Visualizzazione post con etichetta CONVIVENZA. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta CONVIVENZA. Mostra tutti i post

martedì 31 marzo 2009

Una lettera che ci fa riflettere

Lettera aperta dalla Romania
(pubblicata sul Messaggero on line)
Cara redazione ho pensato da scrivere questa lettera perché era il mio dovere farlo. Tanti anni fa quando ero bambino ho letto una belissima favola romena scritta da Petre Ispirescu. La favola raccontava di un figlio di un re andato via di casa e ritornato indietro poco tempo dopo. Quando è tornato era tutto cambiato, il paesaggio, le case, le persone, non aveva più famiglia. Il nome dalla favola è "giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte". In poche parole lo scrittore anticipava senza sapere il cosiddetto tempo biologico. Io ho vissuto a Roma per 10 anni che non sono pochi. Non dimenticherò mai la prima volta quando sono arrivato, nel novembre 1995. Era un mondo diverso di tutto quello che conoscevo. I primi tempi sono i più duri, tante volte gli amici non sono amici e puoi rimanere per strada senza nessuno. Ero impaurito, non sapevo una parola d'italiano, mi sentivo come catapultato e abbandonato. Paese diverso, lingua diversa.Dopo 2 anni di sacrifici sono riuscito a avere una stanza in affitto. Pian piano come un bambino che impara a caminare ho imparato la lingua, un mestiere e ho cominciato ad amare Roma giorno dopo giorno. L'ho amata come una donna misteriosa e cosmopolita, come una madre che non era con me, come tutti i miei affetti rimasti in Romania.Gli anni sono passati l'amore è rimasto lo stesso. Adesso sono in Romania e ho paura. Ho paura per la disillusione da trovare una città cambiata in un solo anno. Ho paura da sentirmi tradito non da lei, ma da altre cose. Tante volte pensavo "cosa posso fare io per Roma?". Alla fine la risposta l'ho trovata: mi devo comportare bene e rispettare ogni sanpietrino di Roma.A Roma piace essere corteggiata, però con molta gentilezza. Devi essere una brava persona così lei ti accetta. Se la ami con tutta tua anima il tuo amore verrà ricambiato con l'amore suo e della popolazione capitolina.Mi auguro che questa bufera mediatica finirà. Di più di questo mi auguro che certi miei connazionali capissero una volta per tutte che la delinquenza non è la strada per andare in paradiso. Per colpa loro soffrono persone italiane e non che non hanno colpe. Faccio un apello a tutti gli italiani: vi prego, non pensate che tutti i romeni sono delinquenti e che tutti dovrebero essere tratati alla stessa maniera.L'Italia è un paese civile con una grande storia e con un massimo apporto per l'umanità (rinascimento, scritori, pittori, scienziati e tanti altri). Non cambiate il vostro modo di essere, sono pochi quelli che sono la vergogna dalla Romania, è la stampa che li fa diventare di più. Avete l'altruismo e la bontà cristiana che ho trovato io 11 anni fa. Non vi preocupate, noi che vi rispettiamo siamo con voi. Non possiamo tacere vedendo come vanno le cose in Italia.Il mio appello non è per la classe politica di entrambi paesi, è per l'uomo comune. A lui mi appello con molta sincerità e gli chiedo scusa per gli stupri e tutto il resto fatti da alcuni che non si meritano il nome di romeni. Tutti quelli che delinquono non sono la Romania. Quello che fanno in Italia lo facevano pure qui. Non si diventa in pochi giorni stupratore, rapinatore, prosseneta oppure ubriacone. Non si può.I have a dream: voglio rivedere Roma come l'ho lasciata quando sono andato via. Non lo fate per me, fatelo per lei. E' l'unica cosa che chiedo, non voglio un posto di lavoro, andare in tv, fare grande fratello. Solo questo. Grazie Marius(28 marzo 2009)

giovedì 12 marzo 2009

Noi non segnalamo day

17 marzo 2009:
“NOI NON SEGNALIAMO DAY”

La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) attraverso i Gruppi Immigrazione e Salute (GrIS), in collaborazione con Medici Senza Frontiere, Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (ASGI), Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG), organizza una giornata di protesta e mobilitazione contro il disegno di legge sulla sicurezza in discussione alla Camera dei Deputati che prevede la cancellazione del divieto di segnalazione per gli immigrati senza permesso di soggiorno che si rivolgono alle strutture sanitarie per curarsi.
Con i contenuti dell'appello già presentato in occasione della discussione dell'emendamento in Senato "Divieto di segnalazione: siamo operatori della salute, non siamo spie", si vuole spiegare ancora una volta l'assoluta insensatezza di tale provvedimento in termini di sanità pubblica, di economia sanitaria, di sicurezza e di valori etici e deontologici.


IL GIORNO 17 MARZO 2009,
PARTECIPATE

DALLE 9.00 ALLE 11.00
AL PRESIDIO DI OPERATORI DELLA SALUTE
IN PIAZZA SAN MARCO (ANGOLO PIAZZA VENEZIA)

E ALLE ORE 12.00
ALLA CONFERENZA STAMPA, PRESSO L’OSPEDALE SAN CAMILLO, ORGANIZZATA DA

Ø REGIONE LAZIO
Ø SIMM – GrIS LAZIO
Ø AZIENDA OSPEDALIERA SAN CAMILLO FORLANINI

CON L’ADESIONE DI MSF, OISG, ASGI, INMP, AMSI, ORDINE DEGLI PSICOLOGI DEL LAZIO

ALTRI ORDINI E COLLEGI PROFESSIONALI STANNO ADERENDO
Salvatore Geraci Presidente SIMM
Filippo Gnolfo Portavoce GrIS Lazio


Partecipate e diffondete l’invito

sabato 7 marzo 2009

meditate

Aggressioni razziste sul bus

Ostia, Roma, linea 05/ treno 5 vettura 6024 diretto a Via Ebridi proveniente da Via Mar Rosso alla prima fermata dopo che Via dei Velieri incrocia Viale Vasco de Gama sono costretto ad arrestare la corsa del mezzo, aprire le porte e per la seconda volta in meno di 12 mesi a frappormi tra una donna italiana e una ragazza straniera (stavolta era dell'est europeo anziché nera) per evitare che si arrivi alle mani e finisca per pagarne il conto un bambino.La vettura era piuttosto piena, la giornata bella e tutto procedeva tranquillamente quando una signora italiana di piccola statura con i capelli biondi ha iniziato a inveire contro una giovane ragazza per il passeggino con il bambino dentro che a suo dire le intralciava il passaggio, ne è nato un alterco tra le due donne con i toni usati dalla signora italiana che in un crescendo rossiniano divenivano sempre meno inerenti al passeggino e sempre più a sfondo razziale.La giovane mamma ha avuto inizialmente un reazione di indifferenza e silenzio per poi cercare di rispondere educatamente quando alla fine, ripetutamente insultata (si è partiti da "siete tutti assassini" fino a "rimonta sur gommone") in preda alle lacrime si è lanciata addosso alla sua controparte, inevitabile l'arresto della vettura, l'apertura delle porte e il dover intervenire frapponendomi tra le due contendenti, per fortuna questa volta non ho riscontrato la totale indifferenza della volta precedente e un ragazzo è corso in mio aiuto per sedare la lite ma purtroppo la tensione si è diffusa e alla fine l'intera vettura si è divisa tra chi esigeva da me che facessi scendere la giovane ragazza e il suo passeggino e chi altresì incitava invece a far scendere la signora italiana.Una situazione assurda in cui ho dovuto urlare a squarciagola per sedare gli animi e affermare in tono imperativo che non avevo la facoltà di far scendere nessuno e che non potevo assolutamente toccare nessuno; in tutto questo tra le sostenitrici (perché la cosa triste è che a quell'ora verso le 11.39 i passeggeri sono per lo più anziane e donne) della defenestrazione della ragazza e del passeggino spuntava una signora bionda che mi accusava di essere la causa del problema anzi di averne in toto la colpa e la responsabilità perché avrei dovuto sin dall'inizio impedire alla ragazza e al suo passeggino di salire a bordo del mezzo!A mio vantaggio per sedare gli animi e contenere la situazione ha giocato il tipo di vettura (Mercedes Citaro) caratterizzato da pochi posti in piedi, corridoio di camminamento strettissimo (permette il passaggio di una sola persona), due solo porte (di cui una singola posta sulla parte anteriore) con il quale ho cerchiobottistamente convinto le parti in causa che sebbene la norma preveda che i passeggini siano chiusi e i bambini presi in braccio era pur vero e incontrovertibile che il modello di bus era privo di spazi nei quali seppure chiuso fosse possibile tenere il passeggino (il corridoio ne risulterebbe comunque ostruito e lo spazio tra sedili è insufficiente, sfido chiunque con un passeggino e un metro a sostenere il contrario e dimostrarlo) , alla fine ho convinto la signora italiana ad accomodarsi vicino a me al posto guida (scoperto) e l'ho portata a distanza di sicurezza dalla ragazza dell'est.Ciò che mi ha molto colpito è la vicinanza di due casi simili in uno spazio di tempo non molto ampio con un iter identico e un casus belli futile, indubbiamente le caratteristiche tecniche della vettura hanno influito ma la volta precedente si trattava ma questo non spiega il sentirsi coinvolto con il dovere di schierarsi di tutti gli altri passeggeri, si è calpestato tutto dalla sacralità della maternità (e a farlo erano delle donne!!!) all'innocenza di un bambino fino alla dignità umana!La cosa sconvolgente è che erano presenti tra le passeggere donne anziane che hanno visto la guerra, le deportazioni, il fascismo e che pure inveivano genericamente contro la ragazza pretendendo che la buttassi fuori e la lasciassi a piedi per il passeggino ma sottolineando che se lo teneva aperto era per la sua provenienza geografica come se questa determinasse aprioristicamente il suo comportamento!Se anche chi rappresenta la memoria vivente del passato ha dimenticato quanto orribile sia discriminare una persona, un essere umano per via del suo luogo di nascita mi chiedo se non si sia passato il confine che ci divide da una società non più degna di questo nome.La cosa bella (si fa per dire) è che tutte le donne munite di passeggino non lo chiudono mai! Di qualunque colore, razza o religione! E che solitamente invitarle a farlo scateni una reazioni che vede l'autista letteralmente ricoperto di insulti da tutti i passeggeri che immantinentemente solidarizzano con la mamma in barba alle regole! L'altra cosa che evidenzia quanto sia soggetto a variazioni notevoli il comportamento umano è che se invece di una giovane ragazza sola ci fossero stati 4 o 5 bulletti (made in italy o d'importazione non conta) con i piedi sui sedili e la musica a tutto volume nessuno avrebbe fiatato!Ci sono cose che non capirò mai.
Da IL Messaggero on line

lunedì 23 febbraio 2009

Gli immigrati insegnano l’inglese agli italiani

Lunedì 23 Febbraio 2009




di CLAUDIA PAOLETTI
www.ilmessaggero.it

Gli immigrati insegnano l’inglese agli italiani. S’invertono a Cisterna le offerte per favorire l’integrazione sociale. L’associazione di volontariato “Welcome” di Cisterna, fondata nel 2000 da alcuni immigrati di diverse nazionalità e professioni, ha aperto le iscrizioni ad un corso di lingua inglese gratuito rivolto a giovani e meno che cercano una maggiore integrazione con le comunità immigrate, per navigare meglio su internet e sentirsi un po’ più cittadini d’Europa e del mondo. Il corso, organizzato con il patrocinio e contributo del Comune di Cisterna, è rivolto naturalmente anche agli immigrati da poco in Italia, per migliorare le condizione di vita e l'inserimento sociale nel paese ospitante. Le lezioni inizieranno il 27 febbraio e si svolgeranno nella sede dell’associazione Welcome in via Damiano Chiesa, dalle ore 17 alle 19 fino a giugno.
«Cisterna è un territorio di forte immigrazione ma anche di grande accoglienza e apertura nei confronti delle culture diverse – dice il delegato all’associazionismo, Antonio Lucarelli - mentre i più giovani, attraverso la scuola, hanno ormai acquisito gli strumenti per comunicare con esponenti delle diverse etnie che si sono insediati presso di noi, forte è stata la richiesta di nostri cittadini adulti o magari di età piuttosto avanzata, che hanno manifestato questa esigenza. Per lo più si avverte il bisogno di conoscere delle nozioni di lingua inglese che permettano di comunicare su esigenze di vita quotidiana e concreta; ad esempio poter dialogare con il vicino di casa proveniente da un paese straniero, oppure una maggiore autonomia nell’uso consapevole di internet». Per informazioni chiamare il 335.5907383 oppure scrivere a associazione.welcome@gmail.com
FONTE





domenica 5 ottobre 2008

Bonsu ricoverato in ospedale

Bonsu ricoverato in ospedale
Una donna: "Ho visto tutto"

Sarà operato nel reparto di chirurgia maxillo-facciale. E spunta una testimone: "Pugni e calci nei fianchi"
Emmanuel Bonsu è stato ricoverato in ospedale, dove subirà un piccolo intervento nel reparto di chirurgia maxillo-facciale. Lo comunica l'avvocato Giandomenico Piparo, legale insieme ad Azzini della famiglia del 22enne ghanese che ha denunciato di essere stato aggredito e insultato dai vigili. Negli ultimi giorni la ferita all'occhio del ragazzo è peggiorata, causandogli un forte dolore nella parte sinistra del volto e problemi di equilibrio.

"Lo hanno picchiato"
Ci sarebbe una testimone oculare di almeno una parte di ciò che è accaduto a Parma alcuni giorni fa, il 29 settembre, quando Emmanuel ha accusato i vigili urbani di averlo insultato e picchiato. Il racconto della donna sarà proposto domani nel corso della trasmissione di Raitre ''Chi l'ha visto?'' condotta da Federica Sciarelli, in onda alle 21. ''Ho sentito urlare. C'era quel ragazzo per terra, con quattro uomini e una donna che lo tenevano per non farlo muovere. Uno di quel gruppo - è il racconto della donna - gli ha dato un calcio nel fianco, e lui ha urlato''. ''La scena era molto forte, e io ero scossa. Ho visto poi che lo portavano via, e uno degli uomini saliva sulla sua bicicletta. Il ragazzo ha urlato: "Perchè mi portate via la bicicletta?". E uno del gruppo gli ha dato un altro pugno nel fianco e gli ha detto: "Stai zitto''

Le comunità scrivono al sindaco
Intanto, nel giorno della manifestazione anti-razzista che sabato pomeriggio è partita da piazza Garibaldi fino ad arrivare al parco ex Eridania per esprimere solidarietà a Emmanuel, le comunità parmigiane di Senegal, Costa d'Avorio, Nigeria, Burkina Faso, Camerun ed Eritrea, in apertura dell'Ottobre africano hanno firmato una lettera aperta al sindaco Pietro Vignali.

"Oggi doveva essere una festa - scrivono - ma possiamo veramente festeggiare quando, come dice il padre di Emmanuel, 'Abbiamo paura'? Gli eventi degli ultimi giorni ci pongono delle domande e noi cerchiamo delle risposte. Cosa è cambiato? Cosa direma la sera quando tornando a casa vedremo i nostri figli che ci guardano con il sorriso chiedendoci. 'Papà, come stai'?". E poi. "Adesso abbiamo tutti paura. abbiamo messo sulle braccia la fascia nera e bianca per dire che siamo con tutti quelli che hano paura, bianchi o neri che siano. La nostra città, città di cultura, lo è non solo per il Festival della poesia, per il Festival Verdi, ma crediamo anche per il Festival Ottobre africano. Forse è arrivato il momento di parlare di sicurezza, immigrazione, cultura".
(05 ottobre 2008)


sabato 4 ottobre 2008

CORTEO ANTIRAZZISMO A ROMA

RAZZISMO: CORTEO A ROMA "BASTA RAZZISMO"

ROMA - Sfila a Roma il corteo antirazzista, organizzato dopo gli ultimi episodi di violenza ai danni di immigrati in alcune città italiane. "Da oggi nasce una profonda reazione al razzismo, che in questi mesi è stato provocato anche dal Governo e dal suo pacchetto sicurezza". Lo dice Renato Scarola di Socialismo rivoluzionario, una delle sigle che hanno organizzato il corteo anti-razzista di Roma. "Le decisioni del Governo - prosegue - hanno inasprito la rabbia che cova e lo dimostrano gli episodi di Milano e Roma, anche nelle classi popolari. Oggi dobbiamo renderci conto che il razzismo non può essere sconfitto da questi politici, ma è un sentimento che deve nascere in ogni singolo cittadino: convivenza e accoglienza devono essere i punti di partenza di tutti".Gli immigrati che giungono da Castel Volturno sono circa un centinaio: aprono il corteo tenendo in mano le foto dei ragazzi trucidati dal clan dei Casalesi. "Per noi oggi è un evento importante - dice Christopher - Quanto fatto dalla camorra è prima di tutto un massacro a sfondo razzista. Tra noi c'é chi sbaglia, ma in maggioranza siamo persone perbene, che lavorano e che cercano di mandare in Africa un po' di soldi a chi sta peggio". Circa 300 persone appartenenti alla comunità cinese di Roma sta partecipando al corteo contro il razzismo nella capitale. "La nostra presenza qui è motivata non solo da quanto accaduto a Tor Bella Monaca ma perché oggi in Italia è necessario ribadire il no a tutti i tipi di razzismo - afferma Jixin, uno dei portavoce della comunità - Saremmo stati qui lo stesso ma quello che è successo a Tor Bella Monaca deve rappresentare un campanello d'allarme per tutti. I rappresentanti della comunità cinese marciano con uno striscione che recita "contro qualsiasi discriminazione". "Noi siamo per l'integrazione - conclude Jixin che vive in Italia da circa 9 anni -. Fino ad oggi gli episodi di intolleranza verso di noi sono stati pochi ma ci auguriamo che non stia cambiando il vento". AMICO ABBA, CI GIUDICATE SOLO PER IL COLORE - In testa al corteo c'é anche Max, amico di Abba ucciso a Milano. "A voi che pensate di essere migliori di noi, a voi che ci chiamate clandestini - ha detto Max - a voi ignoranti, ci siamo stancati di voi, perché ci giudicate solo per il colore della pelle". E' scesa in piazza per dire "basta al razzismo" anche la soubrette tv Sylvie Lubamba: "Mi sento parte in causa perché anche se sono nata in Italia sono di origine africana. Sono con loro, non potevo non essere qui". Partecipano al corteo, sotto una pioggia battente, non solo immigrati ma anche semplici cittadini. Molti anche i bambini accompagnati dai genitori. Tra di loro una bimba che tra le braccia stringe un bambolotto di colore.

mercoledì 1 ottobre 2008

French Muslims Find Haven in Catholic Schools

French Muslims Find Haven in Catholic Schools

Franco Zecchin for the International Herald Tribune

Nadia Oualane, right, and Amina Zaidi may wear head scarves at St. Mauront, a Roman Catholic school in Marseille. The scarves are forbidden in state schools.

Published: September 29, 2008
MARSEILLE, France — The bright cafeteria of St. Mauront Catholic School is conspicuously quiet: It is Ramadan, and 80 percent of the students are Muslim. When the lunch bell rings, girls and boys stream out past the crucifixes and the large wooden cross in the corridor, heading for Muslim midday prayer.
Franco Zecchin for The International Herald Tribune

Amina at the blackboard. In a French magazine's recent ranking of high schools, 15 of the top 20 were Catholic schools.

"There is respect for our religion here," said Nadia Oualane, 14, a student of Algerian descent who wears her hair hidden under a black head scarf. "In the public school," she added, gesturing at nearby buildings, "I would not be allowed to wear a veil."
In France, which has only four Muslim schools, some of the country's 8,847 Roman Catholic schools have become refuges for Muslims seeking what an overburdened, secularist public sector often lacks: spirituality, an environment in which good manners count alongside mathematics, and higher academic standards.
No national statistics are kept, but Muslim and Catholic educators estimate that Muslim students now make up more than 10 percent of the two million students in Catholic schools. In ethnically mixed neighborhoods in Marseille and the industrial north, the proportion can be more than half.
The quiet migration of Muslims to private Catholic schools highlights how hard it has become for state schools, long France's tool for integration, to keep their promise of equal opportunity.
Traditionally, the republican school, born of the French Revolution, was the breeding ground for citizens. The shift from these schools is another indication of the challenge facing the strict form of secularism known as "laïcité."
Following centuries of religious wars and a long period of conflict between the nascent Republic and an assertive clergy, a 1905 law granted religious freedom in predominantly Roman Catholic France and withdrew financial support and formal recognition from all faiths. Religious education and symbols were banned from public schools.
France is now home to around five million Muslims, Western Europe's largest such community, and new fault lines have emerged. In 2004, a ban on the head scarf in state schools prompted outcry and debate about loosening the interpretation of the 1905 law.
"Laïcité has become the state's religion, and the republican school is its temple," said Imam Soheib Bencheikh, a former grand mufti in Marseille and founder of its Higher Institute of Islamic Studies. Imam Bencheikh's oldest daughter attends Catholic school.
"It's ironic," he said, "but today the Catholic Church is more tolerant of — and knowledgeable about — Islam than the French state."
For some, economics argue for Catholic schools, which tend to be smaller than public ones and much less expensive than private schools in other countries. In return for the schools' teaching the national curriculum and being open to students of all faiths, the government pays teachers' salaries and a per-student subsidy. Annual costs for parents average 1,400 euros (less than $2,050) for junior high school and 1,800 euros (about $2,630) for high school, according to the Roman Catholic educational authority.
In France's highly centralized education system, the national curriculum proscribes religious instruction beyond general examination of religious tenets and faiths as it occurs in history lessons. Religious instruction, like Catholic catechism, is voluntary.
And Catholic schools take steps to accommodate different faiths. One school in Dijon allows Muslim students to use the chapel for Ramadan prayers.
Catholic schools are also free to allow girls to wear head scarves. Many honor the state ban, but several, like St. Mauront, tolerate a discreet covering.
The school, tucked under an overpass in the city's northern housing projects, embodies tectonic shifts in French society over the past century.
Founded in 1905 in a former soap factory, the school initially served mainly Catholic students whose parents were French, said the headmaster, Jean Chamoux. Before World War II, Italian and some Portuguese immigrants arrived; since the 1960s, Africans from former French colonies. Today there is barely a white face among the 117 students.

martedì 30 settembre 2008

Ancora razzismo o, forse, non era razzismo?

Uno studente ghanese ha presentato denuncia: scambiato per un pusher, sarebbe stato picchiato e offeso dai vigili urbani
La storia del "negro" Emmanuela Parma è di nuovo scandalo
La Procura apre un'inchiesta, il comandante difende i suoi: "Si è ferito da solo, una caduta fortuita"dalla nostra REDAZIONE

OAS_RICH('Left');
Emmanuel Bonsu
PARMA - Il volto tumefatto dello studente ghanese e la sua denuncia ("sono stato insultato e picchiato dai vigili") incendiano il dibattito politico nella città della sicurezza. Un ritorno di fiamma che investe le istituzioni di Parma a poche settimane dalla foto di una prostituta accasciata a terra sul pavimento di una cella della polizia municipale. La procura ha aperto un'inchiesta affidata al sostituto procuratore Roberta Licci. Chiede ai carabinieri che hanno raccolto la denuncia del giovane di non diffondere informazioni. Hanno disposto una visita medica per il ragazzo. Nel frattempo, anche il Comune cerca di far luce sull'episodio. L'assessore alla sicurezza Costantino Monteverdi ha convocato una riunione con i dirigenti della polizia municipale. Del caso si sta interessando anche l'Ufficio antidiscriminazioni del ministero delle Pari opportunità. La Cgil parla di "episodio sconcertante e di una gravità inaudita". Il caso diventa nazionale con interrogazioni e prese di posizione dell'intera opposizione, dalla Sereni a Ferrero. IL VIDEO-TESTIMONIANZA - IMMAGINI - Emmanuel Bonsu si è presentato ai carabinieri insieme alla sua famiglia, con in mano una denuncia per resistenza a pubblico ufficiale e un verbale del pronto soccorso. Spaventato più che arrabbiato, ha mostrato una busta del Comune di Parma con la scritta "Emmanuel negro" (LA FOTO). Dice che gliel'hanno data i vigili quando, dopo cinque ore passate nella cella del comando, lo hanno rilasciato. Il comandante della polizia municipale Emma Monguidi ipotizza che sia stato lui stesso a fare quella scritta e spiega che l'occhio nero è il frutto di una caduta a terra, rovinosa e fortuita: voleva sottrarsi ai controlli.
Cercavano uno spacciatore, ma in manette c'è finito uno studente che, ironia della sorte, sta per iniziare a lavorare come volontario in una comunità di recupero per tossicodipendenti. In attesa dell'esito degli accertamenti, è la politica a occupare la scena. Da giorni s'interroga sulle sette ordinanze anti-degrado firmate dal sindaco Pietro Vignali sulla scia del decreto Maroni. Ordinanze che colpiscono prostitute, clienti, accattoni, gente che schiamazza e che butta i mozziconi di sigaretta per terra. La scorsa settimana è stato annunciato l'arrivo di un elicottero, unità cinofile, diciotto nuovi agenti e manganelli per i vigili urbani. Ma ci si interroga sull'opportunità di affidare a questi ultimi compiti di polizia, per i quali non sono adeguatamente preparati.
(30 settembre 2008)

Da "Repubblica on line"

domenica 21 settembre 2008

Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

Spedizioni punitive e raid

Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

La fuga di Teddy, il nigeriano che vuole salvare le prostitute

Un mazzo di fiori sulla scena del crimine  (Controluce)
Un mazzo di fiori sulla scena del crimine (Controluce)
CASTELVOLTURNO (Caserta)- Teddy è andato via perché adesso sa cosa significa essere una boccetta. «Vogliono la tua sottomissione, gli interessa solo questo. Abbiamo provato a renderci utili. Ma a loro non interessa. Siamo schiavi, e tali dobbiamo rimanere». In un'intercettazione di 12 anni fa, uno dei tanti macellai dei Casalesi saluta il suo compare. Lo saluta dicendo che in serata magari se ne va a Castelvolturno «per giocare a boccette con i negri». Poche ore dopo, da una macchina in corsa parte una raffica di mitra contro tre extracomunitari che aspettavano l'autobus sulla Domiziana. «Siamo i loro giocattoli, ma fanno così perché sanno che agli altri italiani in fondo non dispiace ».

Il 19 agosto di quest'anno il nigeriano Teddy Egonwman e sua moglie Alice sono diventati birilli a casa loro. All'ora di cena un gruppo di quattro uomini si mise a sparare sulle finestre del container dove vivevano, ne sfondò la porta e continuò a fare fuoco anche dentro. Un'ottantina di colpi. Due giorni dopo, Teddy e la sua famiglia erano su una macchina diretta a Torino. Così finiscono le illusioni, da queste parti. I coniugi Egonwman si erano messi in testa di fare qualcosa. In modo confuso, arruffato, pasticcione. Ma ci avevano provato. Erano arrivati in Italia da clandestini, come tutti. Teddy trovò lavoro e permesso di soggiorno in un'azienda edile, Alice si buttò nell'import- export di oggetti africani. Lui fondò un'associazione per raccogliere tutti gli immigrati provenienti da Benin City. L'anno scorso aveva deciso di redimere le sue connazionali che lavorano in strada. Faceva addirittura le ronde, non risparmiava qualche schiaffone, alle ragazze a ai loro galoppini. «Non avevano capito che nulla deve e può cambiare. I "miei" e i "tuoi" non vogliono seccature».

A Castelvolturno Teddy era un personaggio così isolato da risultare addirittura patetico nei suoi sforzi. La spedizione punitiva fu bipartisan, nigeriani e casalesi d'accordo nel dare una lezione a un pesce piccolo che veniva considerato un traditore del suo popolo e metteva in crisi il patto tra mafiosi africani e Casalesi. «Volevo dare il mio contributo per liberare la Domiziana dalla prostituzione. Mi hanno urlato che ero un venduto alla Polizia. Mi hanno sparato. Nessun italiano mi ha dato solidarietà, perché un negro che cerca di darsi da fare deve avere per forza qualcosa di storto, no? Tanti saluti, allora». Quelli che restano però rischiano davvero di diventare boccette a disposizione di giocatori anfetaminici e fuori controllo, schiacciati da due poteri simili e alleati nel tenere oppressi i pochi che si muovono sulla linea di confine. «Le uniche vere comunità che ancora esistono sul territorio sono quelle criminali», ragiona un investigatore e le sue parole sono simili a quelle di padre Giorgio Poletto, il prete comboniano che da anni cerca di togliere le ragazze nigeriane dalla strada. «Non è mai stato così difficile. Abbiamo davanti un mare di persone anonime, con rappresentanti che sanno di non rappresentare nulla. La frammentazione li rende più deboli. Sono soltanto individui, alla mercé di un sistema criminale perfetto nella gestione del territorio. In una parola: schiavi».

La strage di Varcaturo rappresenta il disprezzo per i più deboli, quelli che si trovano in mezzo. Il simbolo di questa violenza «terrorista e razzista», come la definisce il magistrato Franco Roberti. La Spoon river delle vittime racconta di gente molto diversa dal prototipo dello spacciatore. Francis era felice perché due settimane fa aveva avuto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, dopo sei anni in Italia. Faceva il muratore e frequentava le associazioni di Caserta che si battono per i diritti degli immigrati. Elaj il sarto partecipava alle assemblee settimanali sui diritti degli immigrati, anche lui frequentava i centri sociali impegnati. Akej il barbiere è morto con 700 euro nei calzini. Stava andando a spedirli alla famiglia da quella sorta di Western Union non autorizzata che sorge accanto al locale della strage. Lavorava a Napoli, in un locale del centro. Nei locali devastati dai proiettili e nelle loro case delle sei vittime non è stata trovata droga. Puliti.

Marco Imarisio
21 settembre 2008

venerdì 19 settembre 2008

NON ERANO CRIMINALI

Amici degli immigrati uccisi: non erano criminali
CASERTA (19 settembre) - Davanti al negozio 'Ob Ob exotic Fashions' c'è lo zio di una delle vittime. Steven, ghanese, fa il giardiniere e dice che suo nipote Giulios, 32 anni, una delle vittime «era un bravo ragazzo. Non ha mai fatto nulla di male, non è un criminale». Steven mostra le sue mani per dimostrare che «noi qui ci ammazziamo di fatica, non siamo certo dei camorristi». Ripete la stessa storia anche Cristopher, liberiano di 28 anni. Lui conosceva Alaji, 28 anni, un'altra delle vittime. «Lavorava nel negozio di sartoria, era alla macchina da cucire quando è stato ammazzato - racconta Cristopher - la camorra? Forse cercava qualcun altro ma di certo nessuno dei nostri amici». Un altro extracomunitario, che parla solo la sua lingua, racconta che poco prima della strage due persone a bordo di due motorini avevano più volte fatto la spola davanti alla sartoria. Ma ad un certo punto le versioni degli africani sembrano contraddirsi. Uno di loro, infatti, sostiene che poco distante dalla strage c'era un Suv di colore nero in attesa, con all'interno alcune persone che poi si sono spostate davanti alla sartoria e hanno fatto la strage. Tra la folla di extracomunitari c'è anche Obodu, liberiano. L'uomo mostra le ferite: è una delle vittime del 18 agosto scorso quando nel centro di Castel Volturno i sicari ferirono a colpi di pistola e fucile 5 extracomunitari, ma senza provocare morti.

Rivolta a Castevolturno

Proteste dopo l'uccisione di sei extracomunitari: sparati 130 proiettili
Castelvolturno, rivolta degli immigrati dopo la strage di camorra
Vetrine rotte e auto in mezzo alla strada: «Non siamo trafficanti di droga, questo è razzismo»
Il luogo della strage (Epa)CASTELVOLTURNO (Caserta) - Circa 130 proiettili esplosi da sei-sette sicari, a bordo di almeno un'auto e una moto. È questo lo scenario che gli investigatori hanno finora ricostruito dell'agguato in cui sono stati uccisi giovedì sera sei immigrati africani a Castelvolturno. Un volume di fuoco impressionante (a sparare sono stati un kalashnikov, una pistola calibro 9x21 e una 9x19), simile a quello impiegato nell'agguato di Baia Verde, sempre a Castelvolturno, vittima il gestore di una sala giochi, Antonio Celiento: in questo caso una sessantina i colpi esplosi. La quantità di proiettili usata in entrambi gli agguati è uno dei diversi elementi che fanno pensare a un solo gruppo di fuoco in azione: per averne la certezza occorrerà però attendere la perizia balistica. Gli inquirenti ritengono che, all'origine della strage degli immigrati, ci fosse una «spedizione punitiva» contro la sartoria, probabilmente un centro del traffico di stupefacenti. Per il momento non emergono piste diverse da quella del regolamento di conti.
-->-->
LA RIVOLTA - Nel frattempo, sale la rabbia a Castelvolturno: alcuni immigrati, bastoni in mano, hanno frantumato le vetrine di alcuni negozi e rivoltato auto in mezzo alla strada, distruggendo i vetri di altre vetture ferme. Il tutto davanti al luogo dove sono stati uccisi i sei stranieri. «Vogliamo giustizia - urlavano - non è vero che i nostri amici ammazzati spacciavano droga o erano camorristi. Sono state dette tutte cose false». Gli extracomunitari, soprattutto africani, puntano il dito contro chi li accusa di spacciare droga. «Noi siamo persone perbene, non è giusto che ogni volta che si parla di droga - dicono - siamo noi i colpevoli e questo solo perché è nero il colore della nostra pelle. Questo è razzismo». A un certo punto gli immigrati hanno iniziato a lanciare massi e oggetti pesanti contro la camionetta della polizia. La protesta è proseguita nel pomeriggio: gli immigrati hanno sradicato segnali stradali gridando «italiani bastardi».IL SINDACO - Preoccupato il sindaco di Castelvolturno. «Sono incontrollabili, temo qualcosa di grave» ha affermato Francesco Nuzzo, parlando al telefono, secondo quanto da lui stesso riferito, con il questore di Caserta, Carmelo Casabona. Il sindaco ha cercato di trattare con un gruppo di immigrati per fermare gli atti di vandalismo. A cercare di calmare gli animi sono anche alcuni stranieri che ai loro connazionali continuano a urlare: «Basta Basta».
La rabbia degli immigrati (Ap)LE INDAGINI - Nel frattempo l'attenzione degli investigatori si concentra sulle 'nuove leve' del clan dei Casalesi, cinque-sei personaggi fautori di quella strategia stragista che sembra aver prevalso nel clan rispetto a quella dell'inabissamento scelta dai 'capi storici' dopo i colpi subiti. Si tratta delle stesse persone, tutte latitanti, ritenute responsabili di buona parte degli attentati avvenuti negli ultimi mesi: Francesco e Alessandro Cirillo, quest'ultimo detto 'O Sergente', Oreste Spagnuolo, Giovanni Letizia (detto 'O zuoppo'), Giuseppe Setola, Emilio Di Caterino. Gli investigatori riterrebbero che è tra loro che bisogna cercare chi ha sparato centinaia di colpi lungo la via Domiziana. Come è tra loro che va cercato il killer di Umberto Bidognetti, ucciso il 2 maggio scorso, colpevole solo di essere il padre del pentito Domenico. E sempre i sei latitanti sarebbero i responsabili dell'assassinio dell'imprenditore Domenico Noviello, colpito il 16 maggio con 22 colpi di pistola a Castelvolturno dopo aver denunciato i clan, e dell'uccisione di Michele Orsi, freddato il 1 giugno. Il gruppo che fa capo ad Alessandro Cirillo e Giuseppe Setola sarebbe anche responsabile del ferimento avvenuto il 30 maggio a Villaricca di Francesca Carrino, nipote di quella Anna Carrino compagna del boss Francesco Bidognetti, detto Cicciotto 'e Mezzanotte, che ha lanciato appelli contro la camorra e che con le sue rivelazioni ha consentito l'arresto di diversi esponenti della cosca. Il ragionamento che viene fatto da investigatori e inquirenti è che, presi questi latitanti, la scia di sangue potrebbe interrompersi. Ma non solo. Un ulteriore colpo, assestato questa volta ai leader emergenti e non ai capi storici, potrebbe rimescolare di nuovo le carte all'interno dell'organizzazione dei Casalesi.
19 settembre 2008

mercoledì 17 settembre 2008

TOLERANCE :SEX/GENDER ,RACE, RELIGION








SEX/GENDER ,RACE, RELIGION




EXTRA.COM

EXTRA OSPITI

FeedBurner FeedCount

Live Traffic Feed

NeoEarth