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martedì 27 maggio 2014

Kyenge elected to the European Parliament

Kyenge elected to the European Parliament

Cécile Kyenge, Italy’s former Minister for Integration promised to keep fighting against racism throughout Europe

Cécile Kyenge, Italy’s former Minister for Integration has been elected to the European Parliament.

Ms Kyenge, who was a Democratic Party candidate in the North East constituency, garnered more than 92,000 votes.

“Thanks to all. I’ll represent Italy in Europe with passion and pride,” Ms Kyenge said.

In April 2013 Ms Kyenge became the first ever black person to become a minister in Italy. She soon became the target of continuous violent racist attacks from extreme right politicians, activists, and journalists.
Ms Cécile Kyenge yesterday at 7:00 am outside the polling station at Gaggio in Castelfranco Emilia. She was the first to vote at the polling station before encouraging all to go and cast their votes
Most of the criticism against Ms Kyenge had nothing to do with her performance as minister. They were mainly based on the colour of her skin – her being black.

She however, never lost control. She handled disgraceful racist insults and attacks with calm and grace without ever displaying anger or uttering a provocative statement.

During her campaign for the European parliamentary elections, Ms Kyenge promised to keep fighting against racism throughout Europe. She also promised to fight for fair EU immigration and asylum policies and to ensure that equality, diversity and human rights are at the centre of EU’s policies and practices.
By Stephen Ogongo Ongong’a

http://theafricanews.com/immigration-news/italy/6119-kyenge-elected-to-the-european-parliament.html

giovedì 22 agosto 2013

Borghezio: "Faccetta nera presagio di un’Italia meticcia"

   Borghezio: "Faccetta nera presagio di un’Italia meticcia"



L’eurodeputato leghista: “Siamo nelle mani di Cecìle Kyenge e dell’ideologia mondialista. I loro protetti possono tranquillamente distruggere i Cie”
Roma – 21 agosto 2013 – Mario Borghezio torna ad attaccare la ministra dell’integrazione e l’Italia multietnica, rispolverando anche un motivetto fascista.

“La signora Kyenge  coglie ogni occasione, persino calcistica per bacchettarci con lezioni di democrazia, bon ton, diritto, politica interna ed internazionale, in un prossimo domani anche filosofia e religione... Nel governo, la Kyenge non e' solo un semplice ministro senza portafoglio dell'integrazione, e' ormai colei che detta l'intera politica dell'immigrazione, dallo ius soli alla Bossi-Fini, per finire con i 'buu' ai calciatori di colore'' dichiara l’eurodeputato della Lega Nord.

“Questo – aggiunge - e' un problema politico, che la dice lunga sull'ideologia mondialista del governo presieduto dal 'trilateral' Letta. Chi ha votato per i partiti 'moderati' che sostengono il governo, se ne facciano una ragione: siamo completamente nelle mani di Cecile Kyenge”.
“Faccetta nera, lo capiamo solo ora, non era come sembrava un canto colonialista, ma un presagio di una futura Italia meticcia, dove i loro protetti clandestini possono tranquillamente distruggere i Cie, pagati con le nostre tasse, e per noi, se ci permettiamo di muovere qualche critica, e' pronta l'accusa di razzismo'', conclude Borghezio.
http://www.stranieriinitalia.it/attualita-borghezio_faccetta_nera_presagio_di_un_italia_meticcia_17610.html

sabato 4 maggio 2013

Lettera di Prendiamo la Parola a Cécile Kyenge


Lettera di Prendiamo la Parola a Cécile Kyenge

Firenze, 01 maggio 2013
Dottoressa On. Cécile Kyenge
Ministra dell’Integrazione
Palazzo Chigi Roma
Cara compagna Cécile,
Ministra della Repubblica!
Come piccola e giovane associazione d’immigrati, immigrate e di persone di origine immigrata, ci rallegriamo della rilevante nomina di cui sei stata investita. Nomina che è, per noi, un riconoscimento del tuo lavoro e del tuo impegno per i diritti e la giustizia.Come Prendiamo la Parola, realtà che hai contribuito a far nascere e crescere, vogliamo riaffermare il nostro sostegno a te, nostra compagna, nel tuo lavoro per il raggiungimento degli obiettivi che insieme, da tanti anni, stiamo inseguendo.
Sappiamo che la concezione dell’immigrazione come “problema” di ordine pubblico, ancora prevalente nel Paese, determina che le grandi questioni che riguardano i diritti delle persone migranti, siano prerogativa del Ministero dell’Interno.
Temiamo che l’entusiasmo per questa grande novità, dopo tanti anni di lotte senza punti di riferimento istituzionali, possa portare alcuni a caricarti di un enorme peso di aspettative; noi, invece, come Prendiamo la Parola, nel riconoscimento dell’importanza del ruolo che sei chiamata a svolgere, siamo consapevoli dello stretto perimetro della delega a te attribuita, ma, crediamo comunque che dalla postazione che sei chiamata a ricoprire si possano avviare dei percorsi molto importanti sul piano dei diritti.
L’attuale quadro politico, prodotto da manovre a noi note, ci trova responsabilmente critici. Assistiamo, con preoccupazione, alla conformazione di un governo nel quale si trovano insieme la maggior forza del centro sinistra e la destra neoliberista, lo schieramento politico principale responsabile del degrado politico, economico, sociale e morale del Paese.
A te toccherà sedere allo stesso tavolo con i rappresentanti di chi ha immaginato e costruito politicamente e concretamente gli strumenti per mortificare la nostra presenza in seno a questa società, alla quale ci sentiamo di appartenere per diritto. Tuttavia, cara Cécile, nella consapevolezza che ci ha sempre distinto in quanto donne immigrate e uomini immigrati impegnati nella trasformazione reale di questo paese, riteniamo che la tua presenza nell’attuale esecutivo nazionale possa diventare uno strumento utile a costruire prospettive diverse se ci appropriamo del segnale che è stato lanciato. Su questo terreno, noi siamo con te, pronte e pronti, a sostenerti per tentare l’impossibile e moltiplicare le piccole aperture possibili.
Cogliamo il segnale e partiamo dall’aspetto simbolico della tua presenza nel governo per provare a dare un successivo impulso alla costruzione di una società che riconosca nei fatti pari dignità a tutti i suoi membri; una società in cui la norma sia la dottoressa Cécile Kyenge come Ministra della Salute. Guardiamo all’importante traguardo da te raggiunto come input per continuare a costruire il nostro sogno dell’uguaglianza e della parità di trattamento nel rispetto delle diversità.
Un forte abbraccio
Per l’Ass. Prendiamo la parola,
Mercedes Frias

sabato 7 aprile 2012

.......WOODCOCK......Bravo !!!!

La carriera di H.J. Woodcock, il pm delle inchieste spettacolari

Sono tre le procure che indagano sulle presunte malversazioni della tesoreria leghista: Milano, Reggio Calabria e Napoli. Quella di Napoli è un’inchiesta nata nel 2011 ed è a sua volta un’appendice di altre indagini, aperte sulle presunte tangenti internazionali della Finmeccanica.
Henry John Woodcock (Credits: La Presse)I due pm Henry John Woodcock e Vincenzo Piscitelli chiedono ai carabinieri del Nucleo operativo ecologico un approfondimento specifico su Francesco Belsito, il tesoriere della Lega. La risposta arriva loro il 30 marzo 2012 e scatena il caso: le intercettazioni più rilevanti e devastanti sono tutte lì dentro.
Va detto, peraltro, che il pubblico ministero Woodcock non brilla per risultati giudiziari. Sei anni fa il presidente della Camera Gianfranco Fini gli consigliò bruscamente di smetterla: “Woodcock” disse il 18 giugno 2006 l’allora leader di An “è un signore che in un paese serio avrebbe cambiato già mestiere”. Oggi c’è chi, più ironicamente, segnala su Twitter che invece la Lega deve tremare, non fosse altro per questioni squisitamente statistiche: perché prima o poi il pm arriverà a chiudere un’inchiesta con una condanna. E forse questa potrebbe essere la volta buona…
Alla fine del 2010 Panorama aveva calcolato che nella sua carriera il pm avesse fatto arrestare più di 210 persone: 15 l’anno se si parte dal 1996, quando è entrato in magistratura. Anche questa statistica, nel frattempo, si è allungata.
Look e origini britanniche, ma forte accento napoletano, Woodcock trasloca nel settembre 2009 dalla procura di Potenza a quella di Napoli, ed è già uno dei pm più controversi d’Italia. Arriva in Basilicata nel 1999 e catapulta la piccola procura al centro delle attenzioni mediatiche. Nel 2003 parte come un turbine l’indagine Vipgate: 78 indagati, fra cui Tony Renis e due ministri (Maurizio Gasparri e Antonio Marzano), accusati di associazione per delinquere, turbativa d’appalto, estorsione, corruzione e favoreggiamento: il giudice respinge gli arresti e dichiara l’incompetenza di Potenza, e Roma archivia.
Altre inchieste sono entrate di prepotenza nel lessico giudiziario: come Vallettopoli, che a sua volta stata trasferita ad altri tribunali e in nulla se si esclude la condanna (a Milano) di Fabrizio Corona. Nel 2006 il pm ottiene l’arresto di Vittorio Emanuele e di altri sette per corruzione, falso, sfruttamento della prostituzione: nel marzo 2007 la procura di Como, dove l’inchiesta approda per competenza territoriale, chiude con un’archiviazione.
Il 23 settembre da Roma arriva lo schiaffo finale: tutti assolti perché “il fatto non sussiste”.
Intanto, mentre la gogna mediatica si abbatte con fiorza sulla Lega (a un mese dalle eleziooni amministrative) qualcuno ricorda che Woodcock due anni fa si era pubblicamente dichiarato “contro la logica di sbattere il mostro” in prima pagina: il pm lo aveva scritto nella prefazione al libro della fidanzata Federica Sciarelli, “Il mostro innocente” (Rizzoli), che racconta la storia di Gino Girolimoni. L’uomo che fu accusato ingiustamente di essere “il mostro di Roma”.
foto...Henry John Woodcock (Credits: La Presse)
http://blog.panorama.it/italia/2012/04/06/la-carriera-di-hj-woodcock-il-pm-delle-inchieste-spettacolari/

mercoledì 29 febbraio 2012

Primo marzo: sciopero degli immigrati

Primo marzo:
sciopero degli immigrati

Sono 4 milioni gli immigrati in Italia, che con il proprio lavoro sostengono anche il Paese che li ospita. Restano però cittadini di serie B. E' per questo che, per il terzo anno consecutivo, domani primo marzo, i lavoratori stranieri incroceranno le braccia
Sono 4 milioni gli immigrati in Italia, che con il proprio lavoro sostengono anche il Paese che li ospita. Restano però cittadini di serie B. E' per questo che, per il terzo anno consecutivo, domani primo marzo, i lavoratori stranieri incroceranno le braccia.
Dopo il successo del 2010, la manifestazione si è ripetuta nel 2011 ed è diventata un appuntamento fisso. Diverse le richieste:  abrogazione della legge Bossi-Fini, cancellazione del contratto di soggiorno per lavoro, chiusura di tutti i Cie;  cittadinanza ai bambini nati in Italia;  no al permesso a punti e a nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno; regolarizzazione generale di chi non ha un permesso.

Anche quest’anno il colore di riferimento della manifestazione è il giallo. Ogni piazza italiana sarà riempita di foulard, spille, nastri e palloncini gialli. Sono previsti eventi a tema e flash-mob in cui simbolicamente si taglierà un lungo nastro giallo.

Tra gli eventi previsti:
Milano: presidio e interventi in piazza Duomo ore 17.30-19.30;
Bologna: corteo da piazza dell'Unità ore 9.00; presidio in piazza Maggiore ore 16.00 microfono aperto; concerto Hip Hop ore 19.30;
Firenze: ore 16 corteo da piazza Santissima Annunziata  con arrivo in piazza Santa Maria Novella;
Roma: iniziativa sulla comunicazione dalle ore 18.30 al Brancaleone;
Napoli: corteo da piazza Garibaldi a piazza Pleibiscito ore 9.00;
Bari: presidio e manifestazione piazza Umberto, ore 16.30-19.30;
Palermo: piazza Bologni 8, aula Sturzo ore 10.00 convegno " La tutela dei migranti contro le discriminazioni".
 http://www.tg3.rai.it/dl/tg3/articoli/ContentItem-e3d3220d-f0bb-420c-b5e5-159d0ca5469b.html

mercoledì 15 febbraio 2012

'L'Italia sono anch'io'. Città di nascita: Aversa, provincia della Nigeria

'L'Italia sono anch'io'. Città di nascita: Aversa, provincia della Nigeria 

Martedì 14 Febbraio 2012 15:24

di Mario Paciolla

Fuori è freddo. La pioggia cade senza posa imbrigliando la strada tra irregolari tappeti scivolosi di colore grigio. In queste condizioni rifletto sulla possibilità di raggiungere Castelvolturno in macchina. Dopo una breve colazione controllo il meteo e la connessione. Riesco a rintracciare Susan, chiedendole la possibilità di chiamarla via Skype. E’ in linea. 
Foto0034Stavo sbucciando gli yam insieme a mia madre”. Lo yam è un particolare tubero simile alla patata dolce, utilizzato in molte ricette africane. Non nascondo di aver subito chiesto cosa fosse uno yam. Dati i numerosi impegni, anche per lei è una buona idea rispondere a qualche domanda telefonicamente. E’ indaffarata a preparare il pranzo e, a causa del tempo, ha dovuto posticipare la sessione di prove con il coro gospel. Ha dei tratti molto forti ed il viso sembra intagliato in una corteccia d’ebano. I genitori, padre ghanese e madre nigeriana, si conobbero in Italia e, dopo un anno, decisero di sposarsi e metter su famiglia nel casertano. Susan nacque ad Aversa nel 1991. Dopo di lei nacquero altri due fratelli. Tutti in Italia. Nel raccontarmi del padre, un accenno di nostalgia sfiora appena la sua voce forte come il sole africano, dicendomi che la lasciò quando aveva appena nove anni. I pochi ricordi che conserva, sono legati ai racconti della madre. Dopo la perdita, la famiglia decise di stanziarsi nella provincia di Castelvolturno, dove è presente una delle più numerose comunità nigeriane del paese.
Mia madre aveva progettato di trasferirsi a Roma, dove viveva la sorella. Aveva documenti, visto e biglietto in ordine. Per un errore la fecero scendere a Napoli. Poi mia zia è tornata in Africa e lei ha conosciuto mio padre che invece era qui da molto più tempo”. Ci tiene a sottolineare con una certa premura che la documentazione presentata all’ambasciata era completa. “Mia madre non ha raggiunto l’Italia irregolarmente. L’hanno fatta diventare irregolare”. Quando Susan aveva dodici anni, la Questura decise infatti di negare il rinnovo del permesso di soggiorno alla signora Darboe, poiché non in possesso di un reddito adeguato ai parametri burocratici. Non avendo raggiunto ancora l’età per muovere i passi da sola tra le fila della Questura, Susan rientrava nella tutela prevista dal permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare della madre. Come diretta conseguenza è stata costretta a vivere per alcuni anni nel proprio paese da irregolare. Non era residente. Per lo Stato Italiano lei non esisteva. Con tanto di certificato di nascita e di frequenza scolastica. “Pensavo fosse tutto uno scherzo. Non ci credevo. Sono nata in Italia. Studio in Italia. Sono italiana. Davo per scontato che a 18 anni sarei diventata una cittadina italiana”. L’aggettivo “italiana” si rincorre in modo ossessivo tra una parola di Susan e l’altra. La madre entra nella stanza e le porge un piattino con qualche pezzo di banana fritta. Affacciandosi per un attimo sullo schermo, mi chiede con divertita e garbata ironia se ne volessi anch’io un po’. La ringrazio tenendole il gioco. Scompare e sento la porta chiudersi. Dai 13 ai 18 anni, Susan, pur frequentando regolarmente la scuola, è priva di documenti, crescendo in un clima di tensione nel timore di eventuali controlli che l’avrebbero potuta in qualche modo compromettere, rischiando addirittura il rimpatrio forzato in un paese che non ha mai né visto né visitato. Da quando è nata, non ha mai lasciato il territorio italiano. “Non riuscivo ad integrarmi completamente. A scuola ero l’unica che non poteva partecipare alle gite. Alle feste ero l’unica a non essere invitata. Le maestre e mia madre mi dicevano di non farci caso. Io però un poco ci stavo male e mi chiedevo il perché”. A 18 anni, in vista anche dell’esame di Stato, dopo ininterrotti ricorsi, riesce ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi umanitari ed acquisendo così una protezione internazionale da rinnovare ogni anno. Mi fa vedere il permesso. Alla voce 'nata a' compare il nome del comune di Aversa. Non noto nulla di strano. Abbozzando un sorriso, mi chiede di osservare meglio.
Paese: Nigeria. “Quando me lo rilasciarono, chiesi da quando Aversa fosse considerata una città della Nigeria. Non mi hanno saputo rispondere”.
Fuori continua a piovere incessantemente. La connessione comincia a vacillare trasferendo la chiamata ad intermittenze sempre più frequenti. Chiedo a Susan di chiudere la telefonata. La richiamo nel giro di pochi secondi. È iscritta al secondo anno di giurisprudenza e ha conseguito un certificato di inglese presso il Cambridge. Una volta concluso il ciclo di studi, potrà iscriversi all’Ordine degli Avvocati Italiani solo dopo aver presentato una documentazione degli specifici visti d’ingresso e aver sostenuto un esame di abilitazione previsto per i cittadini stranieri laureati in un’ Università italiana. Il fatto è che Susan non è mai entrata in Italia. Ci è nata e non l’ha mai lasciata. Lavora part-time con una cooperativa e non può in alcun modo firmare un contratto di lavoro per i soliti limiti imposti dai motivi legati al rilascio del permesso di soggiorno. E’ iscritta all’ ARCI e fa parte del dipartimento immigrazione CGIL di Caserta, collaborando come mediatrice culturale. “È un lavoro legato alla mia condizione e ai diritti che mi sono negati. Conosco le abitudini delle persone che arrivano in Italia. Provo a comunicare con loro e cerco di creare un’armonia rendendo le cose più semplici”. Le chiedo cosa le piacerebbe fare da grande. “L’avvocato, poiché anche se le cose dovessero cambiare, i problemi ci saranno sempre”. Mi continua a raccontare di quanto sia stato difficile per lei inserirsi e di come sia maturata nel corso degli anni riuscendo a capire come gestire le situazioni. Mi parla di partecipazione, diritti e cittadinanza in modo tecnico e preciso senza mostrare la minima esitazione. La connessione a quel punto ricomincia a dare problemi. In sottofondo sento la voce della mamma chiamarla dall’altra stanza. Mi chiede scusandosi se abbiamo finito. Con il suo consenso mi riservo di farle un’ultima domanda.
Una volta staccata la telefonata rivedo gli appunti presi fino a quel momento, poi Susan mi ricontatta. “Tra un po’ dovrei andare”. Le chiedo di Castelvolturno, della comunità nigeriana e della situazione dopo quanto accaduto negli anni scorsi. Con un attimo di perplessità, mi chiede cosa voglio sapere. “Conoscevo una delle persone uccise nella strage, per il resto ero piccola, non ricordo bene. La situazione dopo quella tragedia si è calmata. Tra italiani e immigrati c’è sempre stato un rapporto di amicizia. In fondo condividiamo tutti lo stesso problema che è anche la causa di quello che è successo e di quello che succede ogni giorno a Napoli”. Nonostante il pensiero inclinato a delineare una zona d’ombra in quello che dice, l’osservazione di Susan è impossibile da equivocare. “L’unico problema reale è quello dei documenti, che lega a doppio filo anche il problema dell’integrazione”. Per un attimo sembra avere un sussulto di curiosità e mi chiede con estrema ingenuità se può farmi una domanda. Mi parla di Jerry Masslo, della strage di Castelvolturno, di Firenze e di Senegal. Purtroppo cade la connessione. Provo a ricontattarla immediatamente senza risultato. Le dico che abbiamo finito e che può scrivermi ciò che voleva chiedermi. Sullo schermo compare una scritta: “Ogni volta che ci sono tragedie come queste, in Italia il Governo pensa bene di risarcire parzialmente i familiari e gli amici delle vittime rilasciando il permesso di soggiorno o addirittura in alcuni casi la cittadinanza. Perché deve morire qualcuno per far sì che le cose cambino?”. Saluto Susan e la ringrazio per la disponibilità, senza ovviamente essere in grado di rispondere alla domanda.
Intervista in collaborazione con Maria Seredenko e Ilaria Izzo dell’Associazione Hemispheres

http://www.levanteonline.net/index.php/litalia-sono-anchio/6093-litalia-sono-anchio-citta-di-nascita-aversa-provincia-della-nigeria.html

giovedì 24 novembre 2011

Cittadinanza italiana acquisizione: cittadinanza ai bambini nati in Italia

Articolo del 24 Nov 2011
Cittadinanza italiana acquisizione – Cittadinanza per gli immigrati

Il Capo dello Stato, Napolitano, in questi primi giorni del nuovo Governo, coglie l’ occasione per mettere in luce uno dei temi da affrontare il prima possibile: la cittadinanza per gli immigrati.





Quali sono le richieste di Napolitano?

Sfruttando la cooperazione che pare esserci tra le diverse parti politiche, Napolitano spera che si possa creare una legge che regoli i diritti di cittadinanza dei bambini nati in Italia da genitori immigrati e i rapporti tra Stato e minoranze religiose.

Il Presidente della Repubblica ripone le sue speranze nel Ministro della Cooperazione Internazionale e dell’ Integrazione Sociale, Andrea Riccardi fondatore anche della Comunità di Sant’ Egidio; sperando di riprendere il discorso da dove lui stesso laveva lasciato nel 1998con la riforma Turco – Napolitano.
Repliche della Lega:
Ovviamente come accade spesso nella vita di tutti i giorni e maggiormente nella politica, l’ idea di Napolitano non è piaciuta a tutti e l’ ex Ministro degli Interni, Roberto Maroni esprime tutto il suo dissenso. “

L’idea di dare la cittadinanza a chiunque nasca in Italia, sulla base del principio dello “ius soli” è uno stravolgimento dei principi contenuti nella Costituzione “,

con questa dichiarazione lui e la Lega si dicono assolutamente contrari, perchè si rischierebbe di ritrovarsi con centinaia di cittadini italiani in più, solamente perchè nati nel nostro Paese durante una qualsiasi ondata migratoria di clandestini.

Ma cosa dicono le leggi italiane e quelle degli altri paesi Europei riguardo le cittadinanze concesse agli immigrati?

IN ITALIA

Sono deversi i modi attraverso i quali si può acquisire la cittadinanza italiana, questi quelli previsti nel nostro Paese:

ius sanguinis o diritto di sangue;

la cittadinanza italiana viene concessa a chi nasce da genitori italiani, a chi non segue la cittadinanza degli Stati di provenienza dei genitori o a chi è stato trovato o è nato nel nostro territorio da genitori ignoti o apolidi, cioè privi di cittadinanza. ( Legge 91 del 1992 )

ius soli o diritto di territorio;

è un’eccezione della Legge 91, che prevede la concessione della cittadinanza all’ immigrato che almeno da 10 anni risiede legalmente nel nostro Paese, all’ immigrato che all’ estero ha lavorato per lo Stato Italiano almeno per 5 anni,all’ immigrato che ha uno dei genitori, o un ascendente di secondo grado, cittadino italiano che risieda nel nostro Paese da almeno 3 anni, ad un cittadino di un altro Stato dell’ Ue, dopo almeno 4 anni di residenza legale nel nostro territorio, all’ immigrato maggiorenne adottato da cittadini italiani dopo 5 anni dall’ adozione,

al cittadino rifugiato o apolide che risieda legalmente in Italia almeno da 5 anni. acquisizione tramite matrimonio, solo dopo almeno 2 anni di residenza in Italia dal momento del matrimonio con un cittadino italiano, una persona straniera potrà acquisire la sua cittadinanza. In questo caso due possono essere le eccezioni, se entrambi i coniugi risiedono all’ estero bisogna aspettare 3 anni dalla data della celebrazione del matrimonio mentre invece se ci sono figli legittimi o adottati, i termini di attesa vengono dimezzati.

IN EUROPA
Non tutti i paesi hanno la stessa regolamentazione, quasi tutti si basano sul diritto di sangue ma con delle eccezioni.

Grecia, AustriA e Danimarca seguono una linea simile a quella italiana anche se non è semplicissimo acquisire la cittadinanza per chi è nato in quei Paesi da genitori stranieri.
In Belgio, Spagna, Irlanda e Portogallo vale sempre il diritto di sangue ma viene basato su norme meno rigide delle nostre.

Anche in Germania vige il diritto di sangue ma a differenza dell’ Italia, per concedere a un figlio la cittadinanza basta che uno dei genitori del minore nato in territorio tedesco, vi risieda legalmente da almeno 8 anni.

In Francia c’è addirittura una sorta di doppio diritto di sangue che permette ad uno straniero di ottenere la cittadinanza se è nato in territorio francese da genitori stranieri nati a loro volta lì.
Al riguardo in Parlamento sono depositate 50 proposte che riguardano la cittadinanza, con attenzione particolare verso i minori.

Proprio su di loro Napolitino ha attirato l’attenzione, secondo una proposta, i minori stranieri non accompagnati in Italia, potrebbero fare domandaper la cittadinanza solamente se riuscissero a dimostrare di aver iniziato la fase di integrazione grazie anche ad un aiuto concreto da parte della società. Oltre a dimostrare questo il minore dovrebbe frequentare dei corsi scolastici, essere legalmente in Italia da almeno 2 anni, una conoscenza della lingua italiana sufficiente all’ integrazione e la partecipazione ad un progetto pubblico o privato di integrazione o assistenza.
Un’ altra proposta prevederebbe l’ acquisizione della cittadinanza all’ immigrato che entro un anno dal compimento della maggiore età, dichiarasse il desiderio di diventare cittadino iatliano e fosse nato o arrivatoin Italia entro il compimento del quinto anno d’ età.
Le proposte da valutare sono tante, è una questione da esaminare e regolamentare sia se si è favorevoli o contrari all’ ingresso degli immigrati nel nostro territorio. Bisognerà soltanto aspettare di vedere quale sarà la posizione del nuovo esecutivo al riguardo e come, se e quando, il neo Ministro della Cooperazione Internazionale e dell’ Integrazione Sociale, riuscirà a sciogliere questo delicato nodo.

mercoledì 21 ottobre 2009

Clandestina e prostituta: nemmeno l’amore la può salvare


Internidi GloriaDemo
pubblicato il 21 ottobre 2009 alle 10:30
Potrebbe davvero essere stato l’unico italiano ad aver avuto accesso al centro di identificazione ed espulsione di Bologna negli ultimi sei mesi prima di agosto. Abbiamo parlato Daniele Ciolli, ventenne piacentino noto alle cronache per l’odissea superata con successo nel suo eccezionale riuscire a varcare la soglia del “lager” di via Maffei


Tutto per vedere il suo ex amore, una ragazza nigeriana venuta in Italia ad inseguire la promessa di un posto di lavoro. Tutto nonostante la sua sedia a rotelle. “Raccontate quello che ho visto” ci ha chiesto. Non possiamo che fare così. Noi non siamo riusciti nemmeno in qualcosa di molto più semplice. Dovrei poterne essere certa, perché non ho motivo di dubitare che possano avermi mentito su una cosa “banale” come questa: all’interno del Centro di Identificazione ed Espulsione di via Maffei a Bologna ci sono sia un campo da calcio che uno da pallacanestro. Mi era stato raccontato altrimenti e, per potermene assicurare, ho dovuto parlare con quattro persone diverse, tra quelle poche informate sui fatti più o meno autorizzare a comunicare con l’esterno.



CHI E’ ENTRATO QUA DENTRO? – Al centralino del Cie, alla mia insolita domanda, mi hanno risposto “Sono informazioni riservate”. Dopo qualche mia insistenza hanno comunque rilasciato la spettacolare rivelazione: “sì, c’è un campo da calcio, ma per farselo confermare chiami la prefettura“. Così ho fatto e: “Guardi, non le sto chiedendo se malmenate le persone…” ho tentato di rassicurare la quarta persona in ordine con cui ho parlato al telefono. Da buon responsabile mi dice: “sì, capisco, ma, sa, potrebbe chiamare un cittadino qualunque, mica possiamo rispondere a tutti. In ogni caso sì, c’è il campo da calcio ma anche uno da pallacanestro, niente palestra però. Insomma, c’è tutto quello di cui una persona ha bisogno per vivere….” Alla fine dunque risponde, ma lo sento a disagio mentre lo fa. Nel frattempo penso che io sono proprio un cittadino qualunque. Come del resto gli ho spiegato non sono una giornalista, anche se devo scrivere un pezzo. Per questo, ad un tratto, lo interrompo: “beh, credo che sia mio diritto essere informata, anche per valutare l’idea che viene diffusa quando quando ci si riferisce ai centri di identificazione ed espulsione. Sa, si scrivono tante cose al riguardo. Dovrei farlo anch’io, come le dicevo. Devo verificare qualcosa che mi è stato raccontato da una persona che ha visitato il posto”. Tuona, sorpreso: “Chi? Chi è che c’è stato?” Fin’ora è stato piuttosto gentile e disponibile, quasi mi dispiace non poter soddisfare la sua curiosità: “Eh, mica posso dirglielo così“ “Ma chi è che è entrato qui dentro?“, insiste lui.



UN LUOGO INACCESSIBILE – Il tono non sembra nemmeno più tanto stupito, anzi, mi sembra quasi di vederlo d’un tratto sorridere, come se non mi stia credendo affatto. Prima, lui come gli altri, mi ha spiegato che posso anche avere la possibilità di fare una gita panoramica nei corridoi tra le sbarre del centro, o tra le mura alte che limitano un corridoio all’aperto, a patto di farne richiesta formale in prefettura. Forse si è dimenticato però di avvisarmi che potrei non avere tante possibilità che la mia domanda venga accolta. Non posso nemmeno saperlo prima, perché, come mi è stato ripetuto più volte, finanche da un’operatrice della misericordia, ovvero una dipendente dell’ente che gestisce il funzionamento interno della struttura, sono informazioni riservate queste. Secondo Daniele Ciolli, il ragazzo con cui ho parlato, l’unico testimone italiano del Cei di Bologna con cui mi è capitato fin’ora di confrontarmi e l’unico italiano ad essere entrato a visitare il posto negli ultimi sei mesi prima di agosto (secondo quanto è stato gli è stato raccontato proprio da alcuni “mediatori della misericordia” che ci lavorano dentro) la concessione del “pass” per visitare da turista quello che lui descrive come un lager non è cosa affatto semplice.



LA STORIA DI DANIELE – Lui, ventunenne piacentino, iscritto ai giovani di rifondazione comunista – come ci tiene a precisare – è riuscito a varcare quella soglia tanto contestata, lì, in via Maffei, per ben cinque volte, due delle quali senza permesso alcuno. “Anche se ho pure litigato con qualcuno lì dentro, in certi momenti avevo quasi la sensazione che mi rispettassero. Forse non riuscivano nemmeno a capacitarsi che fossi un ragazzo sulla sedie a rotelle, anche un tipo mi aveva accusato di sfruttare la mia condizione di invalidità“. A portare Daniele dentro al Cie, prima che la sua sedia a rotelle, prima che i treni, gli autobus ed i taxi non tutti pensati per quelli nelle sue condizioni, è stato l’amore di allora per una ragazza, Jessica. Poco più che ventenne gli aveva rubato il cuore. È una bellissima nigeriana venuta in Italia con un biglietto pagato da quelli che poi si sono rivelati i suoi sfruttatori, con l’illusione che qualcuno le avrebbe offerto un lavoro come parrucchiera o babysitter. Invece poi si è trovata invece a battere le strade di Piacenza. “È lì che l’ho conosciuta“, ammette Daniele, “non mi nascondo. Cercavo una prestazione sessuale, poi è successo altro, ci siamo innamorati forse, anche se l’amore è una parola grossa. Ora non siamo più insieme comunque” E’ per lei che, nonostante un’odissea di vicissitudini varie, Daniele, a fine agosto 2009, riesce ad entrare la prima volta nel centro di identificazione ed espulsione di Bologna. Gli ho fatto qualche domanda.


L’INTERVISTA - Cosa hai visto? Muri alti e spessi, uomini con bende alle braccia ed agli occhi dietro le sbarre. Alcuni ululavano, altri chiedevano aiuto. E tu? Hai fatto qualcosa? No, la polizia mi proibiva di comunicarci. Ho visto anche qualche poliziotto passare davanti alle sbarre sputandoci dentro.Ti sei chiesto cosa fosse successo a quei poveri disperati?Probabilmente avevano tentato una qualche rivolta e le forze dell’ordine avranno dovuto intervenire. è disgustoso ma è il loro lavoro, purtroppo. Succede così. Fanno parte del sistema, un sistema sbagliato
Ma che tu sappia, son deliquenti le persone stipate lì dentro?Guarda, a detta di un operatore della misericordia, almeno tre quarti sono semplicemente clandestini, magari venuti qui su di un barcone in cerca di salvezza.

E la tua ex ragazza? Come c’era finita dentro?Come ti dicevo faceva la una prostituta, ogni giorno facendo la spola tra Torino e Piacenza, come tante altre. Così mi raccontava. Poi magari invece di tornare a Torino si fermava un po’ prima, non so bene. Solo vent’anni, poveretta, costretta ad andare con sessantenni schifosi, immagina. Ora che è fuori corre nuovamente il rischio.
Come mai è fuori?Sono scaduti i termini, piuttosto in fretta. L’hanno fatta uscire dopo circa due mesi. Comunque costerebbe meno tenerla in galera per qualche tempo più lungo piuttosto che pagarle in biglietto per tornare a casa. Me l’ha detto un tipo della questura.Ma quando faceva la prostituta, chi la controllava a Piacenza?In realtà le nigeriane come lei sono abbastanza, almeno apparentemente, libere. Arrivate qui vengono riempite di botte e minacciate con riti wodoo. Bastano questi a trattenerle da qualunque tentativo di fuga. Se ti capita di incontrarne una osservala. Noterai dei segni sul viso, sulle braccia.Che sono?Sono i segni lasciati dai riti. Loro ci credono molto. Se lasciano la strada qualcosa di grave accadrà alla loro famiglia. Questo gli mettono in testa. Oltretutto, se smettono di battere, cosa possono fare per vivere? Io ho tentato di salvarla, ho fatto di tutto, sono stato anche minacciato dal racket all’inizio, volevo farla aderire al progetto “Oltre la strada”, dell’Emilia Romagna, ma non ci sono riuscito, anche se ho lasciato i suoi dati ovunque, così che possano rintracciarla se occorre.

Ma come c’è finita dentro al Cie?Io ero in Spagna. È successo allora: l’hanno arrestata. Dopo due giorni lei mi ha telefonato e mi ha detto di essere stata rilasciata, che l’avevano messa in una casa protetta, che entro quattro mesi le avrebbero dato i documenti.

Si riferiva al Cie?Sì, l’ho scoperto il 22 agosto scorso, quando si sono andato. Era dentro già da quasi dieci giorni.Non è stato semplice, ho un’invalidità del 100 per cento, mi muovo su una carrozzina elettrica.Arrivato a Bologna, in via Maffei, chiedo alla polizia di Stato se posso vederla. Mi viene risposto di no, perché è necessaria l’autorizzazione della prefettura. Allora ci vado. Qui mi viene spiegato che devo attendere il lunedì, perché gli uffici preposti di sabato sono chiusi. Mi consigliano però di provare a tornare in via Maffei, di insistere per entrare, di far lor capire che per un invalido come me è problematico tornare a Bologna di nuovo. Con me ho tutto:carta d’identità, tesserino sanitario, postepay, carta blu del treno, codice fiscale.Non avevano certo la scusa di non poterti identificare, dunque, ma come è andata poi?Il poliziotto capo mi dice che sono un rompicoglioni, che la prefettura non capisce un tubo. Mi saluta con un vaffanculo e mi raccomanda di andare a rompere le scatole al Resto del Carlino.Ma ti fa entrare?No.Vai al giornale?Sì, e mi intervistano. Domenica mattina pubblicano un articolo di dieci righe. Intanto io, la sera -siamo ancora a sabato- torno al Cie. Mi fanno entrare. Un operatore della misericordia, che è dell’associazione che gestisce la struttura, mi accompagna in bagno. Devo ammetterlo, è stato davvero gentile. Poi chiedo di vedere “Jessica” e, ancora, rispondono di no, di tornare il giorno dopo.Torni a casa?No, perché perdo il treno accessibile alle persone per carrozzella diretto a Piacenza. Resto in giro di notte, a Bologna, solo, senza assistenza . Chiamo la polizia urbana, arriva la pattuglia e chiedo se la caritas può ospitarmi. Lì però non hanno hanno posto.E che succede?Alla fine rimedio in pronto soccorso, dove mi reco verso le due di notte. Mi danno un lettino e dormo un paio d’ore, tenuto d’occhio dai gentili infermieri e dal medico. Alle sette esco e mi dirigo in Piazza maggiore. Prendo l’autobus e torno al Cie. Lì incontro il capogruppo regionale di rifondazione comunista Masella che chiede di farmi entrare ai poliziotti, che, nuovamente, rispondono di ripassare nel pomeriggio. Ritorno ed entro!La vedi?Sì, prima mi aiutano nuovamente per andare bagno e poi me la fanno vedere….Riesci a parlarle in intimità?No, è terribile, dentro ci sono militari, doppi cancelli blindati, telecamere … Io e lei siamo in una stanza video sorvegliata e i poliziotti piantonano l’ingresso . Perquisiscono per ben due volte i regali che le ho portato: dell’intimo, delle t-shirt, un bagnoschiuma, orecchini, lucidalabbra. Lei si sente a disagio ed io piango . Non riesce quasi a baciarmi tanto si sente a disagio. Poi è scaduto il tempo e sono dovuto andar via. Un taxi mi ha riportato in stazione. Il giorno successivo ho telefonato al Cie e mi hanno chiesto di inviar loro un fax con la fotocopia della mia carta d’identità, che loro avrebbero inoltrato in prefettura.Volevi tornarci?Sì, mi hanno detto che dovevo attendere quindici giorni. Invece ne sono passati venticinque. L’ho rivista solo il 17 settembre. Le ho portato una rosa, oltre ai regalini. Ho fatto tutto per lei. Lei mi ha detto di aver fatto richiesta per ottenere asilo politico, ed il 21 ottobre ha l’audizione in commissione territoriale.Pensi che si presenterà?Non lo so. Le avevo offerto anche la consulenza gratuita di un avvocato di rifondazione, ma ha rifiutato. Comunque ha un buon avvocato d’ufficio.Ma vi sentivate mentre lei era lì dentro?Sì, a volte, con il telefono pubblico. Ne hanno uno per tutti i detenuti lì dentro. Devono pagare per poter chiamare fuori, sempre, comunque, davanti a tutti. Ma la mia ragazza, come gli altri, a volte preferiva tenere quei pochi euro che venivano dati loro, 2. 50 ogni due giorni, per prendere qualcosa dalle macchinette, per mangiare. È un ricatto.Non hanno una mensa?Sì, gestita dalla Camst. Si mangia male.Ma no, la conosco.Si mangia maleMa tu potevi telefonarle?Sì, ma non sempre riuscivo a farmela passare. Per questo una volta le ho regalato un telefonino. Si è messa davanti alla telecamera e l’ha infilato nel reggiseno, sperando di non farselo trovare. Capitava che ne avessero anche le compagne di cella. Mi ha telefonato anche con il loro qualche volta. Poi un giorno tutti i detenuti sono stati perquisiti e i cellulari sequestrati.Mi è stato raccontato che li hanno lasciati nudi, i maschi.
Non so se è vero.

Mai sentito di episodi di violenza sulle donne lì dentro? Non so se hai letto di quella ragazza, Raya, pestata a maggio scorso lì dentro, o di quelle donne bolognesi che son andate davanti al Cie per protestare al motto diqui si stupra”No, ad esser sincero non credo, comunque sì, forse ho capito a cosa ti riferisci. In ogni caso mi è sembrato che le donne, molte delle quali sono musulmane vengano trattate meglio rispetto agli uomini.Quanto tempo restano dentro le persone?Dai tre ai sei mesi. In genere non troppo, i posti sono affollati. La mia ex ragazza, ti dicevo, è uscita in fretta, e non so nemmeno dove sia ora. L’ultima volta che ci siamo sentiti abbiamo litigato.Torniamo al Cie. Vivono ciascuno in una cella singola?No, insieme ad altri. La mia ex ragazza aveva sette o otto compagneE che fanno durante il giorno?
che fanno durante il giorno?Dormono e guardano la tv. Ce n’è una in ogni cella, appunto, per distrarle

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mercoledì 7 ottobre 2009

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno

Rastrellamento al Pigneto, gli abitanti non ci stanno
Dopo la gravissima operazione della guardia di finanza contro gli africani del quartiere romano, oggi hanno preso parola i residenti del quartiere, che lamentano il clima di paura e denunciano le manovre speculative dietro la pulizia etnica di via Campobasso. Con la scusa della «sicurezza».

Decine di finanzieri con manganello al contrario irrompono nelle case dei migranti senegalesi e nigeriani con la scusa di «controlli antiabusivismo commerciale», e portano via una cinquantina di persone, lasciandosi dietro porte sfondate, case distrutte e qualche ferito.
La scena è avvenuta ieri pomeriggio al Pigneto, quartiere all’inizio della via Prenestina al centro di «riqualificazione»: le guide dei locali romani scrivono che questa zona è un po’ «come Tribeca a New York»: case basse, artisti e locali. Dentro questo scenario vive una composizione sociale a tante facce: giovani in carriera, anziani nati e cresciuti tra la circonvallazione Casilina e porta Maggiore, studenti fuorisede e migranti, soprattutto bengalesi e africani. Se ti capita di fare molto tardi, al Pigneto, fai a tempo a vedere le birrerie che chiudono e le bancarelle del mercato che aprono, seguendo un ideale passaggio di testimone che rappresenta bene l’equilibrio delicato della zona. È un equilibrio, quello tra i giovani che hanno rianimato le piazze, i migranti che qui lavorano e gli abitanti storici, che le istituzioni e le forze dell’ordine dovrebbero contribuire a mantenere e non lavorare per demolire. Invece, i finanzieri ieri sono arrivati a muso duro per perquisire la case. Sono stati respinti fermamente dai migranti, che chiedevano se avessero un mandato di perquisizione, e sono tornati poco dopo in tanti e in assetto antisommossa, decisi a fargliela pagare a questi africani che conoscono persino i loro diritti.
Ma questa è anche una storia di resistenza, oltre che il resoconto di un normale abuso nella libera Italia di Bossi-Fini e Berlusconi e nella Roma di Alemanno e Storace. Per questo, quando la via piena di passanti assiste al rastrellamento, si mobilita. Qualcuno chiama gli avvocati, i rappresentanti della comunità senegalese, accorrono anche i ragazzi dell’Onda che poco lontano hanno occupato una palazzina per farne una casa dello studente autogestita, «Point break».
A decine si ritrovano all’ufficio immigrazione della Questura di Roma, dove si scopre che 18 migranti verranno trattenuti «per accertamenti», mentre di altri sette non si hanno notizie. È di questo pomeriggio la conferenza stampa del comitato di quartiere e degli abitanti multicolore del Pigneto, che mostrano di avere le idee chiare. «Con la scusa della sicurezza, la nostra città sta respirando in questi mesi un clima di violenta repressione: blitz contro immigrati, sgomberi di centri sociali e di spazi occupati in risposta all’emergenza abitativa – hanno spiegato quelli del comitato – Operazioni eclatanti, che colpiscono proprio i più deboli con l’obiettivo di aprire nuovi spazi agli interessi economici che governano la città». Anche gli abitanti parlano di «rastrellamento in piena regola». «Come accaduto al Pigneto, un quartiere che si vorrebbe ‘ripulire’, per renderlo una ricca vetrina dedita al commercio – proseguono gli abitanti – Forse, dietro lo sgombero, si nascondono gli interessi legati al mercato degli immobili in una zona che vive una gravissima emergenza sfratti e dove il prezzo delle case e’ in costante ascesa. Noi cittadini del quartiere siamo preoccupati di questa grave spirale di violenza dello Stato. Vogliamo che il Pigneto sia un quartiere dell’accoglienza, non della repressione e della speculazione».
Se si scende dall’isola pedonale verso il ponte che oltrepassa la linea ferroviaria, sulla destra c’è via Campobasso, la via degli africani. Fino a qualche anno fa, quando al Pigneto c’era solo un’osteria, questa stradina era meta dei cinefili perché è qui che si trova l’oratorio di don Pietro, il parroco che 54 anni fa aiutava i partigiani interpretato da Aldo Fabrizi in «Roma città aperta». Altri tempi, altri rastrellamenti.

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sabato 19 settembre 2009

Tragedia a marzo: erano due le navi affondate dei migranti

di A. Leograndetutti gli articoli dell'autore
Avvenne una notte di poco più di cinque mesi - tra il 28 e il 29 marzo - nelle acque libiche. La notizia fu battuta dalle agenzie di stampa e apparve sui giornali: un naufragio catastrofico, 253 morti. Era una notizia vera. Ma solo per metà: un’inchiesta della magistratura italiana ha accertato che i boat people affondati furono due, stracolmi di donne, uomini e bambini. E che i morti furono circa 600. La più grave tra le tante tragedie dell’immigrazione nel Mediterraneo. Ma partiamo da quanto si sapeva fino a ora. Si sapeva che quella notte era salpata da Said Bilal Janzur un’imbarcazione con a bordo 253 persone e che, a poche decine di miglia dalla costa, era naufragata. Si sapeva di 21 cadaveri recuperati, di 23 naufraghi che si erano salvati tenendosi aggrappati a un frammento del relitto.

E si sapeva pure di un’altra imbarcazione - la terza, dunque, nel nuovo scenario della tragedia - con a bordo 350 uomini e donne che era stata intercettata e ricondotta nel porto di Tripoli da un rimorchiatore italiano, l’Asso 22. La notizia era stata subito confermata dalle autorità libiche e dall’Oim (l’Organizzazione mondiale per le migrazioni). Fin da allora erano sorti dei dubbi sulla reale entità della catastrofe. Insomma, c’era qualcosa di poco chiaro nei numeri del naufragio. Alcune fonti non verificate sostenevano che le barche partite quella notte erano state tre, e non due. E che un’altra si era inabissata scomparendo nel nulla.Le reali dimensioni della tragedia sono state scoperte quasi per caso, grazie alle intercettazioni telefoniche, durante un’indagine sulla prostituzione nigeriana della Direzione distrettuale antimafia di Bari.

Una telefonata agghiacciante. Gli interlocutori sono un trafficante residente in italia e un uomo che parla della Libia. Si autodefinisce «connection-man» e si affanna a rispondere alle insistenti domande del primo. Il trafficante è nervoso. Lo accusa di avergli fatto perdere un «carico» prezioso: trenta ragazze già acquistate per essere messe sui marciapiedi del Balpaese sono «andate perse» in un naufragio: «La barca si è spezzata in due», si giustifica «connection-man». Parlano proprio del naufragio avvenuto la notte tra il 28 e il 29 marzo. In un dialogo che diventa via via più allucinante, «connection-man» prova a parare i colpi: «Tutti danno la colpa a me, ma che colpa ne ho io se c’era cattivo tempo. Le barche si sono spezzate perché il legno con cui erano fatte non era buono». «Le barche», non «la barca»...Nel corso delle conversazioni tra i due (alla prima, ne fanno seguito altre più brevi), «connection-man» dice chiaramente che le barche affondato quella notte erano due, non una. Sulla prima vi erano a bordo 253 persone («E una ventina sono state recuperate», precisa riferendosi alla barca di cui già si sapeva). Sull’altra, sulla nave fantasma, erano molte di più.

Oltre 350. Ed ecco il totale: quasi 600 morti. In una sola notte, dunque, è stato superato il numero delle vittime dell’emigrazione nel Mediterraneo - 418, secondo le stime più accreditate - dall’inizio del 2009. Il titolare dell’inchiesta è il sostituto procuratore Giuseppe Scelsi, lo stesso magistrato che conduce la più famosa inchiesta sullo scandalo barese. L’organizzatore dei viaggi è stato iscritto nel registro degli indagati per strage colposa, ed è stata presentata alla magistratura libica una rogatoria internazionale in cui si chiede di indagare su «connection-man» (di cui si conosce il nome e, ovviamente, un numero di telefono) fornendo alcuni riscontri investigati. Finora, però, la richiesta non ha ottenuto alcuna risposta; la Libia pare sorda a ogni possibile accertamento. Perché? Alla difficoltà di ottenere una collaborazione nelle indagini da parte delle autorità libiche, si aggiunge il fatto che è quasi impossibile ottenere un confronto con i superstiti. Pare che a bordo delle tre imbarcazioni, quella notte, ci fossero uomini e donne provenienti da mezza Africa. Non solo nigeriani, ivoriani, senegalesi, camerunensi. Ma anche molti egiziani, tunisini, algerini...Dei 350 «salvati» dal rimorchiatore Asso 22 e riconsegnati alla polizia libica, non c’è più traccia.

Forse sono finiti in qualche centro di internamento per migranti. Quanto ai 21 recuperati vivi da una delle due navi affondate, i nordafricani (quasi la metà) sarebbero stati rimpatriati nei rispettivi paesi, mentre - secondo Fortress Europe - coloro che provenivano dall’Africa sub-sahariana sono finiti nelle centro di detenzione di Tuaisha, in condizioni degradanti. Quella notte maledetta, quindi, quasi mille persone hanno provato a raggiungere le coste italiane. Quelle che non sono morte, giacciono in qualche carcere della Libia.

Tragedia nella tragedia, accanto ad altri migranti che avevano pagato per il viaggio, hanno perso la vita anche trenta ragazze destinate alla più orrenda delle schiavitù, quella sessuale. Il dramma è che, se non fosse stato per i loro aguzzini, della vera entità del naufragio non si sarebbe mai saputo niente. Di certo questa ecatombe pesa come un macigno sugli accordi stipulati tra Italia e Libia. A tanta celerità nei respingimenti e nelle incarcerazioni dei migranti, fa da contraltare un’inspiegabile lentezza nell’accertare le responsabilità di pochi trafficanti.
FONTE
17 settembre 2009

lunedì 14 settembre 2009

Alemanno: "Cittadinanza veloce agli immigrati che si arruolano"

Lo propone il sindaco di Roma

ROMA, 14 settembre 2009 - ''Potremmo pensare di fare delle deroghe premio, come accorciare il periodo di attesa per ottenere la cittadinanza, ad esempio per quegli immigrati che decidano di arruolarsi nell'esercito''. E' la proposta del sindaco di Roma, Gianni Alemanno, intervenuto insieme al sindaco di Padova, Flavio Zanonato (Pd), al dibattito 'I nuovi italiani.

La patria come scelta e l'integrazione possibile', ad Atreju a Roma. Lo spunto e' stato fornito dalla partecipazione al dibattito di due militari, nati da un matrimonio misto: un'alpina e un paracadutista che si sono detti ''orgogliosi'' della loro patria ''l'Italia'', ricevendo gli applausi del pubblico di Atreju. Entrambi hanno voluto sottolineare tuttavia di aver dovuto aspettare di compiere 18 anni per avere la cittadinanza italiana. Alemanno ha ricordato che ''oggi è in corso una sanatoria che coinvolge 600mila persone e questo dimostra che la politica di centrodestra non è unilaterale'' e che ''il reato di clandestinità ci permette di distinguere chi sta in Italia per lavorare nelal legalità e chi no''.
fonte

DONNE IMMIGRATE: FRA EMANCIPAZIONE E INVISIBILITA' SOCIALE



Sono per la maggior parte donne che inseguono un sogno: l'emancipazione sociale. Ma l'Occidente è davvero in grado di esaudire i loro desideri?


Nell'immaginario collettivo sono per la maggior parte badanti; sono le straniere che arrivano in Italia alla ricerca della terra promessa. Ma la realtà ci mette poco a deludere le aspettative di queste donne pronte a lasciare il proprio paese perchè spinte dal desiderio di emanciparsi, desiderio in molti casi rafforzato da informazioni non corrispondenti alla realtà, che presentano i paesi europei come luoghi dove potersi facilmente realizzare.
Il lavoro di colf a tempo pieno rappresenta per la donna appena arrivata l’opportunità di risolvere subito il problema della casa e quello della regolarità giuridica. La famiglia del datore di lavoro può costituire un primo punto di riferimento, data l’iniziale mancanza di strumenti, specie di tipo linguistico, per orientarsi nella nuova realtà.Questo tipo di lavoro d’altro canto implica molte difficoltà: i ritmi e gli orari spesso estenuanti, come la mancanza di una vita privata, contribuiscono ad incrementare lo stato di isolamento delle donne straniere e a relegarle nella situazione di 'invisibilità sociale', caratteristica dell'immigrazione femminile. Poi ci sono le immigrate 'visibili': le prostitute, spesso arrivate nel nostro Paese attraverso la mediazione di organizzazioni criminali transnazionali. Il fenomeno della prostituzione straniera si è sviluppato a partire dal 1988; si calcola che le prostitute straniere in Europa siano centinaia di migliaia. Le nazionalità numericamente più coinvolte sono quella brasiliana, colombiana, domenicana, nigeriana, zairese, tailandese e filippina, oltre alle prostitute provenienti dall’Europa dell’Est.
In base ad alcune testimonianze, si rileva che spesso vengono reclutate nel loro paese da connazionali che promettono loro un lavoro remunerativo e serio; in altri casi, come spiega Oliviero Fredo dell’Ufficio Accoglienza Immigrati di Torino, «le donne fin dalla partenza sanno quale sarà il loro futuro lavoro, ma per molte provenienti dall’Africa e dall’Asia la prostituzione viene vissuta come una sorta di emancipazione rispetto alle condizioni economiche e sociali nelle quali si trovano a vivere».A questi 'mediatori' le donne devono poi rimborsare il biglietto e dare una parte consistente dei loro guadagni; il loro passaporto viene trattenuto fino a quando il debito non è stato completamente saldato.
Il debito iniziale di una donna che arriva in Italia ammonta a circa 15/20mila euro, comprensivo di biglietto aereo, visto e riferimenti in Italia. Quelle che non possono dare in garanzia beni di loro proprietà, sono costrette al patto di sangue: un vero e proprio ricatto per la famiglia di origine, qualora il debito non venga rimborsato. E’ importante notare inoltre che sono sempre più numerose le donne che, immigrate al seguito del marito, sono disposte ad inserirsi nel mondo del lavoro. Il loro ruolo risulta determinante sia nel caso di un esplicito ingresso nel mercato del lavoro, sia nel caso in cui, pur non avendo un attività extra-domestica, contribuiscano come casalinghe a mantenere bassi i costi di produzione della famiglia.

domenica 5 luglio 2009

SICUREZZA, GIOVANARDI: ORA REGOLARIZZARE BADANTI E COLF

SICUREZZA, GIOVANARDI: ORA REGOLARIZZARE BADANTI E COLF BOLOGNA - Una regolarizzazione per gli extracomunitari che sono già in Italia senza permesso di soggiorno, ma con un rapporto di lavoro in corso. A chiederla al governo, attraverso un provvedimento d'urgenza simile alla regolarizzazione attuata nel 2002, prima dell'entrata in vigore della legge Bossi-Fini, è il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia Carlo Giovanardi. Obiettivo, gestire l'emergenza di colf e badanti - circa mezzo milione di persone ora in Italia, che si troverebbero 'fuori-legge' con l'ok al pacchetto sicurezza - e rendere più efficaci le nuove norme varate dal Parlamento. Giovanardi l'ha spiegato all'ANSA precisando che non si tratta di una sanatoria, perché non indiscriminata ma rivolta ai cittadini extracomunitari già in Italia e il cui datore di lavoro sia disponibile ad assumerli e quindi regolarizzarli.

''Le nuove norme sulla sicurezza saranno efficaci soltanto se accompagnate da un provvedimento indirizzato agli extracomunitari gia' in Italia con un rapporto di lavoro in essere che non possono trasformare in contratto di lavoro in quanto irregolari - dice Giovanardi all'ANSA - Come responsabile delle politiche familiari di questo governo, chiedo al presidente del Consiglio di mettere all'ordine del giorno del Consiglio dei ministri un provvedimento d'urgenza, come quello che funziono' benissimo nel secondo governo Berlusconi, soprattutto per quanto riguarda l'emergenza colf e badanti''. Una richiesta sostenuta dall'auspicio che ''i nuovi strumenti a disposizione di forze dell'ordine e magistrati non rimangano 'grida' senza alcun effetto'', per cui, ha concluso Giovanardi, ''ora si puo' e si deve risolvere questo problema che riguarda centinaia di migliaia di famiglie italiane e centinaia di migliaia di lavoratori extracomunitari''.

sabato 4 luglio 2009

Manifestazione al Senato contro il pacchetto sicurezza

Alla manifestazione davanti al Senato RESPINGIAMO IL PACCHETTO SICUREZZA! Mercoledì 1 luglio, 2009 Edgar Galiano - (comitato migranti) - parla dello sfruttamento come principio motore di queste sc...



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