Italian police on Monday played down accusations that the murder of an immigrant beaten to death after he allegedly stole a packet of biscuits from a Milan bar over the weekend was a racist attack.
Nineteen-year-old Abdul Salam Guibre, an Italian citizen originally from Burkina Faso, is thought to have stolen the biscuits with two friends from a bar near the city's central station on Sunday.
Bar owners Fausto Cristofoli, 51, and his son Daniele, 31, chased the three men in a van they used as a mobile cafe', allegedly shouting ''thieves, f****** niggers'', before catching them up.
The three men began throwing bottles at the bar owners and armed themselves with improvised clubs, but were beaten with an iron bar used to open the van's service window.
Guibre was hit around the head and fell into a coma, dying in hospital a few hours later.
Milan mobile police unit chief Francesco Messina admitted there had been ''an exchange of insults'' between the men, but said the attack had been motivated by theft.
''The fact is that a boy is dead because of a packet of biscuits and there are two people who have committed murder and who will pay,'' he said.
The incident reignited a debate over the Italian government's recent crackdown on public safety and immigrant crime, with Democratic Party opposition leader Walter Veltroni accusing the centre-right of encouraging ''a climate of hate and intolerance''.
Italian Communists' Party leader Paolo Ferrero singled out the Northern League party for ''xenophobic and racist campaigns''.
''Episodes like the one in Milan are the fruit of a climate of poison created by political forces like the League that hold up immigrants as the source of all evil,'' Ferrero said.
Northern League House whip Roberto Cota hit back at criticism as ''unworthy exploitation'' of Guibre's murder.
But Milan's centre-right mayor, Letizia Moratti, acknowledged the anti-immigrant overtones of the attack in her condolences to Guibre's family.
''Milan strongly condemns such episodes of intolerance and racism,'' she said.
Scorre a ritroso il film della sua vita, mentre racconta la sua carriera di imprenditore. Un'avventura condita da sventure, coincidenze fortunate, tanto lavoro e rospi mandati giù. Rivede fotogrammi che aveva quasi dimenticato, come le immagini di una fredda notte trascorsa dentro una cabina del telefono, a Castiglione delle Stiviere, riparo di fortuna per un giovane immigrato - erano gli anni Ottanta - che era stato appena sfrattato perché non aveva i soldi per pagare l'affitto di casa. Un tuffo in un passato che ora sembra lontano anni luce per Kolawole Musibau Olajide, 51 anni, nigeriano di origine ma ormai cittadino italiano a tutti gli effetti. E' uno di quelli che ce l'ha fatta, uno straniero che a Mantova ha trovato l'America. Un'azienda tutta sua, con 18 dipendenti a libro paga.
Anche in provincia di Mantova l'imprenditoria straniera è in crescita. E la Kola-Cem, l'azienda di Olajide che opera nell'edilizia - in particolare nel settore dei prefabbricati - è una delle realtà che riescono a stare sul mercato, e a dare lavoro ad altri immigrati. «Ma non solo - racconta il titolare - con me lavorano anche un paio di operai italiani». Oggi a libro paga ci sono 18 persone «ma la media è di 15 unità - continua Olajide - devo per forza ricorrere ai contratti a tempo determinato perchè il lavoro va e viene. Se ci fosse un po' di stabilità in più nel settore potrei assumere tutti a tempi indeterminato».
Il precariato, insomma, è un problema. L'avventura dell'imprenditore nigeriano in Italia inizia nel 1979. Nella capitale Lagos vive ancora la famiglia di Olajide, i genitori - titolari di un'impresa di costruzioni - e gli zii. «A 22 anni facevo il ragioniere nell'azienda di famiglia - racconta il titolare della Kola-Cem - ma volevo studiare, e diventare architetto. Ecco perché ho deciso di venire in Italia».
I primi anni sono duri, nonostante l'impegno della famiglia a mantenere il giovane studente che, dopo il diploma all'Istituto d''arte di Guidizzolo, si iscrive al Politecnico di Milano. «I soldi non sempre arrivavano in tempo da Lagos - ricorda Olajide - ogni tanto lavoricchiavo per guadagnare qualche spicciolo ma ero sempre al verde. Di quegli anni ricordo una notte tremenda, era quasi Natale, passata a dormire in una gelida cabina del telefono, a Castiglione. I padroni di casa erano brave persone, ma non si fidavano più di fronte alle continue richieste di rinvio dell'affitto. E mi hanno sfrattato».
L'imprenditore ha conosciuto la povertà, quella vera. «Se fossi rimasto al mio Paese sarei stato meglio - continua sorridendo - per un certo periodo della mia vita l'unico modo per metter insieme una cena era andare alla mensa dei poveri, dai frati, in stazione Centrale a Milano». Anni di sacrifici, la spola tra Castiglione e il capoluogo lombardo. Fino alla conquista della laurea in architettura. «Era il 1986 - aggiunge l'architetto Olajide - subito dopo sono tornato a Lagos, per un paio d'anni, anche se l'Italia mi mancava ogni giorno di più».
Al rientro a Mantova trova subito un lavoro nell'edilizia, nel settore della costruzione dei prefabbricati. Cambia tre aziende, fino a diventare direttore di stabilimento. «Per 5 anni ho fatto su e giù da Parma - spiega - poi quando l'azienda ha messo al mio posto un giovane geometra italiano, assunto da poco, mi sono licenziato. E mi sono messo in proprio».
Oggi la Kola-Cem, l'azienda di Kolawole Musibau Olajide, costruisce prefabbricati per conto terzi. «Il lavoro va bene, anche se tutti i giorni è una sfida nuova - dice - e sono soddisfatto». Merito anche della bella famiglia, una moglie e due figli (la più grande, 25 anni, è fresca di laurea in marketing a Parma, il più piccolo va alle superiori). «La mia terra? Mi manca molto - conclude l'imprenditore - anche se l'Italia mi ha dato tanto. Oggi nel mio Paese ci sono grandi opportunità di crescita. E se un giovane ha voglia di fare, e spirito di sacrificio, in Nigeria può realizzarsi in fretta». Corrado Binacchi
Un giovane nigeriano allontanato dalla Vismara dopo aver denunciato le offese Il racconto di Daniel: l'azienda copre chi mi tormentava
"Due anni di insulti sul lavoro licenziato perché sono di colore"
dal nostro inviato PAOLO BERIZZI
LECCO - Per due anni ha insaccato e ha incassato. Tutti i giorni. Sempre lì, al suo posto, in uno dei più grossi salumifici italiani. Ha insaccato salami e mortadelle. Ha incassato insulti razzisti e offese umilianti. La più becera, e anche la più banale, è "sporco negro": la stessa firma degli assassini di Guibre. E' quella che lo ha marchiato dentro, che lo ha fatto sentire un comodo sfogatoio per le frustrazioni di un collega, che poi sono diventati un gruppo, e allora la cosa si è fatta ancora più pesante. Questa è la storia di Daniel - basta il nome - , nigeriano di Lagos, 24 anni, un bambino di due.
Daniel non è un clandestino: è in Italia regolarmente dal 2003. Abita a Villasanta, Brianza monzese, con la moglie e il figlio. Paga un affitto. Ha un lavoro, anzi, l'aveva. Perché l'hanno licenziato. Daniel è un operaio macchinista. Nel 2006 inizia a lavorare alla Vismara S. p. A di Casatenovo, Lecco. Si divide tra il reparto e il forno. Sgobba da mattina a sera.
Mai un problema, mai un richiamo, racconta. E ottimo rendimento, visto che ogni sei mesi gli rinnovano il contratto. Ma nello stabilimento c'è un ostacolo imprevisto con cui il cittadino africano deve fare i conti: il razzismo. A dargli dello "sporco negro", all'inizio, è solo un collega. Per lui insultare Daniel è la regola. Altri operai iniziano presto a apostrofarlo nello stesso modo. Uno stillicidio di offese al quale l'immigrato, nonostante le ripetute richieste di spiegazioni, non riesce a sottrarsi.
Manda giù, abbozza quando un giorno gli dicono: "La vuoi capire o no che voi extracomunitari di m. in Italia non potete stare?". Solo perché aveva chiesto a un collega di aiutare un altro lavoratore in difficoltà, un peruviano che non riusciva a trasportare dei colli di mortadella. "Chi credi di essere? Mica penserai di comandare noi italiani?".
Daniel ha paura di denunciare chi lo tormenta: non vuole rischiare di perdere il posto di lavoro. Un giorno si rivolge al capo reparto, che però minimizza: "Dai, non farci caso... sai come sono fatti i ragazzi... Tu pensa a fare il tuo lavoro e basta". Ma alla fine di giugno decide che il vaso è colmo. Accade quando entra nello spogliatoio e trova il suo armadietto distrutto. Un atto vandalico, l'ultimo sfregio. Lui che non ha mai ricevuto provvedimenti disciplinari, lui che guadagna 1100 euro e che - dopo 12 contratti - viene ancora pagato dall'agenzia interinale "Iwork" di Arcore.
Il 28 giugno Daniel presenta una querela alla Procura di Lecco: racconta nel dettaglio le odiose offese che gli sbattono addosso. Spera che dopo quell'esposto qualcosa possa finalmente cambiare. Che la sua dignità non sia più calpestata. E invece al danno si aggiunge la beffa. L'altro giorno la Vismara gli da il "benservito": "A fine mese non presentarti più in azienda", gli comunica il capo reparto. L'operaio crede sia uno scherzo di cattivo gusto: e invece è tutto vero.
"Ho subito per due anni in silenzio, senza ribellarmi - racconta - proprio perché non volevo rischiare di perdere il posto. Ma non ce l'ho più fatta a sopportare di essere offeso in quel modo. E così adesso sono senza lavoro. Non ce l'ho con l'Italia e con gli italiani. L'Italia mi ha dato il lavoro, la possibilità di sfamare me stesso e la mia famiglia. Ce l'ho con l'ignoranza di chi ti insulta perché hai un colore della pelle diverso dal loro. Ho una moglie e un figlio piccolo da mantenere. Il mio stipendio me lo sono sempre guadagnato onestamente, mi ferisce che me lo abbiano tolto solo perché ho detto basta al razzismo. Oltretutto ci sono altri lavoratori extracomunitari nello stabilimento. Quando sono andato in Tribunale ho pensato anche a loro, anche se ognuno reagisce a modo suo e alla fine ognuno si fa gli affari suoi".
Dagli uffici della Vismara, alla quale ci siamo rivolti ieri per chiedere chiarimenti sulla vicenda, per ora non è arrivato nessun commento. Ironia del caso - va detto che l'azienda almeno per ora non ha alcuna responsabilità - come melodia di sottofondo dell'attesa telefonica s'odono le parole di Vasco Rossi: "... basta poco per essere intolleranti... per essere un po' ignoranti...".
Il legale di Daniel, Francesco Mongiu, ha riassunto la storia di questo strano licenziamento e la sottoporrà al giudice del lavoro. "Per "pura coincidenza" - racconta l'avvocato - il cognato del mio assistito, un cittadino della Sierra Leone, laureato anche lui in regola, dopo un periodo di prova nello stesso salumificio, è stato ritenuto inidoneo al compito di insaccatore di mortadelle".
Complimenti a Maria Lourdes ed Idris per i loro interventi ieri notte nella programma-PRIMO PIANO (Rai 3) sul questo tema. Ma LOU, credi veramente ancora che sono 'una piccola minoranza' gli italiani che nutrano sentimenti razzista o d' oddio? Spero.
Comunque rimango sempre molto sconcertato sentire molte persone che consideravo diversamente lasciarsi scappare certi frasi ed opinioni. Oramai sta diventando un sport alla moda essere razzista in Italia, un sentimento che si pensava fosse poco presente in Italia. Ricordate un altro volta il detto "quando i potenti suonano la danza diventa più frenetica.."
l'unica speranza è la storia.... , che ci insegna che l'Italia non era mai rimasta a lungo nelle mani di persone con questi sentimenti (razzista e oddio). E' un momento che richiede un gran tranquillità e saggezza. Buona giornata.
Charles ______________________________________________
VENITE NUMEROSI ALLA MANIFESTAZIONE DEL 4 OTTOBRE 2008 A ROMA CONTRO TUTTI I TIPI DI RAZZISMI. ----------------------------- Gemma Ukunda Shema Associazione Donne Africa Subsahariana (ADAS) Tel +39 339 4943583 Rome, Italy
'Tolellranza zero' del governo.. secondo i Milanesi. ---------------------------------------------------------------------------
DIASPORA AFRICANA has sent you a link to a blog:
E' MORTO!!!!!!, QUANTI MORIRANNO PRIMA CHE QUALCUNO CAMBIA LA MUSICA CHE INCITA AL ODDIO !!!!!!!!!!!!!!
Blog: CHUKWUBIKES' BLOG Post: CACCIA AL NEGRO MILANESE..... UN MORTO