«Costretti a chiedere aiuto alle nostre famiglie lontane» andrea rossi torino
L’ultima volta, pochi mesi fa, Desmond Usifoh ha istruito suo cugino che stava per tornare in Nigeria: «Vai da mia mamma e chiedile se può darmi qualcosa. Anche solo cento euro». Poche parole per mettere a nudo il fallimento di una vita. «Sono arrivato in Italia dieci anni fa perché la mia famiglia faticava a sopravvivere. Adesso sono un peso, costretto a chiedere aiuto. La verità è che da un pezzo sono io ad averne bisogno. Mia madre s’è venduta i pochi oggetti di valore che aveva». In un anno il mondo s’è rovesciato. Chi era speranza per la propria famiglia si è trasformato in zavorra. La povertà ha invertito la rotta, ed è la prima volta che accade. La crisi si è abbattuta sugli immigrati sgretolando un sistema sociale consolidato. Nel 2009 le rimesse - i soldi inviati nei Paesi d’origine - diminuiranno di oltre il dieci per cento: da 170 a 150 euro in media al mese. Non era mai successo. Ed è solo l’inizio.
Gli stranieri, in Italia e a Torino, non avevano mai conosciuto la brusca frenata dell’occupazione. Gli italiani non volevano più saperne di certi lavori? C’erano loro. Per anni avevano tenuto a galla il mercato immobiliare, comprando casa e accendendo mutui. Avevano sostenuto il mercato delle locazioni. Non nel 2009. «Di fronte alla crisi hanno pagato il prezzo più alto», sintetizza il preside della facoltà di Economia dell’Università Sergio Bortolani.
Nel 2008 a Torino le imprese stimavano quasi 7 mila assunzioni di stranieri, esclusi i lavoratori stagionali. Quest’anno non si arriverà a 4 mila, una frenata più pesante rispetto agli italiani. «Il calo non è clamoroso, si inserisce nella generale diminuzione di assunzioni di personale meno qualificato», spiega il presidente della Camera di Commercio Alessandro Barberis.
Tanti resteranno a casa. Alcuni hanno tentato di sfuggire alle spire della crisi mettendosi in proprio: non a caso l’imprenditoria straniera cresce del 6,5 per cento rispetto ai primi sei mesi del 2008. Ma altri, forse la maggior parte, a casa ci sono finiti: «Chi trovava occupazione tramite le agenzie interinali quest’anno non ha lavorato», racconta Lamine Sow dell’ufficio Immigrazione della Cgil. «I dipendenti di piccole aziende, senza il paracadute della cassa integrazione, sono rimasti senza posto e a secco. E le colf sono state messe alla porta dalle famiglie che non erano più in grado di pagarle». Come gli italiani, dirà qualcuno. Vero, ma c’è un’aggravante: tante famiglie hanno patito l’umiliazione di tornare a chiedere aiuto ai genitori a 40 o 50 anni. Molti, oggi, sopravvivono grazie a loro. Gli stranieri no. «Le loro famiglie non sono qui. Anzi, si aspettano un aiuto dai parenti in Italia», dice Sow.
Il mondo alla rovescia, appunto. Il lavoro che non c’è più ha fatto crollare tutto il resto, a cominciare dalla casa. A Torino gli sfratti sono quasi raddoppiati in due anni, e - secondo il Sindacato degli inquilini - quasi il 90 per cento è causato da morosità. Gli appartamenti tornano ad affollarsi: otto famiglie su dieci condividono l’alloggio con un altro nucleo. Chi aveva una casa la perde e chi non l’aveva fatica a trovarla. «Nessuno si fida ad affittare agli stranieri - conferma il presidente di Scenari immobiliari Mario Breglia -. Hanno paura che gli inquilini non riescano a pagare il canone, o siano costretti a subaffittare».
Se gli affitti crollano figurarsi le compravendite: meno 16 per cento in un anno, quando per anni avevano trainato l’espansione del settore. «Non è finita: di questo passo l’anno prossimo sprofonderemo a meno 50 per cento», ipotizza Breglia. Sono lontani i tempi in cui ci si indebitava fino al 90 per cento del valore di un immobile. «Le banche, oggi, al massimo coprono il 60 per cento. Il resto bisogna averlo. Ma il guaio è che le procedure sono diventate così rigide che il mutuo ormai è un miragg
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sabato 7 novembre 2009
lunedì 14 settembre 2009
DONNE IMMIGRATE: FRA EMANCIPAZIONE E INVISIBILITA' SOCIALE

Sono per la maggior parte donne che inseguono un sogno: l'emancipazione sociale. Ma l'Occidente è davvero in grado di esaudire i loro desideri?
Nell'immaginario collettivo sono per la maggior parte badanti; sono le straniere che arrivano in Italia alla ricerca della terra promessa. Ma la realtà ci mette poco a deludere le aspettative di queste donne pronte a lasciare il proprio paese perchè spinte dal desiderio di emanciparsi, desiderio in molti casi rafforzato da informazioni non corrispondenti alla realtà, che presentano i paesi europei come luoghi dove potersi facilmente realizzare.
Il lavoro di colf a tempo pieno rappresenta per la donna appena arrivata l’opportunità di risolvere subito il problema della casa e quello della regolarità giuridica. La famiglia del datore di lavoro può costituire un primo punto di riferimento, data l’iniziale mancanza di strumenti, specie di tipo linguistico, per orientarsi nella nuova realtà.Questo tipo di lavoro d’altro canto implica molte difficoltà: i ritmi e gli orari spesso estenuanti, come la mancanza di una vita privata, contribuiscono ad incrementare lo stato di isolamento delle donne straniere e a relegarle nella situazione di 'invisibilità sociale', caratteristica dell'immigrazione femminile. Poi ci sono le immigrate 'visibili': le prostitute, spesso arrivate nel nostro Paese attraverso la mediazione di organizzazioni criminali transnazionali. Il fenomeno della prostituzione straniera si è sviluppato a partire dal 1988; si calcola che le prostitute straniere in Europa siano centinaia di migliaia. Le nazionalità numericamente più coinvolte sono quella brasiliana, colombiana, domenicana, nigeriana, zairese, tailandese e filippina, oltre alle prostitute provenienti dall’Europa dell’Est.
In base ad alcune testimonianze, si rileva che spesso vengono reclutate nel loro paese da connazionali che promettono loro un lavoro remunerativo e serio; in altri casi, come spiega Oliviero Fredo dell’Ufficio Accoglienza Immigrati di Torino, «le donne fin dalla partenza sanno quale sarà il loro futuro lavoro, ma per molte provenienti dall’Africa e dall’Asia la prostituzione viene vissuta come una sorta di emancipazione rispetto alle condizioni economiche e sociali nelle quali si trovano a vivere».A questi 'mediatori' le donne devono poi rimborsare il biglietto e dare una parte consistente dei loro guadagni; il loro passaporto viene trattenuto fino a quando il debito non è stato completamente saldato.
Il debito iniziale di una donna che arriva in Italia ammonta a circa 15/20mila euro, comprensivo di biglietto aereo, visto e riferimenti in Italia. Quelle che non possono dare in garanzia beni di loro proprietà, sono costrette al patto di sangue: un vero e proprio ricatto per la famiglia di origine, qualora il debito non venga rimborsato. E’ importante notare inoltre che sono sempre più numerose le donne che, immigrate al seguito del marito, sono disposte ad inserirsi nel mondo del lavoro. Il loro ruolo risulta determinante sia nel caso di un esplicito ingresso nel mercato del lavoro, sia nel caso in cui, pur non avendo un attività extra-domestica, contribuiscano come casalinghe a mantenere bassi i costi di produzione della famiglia.
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