sabato 21 novembre 2009

Il "natale bianco"che insulta tutti noi








di FRANCESCA COMENCINI
Caro direttore, leggo sui giornali dell'operazione "White Christmas", messa in atto dal sindaco di Coccaglio, che consiste nell'individuare, casa per casa, tutte le persone straniere non in regola e cacciarle, in vista del Natale. La notizia mi colpisce, non solo per l'idea di accoglienza, di cittadinanza e di cristianità che la sottende, ma anche perché Coccaglio è il luogo dove riposano i miei nonni, Cesare Comencini e Mimì Hefti Comencini. Per loro mi sento in obbligo di scrivere questa lettera.

Mia nonna, figlia di una famiglia svizzera tedesca, si innamorò di mio nonno Cesare e per sposarlo dovette combattere contro tutti i pregiudizi di cui gli italiani erano vittime nel suo paese. Gli svizzeri tedeschi non amavano gli italiani, li consideravano sporchi, primitivi, ne avevano paura, al massimo li impiegavano nelle loro fabbriche o per pulire le loro case. Ma mia nonna non cedette, si sposò con il suo Cesare e venne a vivere in Italia. Mio nonno era di origini modeste, ma con molti sacrifici era riuscito a laurearsi in ingegneria. Tuttavia in Italia non riusciva ad assicurare una vita sufficientemente degna a sua moglie, e ai loro due figli che nel frattempo erano nati, mio padre, Luigi, e suo fratello Gianni. Vivevano a Salò, dove gli affari andavano molto male. Un giorno mio nonno decise di emigrare in Francia, aveva sentito che lì si compravano terre a basso prezzo, perché i francesi abbandonavano la campagna, e per ogni due francesi c'era un italiano. Così partirono.

La loro vita in Francia non fu facile, i miei nonni, poco esperti dei lavori agricoli, dovettero imparare tutto. Nel suo libro, "Infanzia, vocazione e prime esperienze di un regista", mio padre racconta: "Ora riesce difficile immaginare com'era la nostra vita nelle campagne del Sud-ovest francese. Non avevamo né luce, né acqua corrente. Ma avevamo il pianoforte. Ogni sera, dopo cena, mio padre sedeva in poltrona, e, cullato dalla musica di mia madre, lentamente sprofondava nel sonno". A scuola, mio padre, che quando arrivò in Francia aveva sei anni, veniva sempre messo da solo all'ultimo banco, e regolarmente chiamato "Macaroni", come in Francia venivano chiamati gli immigrati italiani. Fu mio nonno Cesare a soffrire più di tutti per la lontananza dall'Italia. Mio padre ricorda che si era costruito una radio a galena, che tutte le sere si ostinava a cercare di far funzionare. Quando mio nonno si ammalò iniziò a dire "non voglio morire in Francia, non voglio morire in Francia". Così mia nonna lo riportò a casa, in Italia, da suo fratello, a Coccaglio.

Fu sepolto nel piccolo cimitero di Coccaglio, dove molti anni dopo lo raggiunse mia nonna, che dopo la sua morte era rimasta a vivere in Italia, a Milano. I miei nonni sapevano cos'è lasciare il proprio paese per poter lavorare, cos'è essere stranieri, sapevano cos'è la dignità da salvare, per sé e per i propri figli. Al funerale di mia nonna ricordo che mio padre lesse quel brano del Vangelo secondo Matteo in cui Gesù dice "Ama il prossimo tuo come te stesso". Mia nonna era credente a modo suo, di religione Valdese. Ricordo un giorno, un venerdì santo, era venuta a trovarci a Roma per Pasqua, e io la trovai in camera sua, che piangeva piano e quando le chiesi perché mi rispose, asciugandosi in fretta gli occhi con il fazzoletto che teneva sempre nella manica del suo golfino: "Penso a Gesù, a come doveva sentirsi solo e impaurito nel giardino di Getsemani". I miei nonni riposano nel cimitero di Coccaglio, che non è solo la casa di chi provvisoriamente ne amministra il comune in questi anni, ma è stata anche la loro, e quindi ora è un po' la mia e di tanti altri, che, come me, discendono da chi ha dovuto lasciare l'Italia per lavorare, con fatica, dolore, umiliazione. E sono sicura che i miei nonni, se potessero alzarsi e sorgere dalla memoria, condannerebbero chi ha osato inventare l'operazione "White Christmas". A nome loro, tramite
queste righe, lo faccio io.

Un Natale di razza

20 novembre 2009
A Coccaglio, in provincia di Brescia, si cacciano gli stranieri per festeggiare il ““White Christmas”.







Brescia. Operazione “White Christmas”, “bianco Natale”. Con questo gioco di parole è scattata l’operazione che scadrà proprio il giorno di Natale e volta a “ripulire” il territorio da stranieri irregolari, al fine di poter trascorrere un felice e cristiano Natale con la famiglia bianca, senza contaminazioni razziali. Non stiamo parlando dell’Alabama degli anni Cinquanta, del Sud Africa di De Klerk, quello dell’apartheid, né stiamo ricordando un bianco e ariano Natale della Germania nazista degli anni Trenta. L’operazione “White Christmas”, è scattata a Coccaglio, un paese di settemila anime in provincia di Brescia, amministrato da una coalizione PdL – Lega Nord, guidata da sindaco, Franco Claretti, il quale ha affermato che bisogna “fare piazza pulita” degli stranieri. L’assessore alla sicurezza Claudio Abiendi, dello stesso partito, ha dichiarato che “il Natale non è la festa dell’accoglienza ma della tradizione cristiana”. E le feste della “tradizione cristiana” non si possono vivere in compagnia di stranieri irregolari, quindi la polizia municipale sta girando casa per casa a controllare circa quattrocento famiglie di migranti per appurare che i documenti siano in regola, in caso contrario “la loro residenza viene revocata d’ufficio”, ha detto il sindaco.


Viene da chiedersi che fare se uno straniero è cristiano, magari cattolico. Si può trascorrere un bianco Natale con un asiatico o africano se questi è cattolico? O l’essere cristiano è secondario all’avere i documenti in regola? E se uno straniero con la pelle nera non è cristiano ma ha i documenti in regola, quindi è utile all’economia bresciana che lo sfrutta per bene nelle aziende industriali o agricole, può vivere a Coccaglio? Se la risposta è sì allora il Natale è meno bianco. Chissà se la giunta comunale ha tenuto conto delle varie casistiche possibili.


La caccia allo straniero irregolare, o all’uomo che era regolare ma al quale è scaduto il permesso di soggiorno, o che ha perso il posto di lavoro come sta capitando a molti in questo periodo di crisi è scattata il 25 ottobre scorso e ben centocinquanta ispezioni sono già state effettuate perchè questi dettagli alla polizia municipale non interessano. Ovviamente altri comuni bresciani amministrati dalla Lega Nord, come prevedibile, stanno seguendo l’esempio: Castelcovati e Castrezzato. La via libera alla caccia all’uomo è stata data dai vertici del Carroccio: lo scorso 24 ottobre si è tenuta a Milano la prima convention dei sindaci leghisti e la “White Christmas” ha avuto il via libera. Il Ministro Maroni “ha dato dei consigli per attuare il provvedimento senza incorrere nei soliti ricorsi ai giudici”, ha affermato il sindaco Claretti.


Debole la posizione dell’ex sindaco del centro-sinistra, Luigi Lotta, il quale ha affermato che si tratta di propaganda politica e che “ha lasciato il paese unito senza problemi di integrazione”. Viene da chiedersi se la comunità di Coccaglio è così unita visto che la Lega dei respingimenti ha vinto le elezioni. Inoltre, la propaganda politica non deve essere minimizzata perché non ha effetti indolore. Questo provvedimento razzista e persecutorio è possibile proprio perché la propaganda politica ha creato un problema inesistente: il pericolo dello straniero. Le politiche razziste creano consenso e una volta attuate sono condivise dalla maggioranza dell’opinione pubblica. Poche persone in paese si sono indignate, non c’è stata una protesta da parte della Chiesa che, invece, dovrebbe sentirsi direttamente coinvolta visto che l’operazione è messa in atto in nome delle “radici cristiane” e il “bianco Natale” richiama, non vagamente, la più importante festività cristiana.


C’è chi banalizza e sottovaluta l’operazione, relegandola ad un semplice trovata folkloristica tipica degli esponenti del Carroccio. Ma così non è dal momento che, come detto, i controlli sono già partiti e dal momento che simili persecuzioni sono rese possibili dal decreto sicurezza che dà poteri ai sindaci in questo senso.


Gli stranieri a Coccaglio sono passati da 177 nel 1998 a 1562 nel 2008. Ma dov’è il problema? “Da noi non c’è criminalità - afferma il sindaco – vogliamo soltanto iniziare a fare piazza pulita”. Solitamente la Lega utilizza l’argomentazione della mancanza di sicurezza per attuare politiche razziste. Ora si è andati oltre: non si usa più il pretesto della sicurezza, si parla esplicitamente e tranquillamente di “pulizia”. Affermazioni agghiaccianti, che ricordano il Ku Klux Klan o la “pulizia etnica” delle guerre fratricide della ex Jugoslavia. Lo straniero “è sporco” e lo sporco si pulisce con l’espulsione.


Ovviamente il problema non è solo bresciano ma nazionale, Felice Mometti, dell’Associazione “Diritti per tutti” di Brescia lo spiega bene: “l'iniziativa dei comune di Coccaglio è l'ennesimo esempio di razzismo istituzionale. I provvedimenti del governo, come il cosiddetto pacchetto sicurezza, e le purtroppo tante delibere dei comuni contro i migranti hanno lo scopo di mantenerli in uno stato perenne di precarietà e clandestinità. La Lega nord, ormai vero partito del potere centrale, alimenta il razzismo affinché i migranti non abbiano diritti sui luoghi di lavoro e nella società”.
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sabato 7 novembre 2009

Licenziati e senza casa

«Costretti a chiedere aiuto alle nostre famiglie lontane»      andrea rossi  torino


L’ultima volta, pochi mesi fa, Desmond Usifoh ha istruito suo cugino che stava per tornare in Nigeria: «Vai da mia mamma e chiedile se può darmi qualcosa. Anche solo cento euro». Poche parole per mettere a nudo il fallimento di una vita. «Sono arrivato in Italia dieci anni fa perché la mia famiglia faticava a sopravvivere. Adesso sono un peso, costretto a chiedere aiuto. La verità è che da un pezzo sono io ad averne bisogno. Mia madre s’è venduta i pochi oggetti di valore che aveva». In un anno il mondo s’è rovesciato. Chi era speranza per la propria famiglia si è trasformato in zavorra. La povertà ha invertito la rotta, ed è la prima volta che accade. La crisi si è abbattuta sugli immigrati sgretolando un sistema sociale consolidato. Nel 2009 le rimesse - i soldi inviati nei Paesi d’origine - diminuiranno di oltre il dieci per cento: da 170 a 150 euro in media al mese. Non era mai successo. Ed è solo l’inizio.
Gli stranieri, in Italia e a Torino, non avevano mai conosciuto la brusca frenata dell’occupazione. Gli italiani non volevano più saperne di certi lavori? C’erano loro. Per anni avevano tenuto a galla il mercato immobiliare, comprando casa e accendendo mutui. Avevano sostenuto il mercato delle locazioni. Non nel 2009. «Di fronte alla crisi hanno pagato il prezzo più alto», sintetizza il preside della facoltà di Economia dell’Università Sergio Bortolani.

Nel 2008 a Torino le imprese stimavano quasi 7 mila assunzioni di stranieri, esclusi i lavoratori stagionali. Quest’anno non si arriverà a 4 mila, una frenata più pesante rispetto agli italiani. «Il calo non è clamoroso, si inserisce nella generale diminuzione di assunzioni di personale meno qualificato», spiega il presidente della Camera di Commercio Alessandro Barberis.

Tanti resteranno a casa. Alcuni hanno tentato di sfuggire alle spire della crisi mettendosi in proprio: non a caso l’imprenditoria straniera cresce del 6,5 per cento rispetto ai primi sei mesi del 2008. Ma altri, forse la maggior parte, a casa ci sono finiti: «Chi trovava occupazione tramite le agenzie interinali quest’anno non ha lavorato», racconta Lamine Sow dell’ufficio Immigrazione della Cgil. «I dipendenti di piccole aziende, senza il paracadute della cassa integrazione, sono rimasti senza posto e a secco. E le colf sono state messe alla porta dalle famiglie che non erano più in grado di pagarle». Come gli italiani, dirà qualcuno. Vero, ma c’è un’aggravante: tante famiglie hanno patito l’umiliazione di tornare a chiedere aiuto ai genitori a 40 o 50 anni. Molti, oggi, sopravvivono grazie a loro. Gli stranieri no. «Le loro famiglie non sono qui. Anzi, si aspettano un aiuto dai parenti in Italia», dice Sow.

Il mondo alla rovescia, appunto. Il lavoro che non c’è più ha fatto crollare tutto il resto, a cominciare dalla casa. A Torino gli sfratti sono quasi raddoppiati in due anni, e - secondo il Sindacato degli inquilini - quasi il 90 per cento è causato da morosità. Gli appartamenti tornano ad affollarsi: otto famiglie su dieci condividono l’alloggio con un altro nucleo. Chi aveva una casa la perde e chi non l’aveva fatica a trovarla. «Nessuno si fida ad affittare agli stranieri - conferma il presidente di Scenari immobiliari Mario Breglia -. Hanno paura che gli inquilini non riescano a pagare il canone, o siano costretti a subaffittare».

Se gli affitti crollano figurarsi le compravendite: meno 16 per cento in un anno, quando per anni avevano trainato l’espansione del settore. «Non è finita: di questo passo l’anno prossimo sprofonderemo a meno 50 per cento», ipotizza Breglia. Sono lontani i tempi in cui ci si indebitava fino al 90 per cento del valore di un immobile. «Le banche, oggi, al massimo coprono il 60 per cento. Il resto bisogna averlo. Ma il guaio è che le procedure sono diventate così rigide che il mutuo ormai è un miragg

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