Africa, per favorire il dialogo con gli studenti europei.

La mostra dal titolo "L'Africa si racconta" è organizzata dal "Progetto Sapienza" e raccoglie 50 fotografie dell'Angola, Egitto, Sud Africa, Algeria, Kenia, Mali e Tanzania. Gli scatti fotografici sono stati realizzati da fotografi occidentali e selezionati sia dagli studenti africani in Italia sia dai responsabili delle ambasciate. Saranno esposte anche i quadri e le sculture di George Lilanga, artista contemporaneo della Tanzania, soprannominato "Il Picasso d'Africa". L'inaugurazione della mostra si terrà martedì 4 novembre 2008, dalle ore 18 alle 20, presso la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma, via Salaria 113. All'evento saranno presenti i rappresentanti delle ambasciate di Angola, Algeria, Egitto e Kenia. L'ingresso è gratuito. La mostra sarà visitabile fino al 6 novembre. L'esposizione si svilupperà in un percorso, realizzato nella sala d'ingresso e nel chiostro della Facoltà, diviso in tre aree tematiche: Differenze geografiche: in Africa gli ambienti sono diversi, non ci sono le stesse piante, gli stessi animali, gli stessi contesti di morte, povertà e mancanza di strutture; Differenze somatiche: gli africani sono diversi anche dal punto di vista fisico; Differenze culturali: ogni popolo ha la sua storia, la sua dignità, la propria arte e un sistema di valori differente. Il percorso si concluderà nel Centro Congressi, in cui sarà possibile immergersi in un ambiente evocativo ed esperienziale animato da musiche africane, proiezioni di filmati e da postazioni che permettono di conoscere gli odori e i sapori più caratteristici del continente. Nel giorno dell'inaugurazione, si terrà un dibattito dal titolo "Gli stereotipi sul continente", con gli interventi di Jean-Léonard Touadì, onorevole del PD, del mons. Lorenso Leuzzi, direttore dell'Ufficio Pastorale Universitaria e di Mario Morcellini, preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione. La prima giornata terminerà con un aperitivo e un buffet di specialità africane. L'obiettivo dell'evento è mostrare ai visitatori l'Africa con gli occhi della sua gente: i segni sono gli stessi, ma il significato cambia. Ciò che ai nostri occhi è solo una capanna, ai loro è la casa di tutta la vita. In questo modo, si dà l'opportunità agli studenti universitari di guardare all'Africa come ad un soggetto agente e con una vasta cultura, al fine di sfatare lo stereotipo di un continente da aiutare ed istruire unicamente. La povertà e la guerra sono mali che non definiscono la vera identità dell'Africa. "Iniziare, attraverso questa occasione- commenta J. L. Touadì, onorevole del PD- un dialogo e uno scambio alla pari tra Africa e Italia per permettere al continente africano di esprimere se stesso facendo emergere le sue potenzialità, ridando loro la soggettività e la capacità di reazione". La mostra "L'Africa si Racconta" è realizzata con il patrocinio di Laziodisu (Azienda per il diritto agli studi Universitari nel Lazio) e dell'Assessorato alle Politiche Giovanili, e promosso dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma e dall'Ufficio Pastorale Universitaria – Vicariato di Roma. "L'Africa è un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un oceano, un pianeta a sé stante, un cosmo vario e ricchissimo. È solo per semplificare e per pura comodità che lo chiamiamo Africa. A parte la sua denominazione geografica, in realtà l'Africa non esiste". (Ryszard Kapuściński- Ebano. 1998) Progetto Sapienza nasce nel settembre 2002 dalla volontà di giovani studenti dell'Ateneo per promuovere iniziative su temi e problematiche considerati attuali e di pubblico interesse. Nella maggior parte dei casi, il percorso universitario è un'esperienza monocorde e priva di stimoli alternativi allo studio.

Per informazioni:
Ufficio Stampa
Luigi Garofalo
Cell: 3204648634
Organizzatrice
Sara Massini
Cell: 3334182859
Email: sara.massini@gmail.com Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo


Obama o non Obama: OBAMA PARTY!



Libreria GRIOT
un chicco d'Africa nel mare di Roma


Mercoledi 5 novembre, dalle 19 in poi...
Obama o non Obama: OBAMA Party!


All'indomani delle elezioni del secolo in programma martedì negli Stati Uniti, mercoledì 5 novembre, dalle ore 19,00 in poi, la libreria GRIOT organizza una festa in omaggio a Barack Obama e al suo straordinario successo, indipendentemente dall'esito del voto.

Una festa africana a base di musica, vino e noci di cola
, animata da musiche dal Senegal, pensieri dal Kenya e amici dai quattro angoli del pianeta. Una festa per il sogno americano, per le speranze dell'Africa, per dire basta al razzismo e alla xenofobia, all'insegna del "yes we can", dell'OBAMA FEVER e di un sano divertimento.


GRIOT
Un chicco d'Africa nel mare di Roma
Via di S. Cecilia 1/A - 00153 Roma
tel - fax 06 58334116
Collegamento Wi-Fi

http://www.griotemporio.it/
info@griotemporio.it

dal Martedi alla Domenica
Té, caffè, infusi, aperitivi, alcolici; dolci e piatti freddi
Corsi di arabo, swahili e wolof
Laboratori di scrittura a cura di Lisa Ginzburg







EXTRA.COM

EXTRA OSPITI

FeedBurner FeedCount

Live Traffic Feed

NeoEarth