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mercoledì 14 dicembre 2011

Aly Baba Faye: “Killer armato dal razzismo quotidiano”

Aly Baba Faye: “Killer armato dal razzismo quotidiano”


Il sociologo di origine senegalese: "La strage di Firenze è la punta di un iceberg, il problema non è solo il gesto di un folle. Gli immigrati in Italia sono diventati capri espiatorio, mostri da colpire. Si rischia una protesta violenta, le istituzioni stiano vicine alla comunità"

Roma  - 13 dicembre 2011 - "Lo sfondo razzista di quello che è successo è evidente. L’assassino si è andato a scegliere le sue vittime al mercato, sapendo di trovarle al lavoro. Ha aperto il fuoco contro un bersaglio semplicissimo, gli ambulanti con la pelle nera".
Aly Baba Faye, sociologo e leader storico della comunità senegalese, si dice "sconvolto" per la strage di Firenze, ma analizza con lucidità il contesto in cui è maturata: "Negli ultimi anni in Italia si è seminato molto razzismo, la diversità è diventata un male, l’immigrato la vittima da sacrificare. C’è stato un crescendo che ha legittimato il razzismo, con la politica che insisteva sulla sicurezza e sulle espulsioni, trasformando gli immigrati in una minaccia".
Vede un filo conduttore tra i casi di Torino e Firenze? 
"Certo. La sedicenne che sente sempre parlare male degli zingari, quando si deve inventare uno stupro dà la colpa ai rom e altri vanno a bruciare il loro accampamento. Un folle di estrema destra che spara sugli immigrati è la mano armata di un pensiero seminato da anni. Siamo davanti alla punta di un iceberg,  il problema non è solo la punta, ma tutto l’iceberg".
La crisi economica aggrava questa situazione? 
"La crisi economica è terribile e si rischia di scivolare in un clima pesantissimo. La gente non ne può più, è preoccupata e trova negli immigrati un comodo capro espiatorio. Diventi colpevole per il solo fatto di essere rom, extracomunitario, nero. È un continuo fiorire di insulti e ci vuole poco per passare dalla violenza verbale a quella fisica. Sempre più spesso si premette la frase “io non sono razzista, ma ” a discorsi davvero  atroci contro gli immigrati".
E gli immigrati denunciano?
"Macchè, ormai sono quasi assuefatti a questo clima diffuso. È una sconfitta per chi lavora da anni nell’antirazzismo. Qualche giorno fa ero su un autobus a Brescia e un gruppo di ragazzini ha snocciolato davanti a me una ricca serie di luoghi comuni contro musulmani e neri. Lo hanno fatto sfoggiando un arsenale di linguaggio che dimostra quanto le nuove generazioni abbiano assorbito il profilo del ‘mostro’ che ci è stato cucito addosso".
Come crede che reagirà la comunità senegalese a quello che è successo oggi?
"Oggi ho sentito molti ragazzi di Firenze e c’era tantissima rabbia. Non si può pensare che  gli immigrati subiscano sempre in silenzio, pensiamo a quello che è successo a Rosarno. Servono messaggi distensivi, perché non si scivoli in una protesta violenta. Le istituzioni dovrebbero stare particolarmente vicine alla comunità in questo momento".

sabato 19 settembre 2009

Strage di Castel Volturno, l'inchiesta Il boss: "Uccidete anche le donne"

E in una lettera Setola intimò ai magistrati: "Scarcerate mia moglie"

Giuseppe SetolaIl terrore mafioso aveva quell´unico movente, «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire». E un chiaro piano esecutivo. «L´ordine di Giuseppe Setola era: "Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne"», ha raccontato l´assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l´altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più. Dovevamo fingerci carabinieri, indossare le pettorine, fare una perquisizione in quel locale, attendere che si calmassero le acque e poi ucciderli tutti. La disposizione era che tutti quanti noi dovevamo sparare. E non doveva rimanere nessun testimone».Andò così. Per caso non c´erano anche le donne.


Un anno dopo, ecco le istruzioni complete degli stragisti di Castel Volturno. Legge dei casalesi, la mafia che non distingue gli africani. Un lavoratore vale quanto un bandito, muoiano uno sull´altro, mentre i sicari colpiscono alla cieca e abbattono un sarto, due clienti operai, due manovali, un loro amico che passava. L´obiettivo viene centrato oltre ogni delirio criminale, in quel 18 settembre 2008. Al chilometro 43 della Statale Domitiana, dentro e fuori la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion", cadono infatti sei uomini.


Tutti innocenti, si può confermare oggi sulla scorta degli approfondimenti giudiziari e a dispetto di quanti - persino ministri in carica - li bollarono come «spacciatori».Sono i sei cittadini ghanesi uccisi dalle sventagliate di kalashnikov, mitragliette e pistole, centrotrenta colpi. È un anno, domani. Un tempo che la giustizia non ha fatto passare invano: il mandante e cinque esecutori della clamorosa azione di sangue sono già alla sbarra, dopo la complessa istruttoria firmata dai pm Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il coordinamento del procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho. Oltre al boss Setola, i killer Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia, Davide Granato, Antonio Alluce. Tra due mesi comincia il processo. E dalle mille pagine dell´inchiesta emergono per la prima volta anche velate minacce contenute in alcune lettere del padrino Setola, messaggi inviati a pubblici ministeri e giudici.

lunedì 11 maggio 2009

Anche queste notizie vanno diffuse

Due anziani, un uomo e una donna, sono stati feriti in modo graveL'aggressore, 39 anni, sarebbe stato colto da un raptus improvviso
Folle irrompe alla stazione di Palermoe prende a martellate i passeggeri

PALERMO - Un folle è entrato questa mattina all'interno della stazione centrale di Palermo e, armato di un grosso martello, ha sferrato micidiali colpi ad alcuni passeggeri in attesa. La notizia è stata confermata dal questore di Palermo Alessandro Marangoni. Due anziani - Antonino Raccuglia, 68 anni, e Marianna Ruvolo, 67 - sono stati colpiti e versano in gravi condizioni all'ospedale Civico e al Policlinico unviersitario. L'aggressore, Fabio Conti Tozzo, 39 anni, è stato bloccato inizialmente da un cittadino extracomunitario, testimone della terribile scena, e, successivamente, da agenti della polizia ferroviaria. E' agli arresti con l'accusa di tentato omicidio e resistenza a pubblico ufficiale. Secondo una prima ricostruzione i due feriti si trovavano tra la biglietteria e un'area riservata ai passeggeri in attesa quando sono stati raggiunti dall'uomo armato di martello. Quanto al movente del gesto, gli inquirenti propendono per un improvviso raptus di follia.
Da repubbblica online

martedì 21 aprile 2009

ITALIANI E I COLTELLI

Coltelli in tasca e pronti alla rissa
presi giovani della "Roma bene"

Due minorenni sono stati denunciati dalla polizia a Roma perchè sorpresi con altri coetanei pronti a fronteggiarsi armati di coltelli in via del Corso.

Nel pomeriggio di sabato, in pieno orario di shopping, i Falchi della VI Sezione Contrasto al Crimine Diffuso, diretta dal Tommaso Niglio, hanno notato in via del Corso due gruppi di giovani in procinto di fronteggiarsi. Alla vista degli agenti, i ragazzi, tutti minorenni, si sono dispersi nelle strade del centro storico.

Al termine di un breve inseguimento i poliziotti hanno fermato tre appartenenti a uno dei due gruppi. Uno dei ragazzi è stato trovato in possesso di un coltello di 21 cm. Al termine degli accertamenti, due minorenni, uno di 16 e uno di 17 anni, entrambi incensurati e provenienti da famiglie di professionisti, sono stati denunciati in stato di liberta'
(20 aprile 2009)
FONTE

mercoledì 15 aprile 2009

Lampedusa/ "Picchiati dalla polizia". Le storie choc dei detenuti

Lampedusa/ "Picchiati dalla polizia". Le storie choc dei detenuti

Mercoledí 15.04.2009 11:34

LO SPECIALE

Lampedusa: la storia recente del Cie di contrada Imbriacola

Manganellati dalla polizia, "senza pietà”. Ferite alla testa, fratture alla mano e contusioni alle gambe. Per la prima volta, parlano i detenuti del Centro di identificazione e espulsione di Lampedusa. Denunciano gli abusi di alcuni agenti delle forze dell’ordine, le condizioni di sovraffollamento, ma anche la diffusa somministrazione di psicofarmaci e provvedimenti di respingimento differiti che non hanno tenuto conto delle settimane pregresse di detenzione scontate in condizioni del tutto arbitrarie. Nel Cie si trovano attualmente oltre 600 tunisini più un centinaio di marocchini. Molti sono detenuti da oltre tre mesi.

I PESTAGGI- “Ci hanno picchiato coi manganelli, ci hanno lanciato gas lacrimogeni. E noi eravamo senza niente. Eravamo in un angolo, e c’era gente che dormiva ancora. Una cosa mai vista”. Mo. ricorda così la mattina del 18 febbraio 2009. Quel giorno un incendio distrusse completamente uno dei padiglioni del Cie di Lampedusa. Il fuoco venne appiccato da alcuni detenuti tunisini, in risposta alle cariche della polizia - più di un centinaio di agenti in tenuta antisommossa - che avevano ferito diverse persone. F. ha assistito alla scena: “Li hanno trattati in un modo selvaggio. Senza pietà”.



GUARDA LA GALLERY

“C’erano poliziotti dappertutto - dice un altro testimone sotto anonimato, M. - tutti che picchiavano con i manganelli. Davanti a me, c’era uno che sanguinava e un poliziotto che l’ha manganellato sulla testa. Un altro aveva la mano rotta. E c’era uno che non riusciva a camminare sul piede”. Gli scontri sarebbero iniziati davanti alla mensa, dove quattro o cinque agenti avrebbero aggredito - secondo M., che era presente sul luogo – alcuni tunisini che li avevano attaccati verbalmente. Da lì la protesta si è allargata alle centinaia di persone presenti ed è esplosa con il lancio di almeno quattro gas lacrimogeni e le cariche. Ma anche nelle ore immediatamente successive. Y. ne parla come di qualcosa di noto: “Tutti sanno che quel giorno la polizia picchiò i tunisini, anche le organizzazioni che lavorano qui. La polizia era così arrabbiata. Alcuni li prendevano in due sotto braccio, e li portavano in bagno, uno alla volta. Poi chiudevano porte e finestre e li picchiavano”.

GLI PSICOFARMACI- La somministrazione di farmaci antidepressivi e calmanti nel Cie di Lampedusa sarebbe una pratica diffusa, secondo i detenuti intervistati. “La gente è troppo nervosa, prendono dei calmanti. Sono in molti. Li vedi perché hanno la bocca storta. Le medicine sono forti”, dice M. Altri invece lamentano la scarsità di medicinali. “Per qualsiasi malattia, ti danno sempre la stessa pasticca – dice Mo”. Y. invece è convinto che a volte vengano messi dei calmanti nel cibo della mensa. “Era un paio di mesi fa. Un paio d’ore dopo pranzo eravamo tutti così stanchi che volevamo dormire.. abbiamo pensato che ci fosse qualcosa nel cibo”.

Lampedusa/ "Picchiati dalla polizia". Le storie choc dei detenuti

Mercoledí 15.04.2009 11:34



SOVRAFFOLLAMENTO- . Il centro è ancora sovraffollato: ospita più di 700 persone in una struttura pensata per 381 posti e in parte distrutta dall’incendio. “Nella mia camera – dice F. – siamo 21 persone in 12 letti. La gente dorme sotto i letti, su dei materassini. Oppure in due sullo stesso letto. E alcuni dormono ancora nei corridori”. Niente rispetto a fine gennaio, quando il centro era arrivato a ospitare più di 1.900 persone. “All’epoca – dice Mo. - le condizioni erano terribili. Docce e toilette erano fuori uso. In una camerata eravamo oltre 100 persone. Dormivamo in due su ogni materasso e in due sotto il letto, per terra, i piedi davanti alla testa dell’altro”.

CONVALIDE- Il decreto che ha trasformato il centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola in un Cie è entrato in vigore il 26 gennaio. A partire da quello stesso giorno, la Questura di Agrigento ha iniziato a rilasciare i provvedimenti di respingimento ai 1.134 detenuti presenti. Nel giro di due settimane, Giudici di pace del Tribunale di Agrigento e avvocati d’ufficio hanno provveduto alla convalida di quei provvedimenti, e quindi al trattenimento per 60 giorni degli stranieri. Sessanta giorni che però non hanno tenuto conto del periodo di detenzione già scontato. L’udienza di convalida del trattenimento di Y. e Mo. si è tenuta il 30 gennaio 2009. I due erano detenuti nel Cie da tre settimane, dal loro arrivo il 9 gennaio. I 60 giorni di trattenimento però sono iniziati dal 31 gennaio. Così 21 giorni di detenzione arbitraria, senza la convalida di un giudice, diventano la norma alla frontiera d’Italia, alla frontiera del diritto.

ATTESA- Dopo le proteste che portarono all’incendio del 18 febbraio scorso e dopo un recente sciopero della fame, allo scadere dei due mesi di trattenimento, nel centro è iniziato il conto alla rovescia. Il 26 aprile scade infatti il decreto 11/2009 che aveva prolungato a sei mesi il termine della detenzione nei Cie, normalmente di 60 giorni. La norma è stata bocciata dalla Camera lo scorso 8 aprile. E se il Governo non varerà un altro decreto, dal 27 aprile i detenuti del centro torneranno in libertà.

LA STORIA- La moglie vive a Brescia con suo figlio. Ed è incinta del secondo. Lui è a Lampedusa. Detenuto nel Centro di identificazione e espulsione. E' il caso di un cittadino tunisino. Uno dei 900 trattenuti sull'isola da metà dicembre. Il suo ricorso contro il provvedimento di respingimento è stato rigettato per "difetto di giurisdizione”. Nel merito sarebbe inespellibile. Ma di fatto nessun Tribunale si dichiara competente. Il suo non è un caso isolato. Sono diversi i detenuti del centro che hanno presentato ricorso.

L'esito è per tutti lo stesso. Il Tribunale amministrativo della regione Sicilia (Tar) di Palermo si è dichiarato incompetente, indicando come competente il Tribunale ordinario di Agrigento. Le ultime due sentenze sono state pronunciate questa mattina. Tuttavia il Giudice di Pace di Agrigento si è dichiarato incompetente per difetto di giurisdizione. Tutto questo sebbene nel 2006 lo stesso Giudice di Pace si fosse dichiarato competente per dei casi simili. Se infatti il Testo unico sull'immigrazione indica nel dettaglio i termini e i modi per impugnare i provvedimenti di espulsione, non dice invece niente sul tribunale competente per i ricorsi avverso i provvedimenti di respingimento in frontiera. Tecnicamente ci sarebbe bisogno di un ricorso in Cassazione per risolvere la questione. Ma i tempi del ricorso sarebbero lunghi. Almeno un anno. E da qui a un anno tutti i migranti detenuti sull'isola saranno presumibilmente già stati rimpatriatihttp://www.affaritaliani.it/cronache

http://www.affaritaliani.it/cronache/lampedusa_picchiati_polizia_storie_choc_detenuti150409.html

martedì 14 aprile 2009

Un altro vile episodio di razzismo

L'AGGRESSIONE LUNEDì NOTTE A TOR BELLA MONACA

«Hai una macchina troppo vecchia»Lo picchiano e gli fanno perdere un occhio
La vittima è un 30enne senegalese colpito da due italiani
Prima lo ha preso in giro perché guidava una vecchia auto, secondo lui un modello fuori moda. Poi lo ha colpito con una bottiglia al capo fino a romperla, accompagnando l'aggressione con insulti razzisti. Vittima dell'ultimo episodio di xenofobia fra Tor Bella Monaca e Casilino è stato lunedì notte un cittadino senegalese di 30 anni ora ricoverato in prognosi riservata in ospedale. L'uomo, curato dai medici del Policlinico di Tor Vergata, perde la vista da un occhio per i colpi ricevuti dall'aggressore, B.M., 20 anni, pregiudicato, arrestato dai carabinieri nella sua abitazione sempre a Tor Bella Monaca. Il giovane è accusato di lesioni gravissime, aggravate dall'odio razziale. Per lo stesso reato è stato denunciato un suo amico sedicenne, che ha partecipato all'aggressione.
L'AGGRESSIONE - Il senegalese è stato affrontato dai due fuori da un bar di via Casilina. Erano le due di notte. Spalleggiato dal minorenne e anche da altri giovani, B.M. ha iniziato a prendere in giro il trentenne. Alla reazione della vittima ne è nato un violento litigio, al culmine del quale il ragazzo ha afferrato una bottiglia e si è avventato sull'altro colpendolo più volte. Proprio in quel momento è intervenuto un avventore del bar che ha cercato di proteggere il senegalese ma il suo tentativo è fallito. Dopo la fuga dell'aggressore e dei suoi complici, la vittima ha chiesto aiuto ai carabinieri. Più tardi gli investigatori della compagnia di Frascati e della stazione di Tor Bella Monaca hanno rintracciato B.M. a casa dove, nel corso di una perquisizione, è stata sequestrata anche la sua maglietta ancora sporca di sangue. Il ventenne è stato condotto nel carcere di Regina Coeli.
L'AGGRAVANTE - Al 20enne arrestato anche l'aggravante dell'odio razziale. L'aggressione, infatti, fanno notare i carabinieri della compagnia di Frascati, è stata preceduta da vari insulti tra cui «negro di m...». Le lesioni personali gravissime, contestate per la lesione permanente a una funzione vitale, in questo caso la vista, sono state aggravate, perché oltre all'uso della bottiglia l'aggressore ha ingiuriato l'uomo con frasi razziste. Il pregiudicato rischia, spiegano gli investigatori, dai sei ai 12 anni di carcere. L'aggravante farà salire la pena.

Rinaldo Frignani14 aprile 2009
dal Corriere della Sera on Line
commento:
chi gli ridarà l'occho?

mercoledì 1 aprile 2009

Dov'è finita la protezione della maternità?

Al Fatebenefratelli di Napoli il caso di una ivoriana in attesa dello status di rifugiato
Non ha potuto allattare il neonato. Il legale: applicano una legge che non c'è
Migrante partorisce in ospedalee gli agenti la fermano
di CONCHITA SANNINO

Kante con il piccolo Abou
NAPOLI - Voleva solo partorire il suo bambino. Si è ritrovata invece, dopo poche ore, con le forze dell'ordine richiamate in corsia da qualcuno dell'ospedale, forse un assistente sociale. Ha visto gli agenti che bussavano alla sua stanza di degente per la notifica di un ordine urgente: "Presentarsi in questura per l'identificazione". Ed è finita che quella madre ivoriana, ufficialmente "in attesa di status di rifugiato politico", non ha potuto allattare il suo neonato, Abou, per una decina di giorni, fino a quando non è arrivata dagli uffici dell'Immigrazione la conferma che il suo fascicolo esisteva davvero, e che quella donna non aveva raccontato frottole, né fornito falsa identità. Tutto incredibile, eppure vero. Proprio come se la controversa norma inserita dalla Lega nell'ambito del pacchetto sicurezza, quella che invita i medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno, fosse già entrata in vigore. Assaggio di una deriva annunciata. L'allarme lanciato da centinaia di specialisti in tutta Italia persino con petizioni inviate al capo dello Stato, il nodo dei "medici-spia" che ha infiammato il Parlamento spaccando perfino il Pdl, è già cronaca. Un caso unico. Che crea scandalo. A Napoli. Una vicenda rimasta sotto silenzio per alcune settimane. Avviene nel quartiere Posillipo, la città d'elite. Nell'ospedale retto da un ordine religioso, il Fatebenefratelli. Il 5 marzo scorso. Storia di Kante, giovane madre della Costa d'Avorio, 25 anni, vedova di un marito assassinato sull'uscio di casa nel 2005 nella loro città d'origine, Abidjan, in attesa da anni del riconoscimento dell'asilo politico. Kante vive ora alla periferia nord, un buco nell'alveare di Pianura, il quartiere della guerriglia sui rifiuti. Di aspetto fragile, sguardo spento dietro le numerose battaglie affrontate, Kante racconta: "In ospedale ci hanno chiesto i documenti, non gli è bastata la fotocopia del mio passaporto, mentre l'originale era trattenuto dalla polizia per la mia richiesta in corso. Non gli è piaciuta neanche la richiesta di soggiorno ormai scaduta. E per oltre 10 giorni mi hanno tenuta separata dal bambino".

Undici giorni è rimasto il piccolo Abou in ospedale: "Non lo hanno dimesso, non me lo hanno dato, fino a quando la questura ha confermato la mia identità. Ho temuto che me lo portassero via, che non me lo facessero stringere più tra le braccia". Neppure il padre del bambino, Traore Seydou, un falegname della Costa d'Avorio che qui si arrangia a fare il manovale in nero, ha ottenuto che venisse dimesso: "Non ero presente al momento del parto - dice - E quindi il piccino è stato registrato con il nome della madre". "'Non possiamo consegnarlo a te', mi hanno detto in ospedale. D'altra parte anche io sono senza permesso di soggiorno, in attesa che venga accolta la mia richiesta di asilo politico". Ma a ricostruire e denunciare la vicenda anche al Parlamento europeo è l'avvocato Liana Nesta, già avvocato di parte civile in alcuni importanti processi antimafia, al fianco delle famiglie di vittime innocenti. "Siamo di fronte a un caso illegittimo, di assoluta gravità", spiega. "Delle due l'una - aggiunge l'avvocato - o nell'ospedale napoletano Fatebenefratelli c'è un medico o un assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una legge non ancora approvata da questa Repubblica; oppure qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e di una cittadina. Conservo copia del fax partito dalla direzione amministrativa dell'ospedale, proprio nel giorno in cui partoriva la signora Kante, e indirizzata al fax del commissariato di polizia del quartiere".
(1 aprile 2009)
La Repubblica on line

domenica 29 marzo 2009

Se un romeno ubriaco avesse investito un italiano,sarebbe finito in prima pagina

Investe e uccide 16enne a Ottaviano:arrestato pirata della strada 19enne



Ascoli Piceno, ubriaco e senza patente investe diciottenne e fugge: arrestatoNAPOLI (29 marzo) - Un romeno di 16 anni mentre stava percorrendo via Vecchia Sarno ad Ottaviano, in provincia di Napoli, a bordo del proprio ciclomotore è stato investito e ucciso da un automobilista che poi si è dato alla fuga con la sua Fiat Stilo. Test negativi. Il ragazzo è morto sul colpo mentre l'investitore sotto choc si è poi recato in ospedale a Sarno. Lì è stato rintracciato dalle forze dell'ordine che lo hanno arrestato, dopo i test per la ricerca di sostanze stupefacenti o alcoliche nel sangue, che hanno dato esito negativo. Si tratta di un giovane di 19 anni, di Palma Campana (Napoli), condotto in carcere con l'accusa di omicidio colposo ed omissione di soccorso.




Una tragedia taciuta per 6 giorni

Roma, pakistano in fin di vita dopo un pestaggio: forse un raid razzista


di Luca Lippera
ROMA (29 marzo) - «Chi siete? Ma che volete?». Mohammad Basharat, 35 anni, un negoziante pakistano, non capiva. Cinque giovani italiani mai visti e conosciuti capelli corti, orecchini, berrettini da baseball lo stavano tirando fuori a forza da un furgone fermo a un semaforo a Tor Bella Monaca e di sicuro non era un film. Un pugno devastante al volto gli ha spiegato in una frazione di secondo che c’era una caccia in corso e che c’era anche una preda: volevano lui, gli sconosciuti, e se non proprio lui la carnagione scura, i capelli dardeggianti come gli occhi, la faccia inconfondibile da straniero. È crollato a terra svenuto, Mohammad, e poi si è ripreso. Un’illusione: l’immigrato, colpito da «una vasta emorragia cerebrale», è crollato dopo poche ore: è stato operato al cervello e ora lotta per la vita nel Reparto Rianimazione del Policlinico “Casilino”.L’aggressione è avvenuta lunedì scorso nel primo pomeriggio. Ma fino a ieri era stata taciuta. La polizia ritiene «molto plausibile» l’ipotesi di un raid «a sfondo xenofobo» anche se «alla vittima non sono state rivolte espressioni esplicitamente razziste». Il commissariato “Casilino Nuovo”, che segue le indagini, ha trasmesso gli atti alla Squadra Mobile. I teppisti, tutti giovani intorno a vent’anni, non sono stati rintracciati. I carabinieri, sempre ieri, hanno arrestato a Tor Bella Monaca alcuni ragazzi con l’accusa di aver pestato «senza motivo» un bengalese. Le modalità sembrano simili all’assalto contro il pakistano. Si sta cercando di capire se i gruppuscoli fossero collegati. Mesi fa quattro adolescenti, sempre nella zona, assalirono un cinese alla fermata del bus, dopodiché toccò a un altro bengalese.C’è anche una tragedia nella tragedia. La moglie del pakistano, Karunasekera, del Bangladesh, era incinta di tre mesi. Era. Lo stress le è stato fatale. Venerdì la donna ha perso il bambino. «Mohammad è peggiorato nelle ultime ore racconta Faruk Tabassum, 42 anni, interprete, un connazionale amico di famiglia della vittima La Tac non va bene. Siamo pronti al peggio. È stata una cosa incredibile e non è bello che finora nessuno ne abbia parlato. Lunedì tra le tre e le quattro Mohammad era fermo alla guida del suo Fiat “Ducato” con un amico al fianco. Erano stati a fare la spesa al supermercato “Pewex” di Tor Bella Monaca e stavano lì vicino. Quelli sono arrivati all’improvviso e l’hanno tirato fuori. Lui non capiva. Poi c’è stato il pugno».Il pakistano, in Italia da dieci anni, ha un negozio di alimentari a Torre Angela. L’amico che era con lui nel furgone si chiama Naziq ed è coetaneo. È stato uno degli automobilisti italiani che seguivano il “Ducato” a dare l’allarme chiamando il “113”. «Hanno visto tutto continua Faruk Tabassum Mohammad, quando è arrivata la polizia, era a terra. Lì per lì, per paura di ritorsioni, ha detto di essersi sentito male. Ma in ospedale, prima di perdere conoscenza, ha raccontato tutto: gli agenti ormai avevano sentito i testimoni». Basharat era stato trattenuto in Osservazione al “Policlinico Casilino”. «Martedì mattina aggiunge l’amico i medici si sono resi conto che si stava “paralizzando”. Non rispondeva più. Hanno chiamato di corsa la moglie per farsi autorizzare a operarlo. Il pugno gli ha provocato un’emorragia cerebrale: una cosa incredibile». A Tor Bella Monaca, periferia est, storie che si ripetono, qualcosa che sta accadendo
Dal Messaggero on line

venerdì 20 marzo 2009

Morte naturale?

Algerino muore nel Cie di Ponte GaleriaTestimone a radio: picchiato da polizia
La Croce Rossa: morto per cause naturali. Disposta autopsiaIl Viminale ha ordinato un'inchesta per chiarire i fatti


Approfondimenti
Garante detenuti: Cie di Ponte Galeria in emergenza permanenteROMA (19 marzo) - Un immigrato algerino di 40 anni è morto ieri sera in una camerata del Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma a causa «di un arresto cardiocircolatorio». L'immigrato era arrivato ieri da Modena. Polemiche. Il direttore del Centro, Fabio Ciciliano, ha confermato a PeaceReporter la morte dell'uomo «smentendo che sia avvenuta a causa delle percosse». L'uomo, ha aggiunto Ciciliano, era un tossicodipendente. A Radio Popolare un immigrato aveva raccontato che l'uomo «è uscito per essere medicato, ma i poliziotti lo hanno picchiato e lo hanno rimandato in cella».Croce Rossa: morte naturale. Ad accorgersi che lo straniero era morto sono stati questa mattina gli altri immigrati che hanno avvertito la polizia. A constatare la morte dell'algerino la Croce Rossa secondo la quale si è trattato di morte per cause naturali dovute a un arresto cardiocircolatorio. Inutili i tentativi di rianimarlo.La testimonianza a Radio Popolare. «Noi - ha detto l'immigrato - dicevamo a loro che era morto ma i poliziotti dicevano che faceva finta di essere morto per uscire e scappare. È successo stanotte intorno alle 11. Non hanno fatto niente, lo hanno fatto sdraiare, lui ha cominciato a pregare perché aveva capito che stava per morire, ma loro continuavano a pensare che lui volesse uscire fuori per scappare». E ancora: «Quell'uomo ieri sera si è sentito male, aveva male allo stomaco, hanno chiamato la Croce Rossa per vedere cosa c'era, ma la polizia ha fatto dei problemi». Il testimone dice che «la polizia lo ha picchiato, non lo so con cosa, poi lui è tornato in stanza. Oggi lo hanno trovato morto. Aveva la faccia gonfia, i piedi e le mani blu», ha detto il testimone.Disposta l'autopsia. Il direttore del Centro di Ponte Galeria ha avvertito l'autorità giudiziaria che ha disposto l'autopsia per accertare le cause della morte.Chiedono un'indagine sulla morte dell'immigrato Massimiliano Smeriglio, assessore provinciale alle Politiche del Lavoro e Formazione, il presidente del Consiglio regionale del Lazio, Guido Milana e l'assessore al Bilancio della Regione Lazio Luigi Nieri.Inchiesta del Viminale. Il ministero dell'Interno, in relazione alla morte del ragazzo algerino nel centro di identificazione ed espulsione Ponte Galeria a Roma, ha disposto un'indagine amministrativa per chiarire le circostanze e i fatti avvenuti anche in relazione al rispetto delle regole cui è tenuto il gestore del centro. «Si tratta - spiega il Viminale - di una prassi doverosa già attuata in altre tragiche circostanze, nel rispetto dell'autonoma valutazione dell'autorità giudiziaria».
Dal Messaggero on line

lunedì 9 marzo 2009

Gira che ti rigira alla fine non è mai razzismo

Napoli: etiope aggredito, per polizia e' 'bullismo'
09 mar 22:37
NAPOLI - Nonostante sia stato assalito al grido di 'sporco negro' da due giovani teste rasate e nonostate l'aggressioone sia avvenuta vicino ai centri sociali di piazza del Gesu', le indagini della Digos di Napoli sul pestaggio dello studente italo-etiope Marco Beyene, avvenuto giovedi' notte nel centro storico, sarebbero orientate verso un episodio legato al bullismo anziche' al razzismo: lo si apprende da fonti della Questura partenopea. La vittima e' stata per ore oggi in Questura, senza riconoscere nessuno nelle fotosegnaletiche di naziskin che gli agenti gli hanno mostrato. (Agr)
Dal Corriere della Sera on Line

domenica 8 marzo 2009

Aggressione razzista a Napoli

È figlio di un noto docente dell'università orientale
Napoli, studente italo-etiope denuncia aggressione. «Nessuno è intervenuto»
Marco Beyenne, 22 anni, è stato aggredito e picchiatoda due uomini con la testa rasata in una piazza affollata


Marco Beyenne (Ansa)NAPOLI - Aggressione a sfondo razzista a Napoli. L'ha denunciata Marco Beyenne, uno studente italo-etiope di 22 anni di Capaccio (Salerno), iscritto alla facoltà di Scienze Politiche dell'università Orientale di Napoli. È figlio di un noto docente universitario in pensione, Yakob Beyenne, tuttora legato all'ateneo da un contratto di collaborazione per la cattedra di filologia etiopica.
«NESSUNO È INTERVENUTO» - «Le ferite al volto fanno molto meno male di quelle che ho dentro» ha detto il ragazzo, aggredito nella notte tra giovedì e venerdì nel centro di Napoli da due giovani che, al grido di «negro di m...», lo hanno ripetutamente colpito al volto con una cintura. L'aggressione è avvenuta davanti a una trentina di persone che, secondo lo studente, si sono limitati ad assistere alla scena. «Ero in compagnia di un amico, anche lui studente - spiega Marco Bayenne -. Stavamo facendo una passeggiata in piazza del Gesù e volevamo andare a bere qualcosa in un locale molto frequentato dagli studenti, specie il giovedì notte. All'uscita dal locale, due persone si sono avvicinate e mi hanno chiesto cosa volessi. Non ho avuto neppure il tempo di rispondere, che uno dei due, con il capo rasato, ha tirato fuori una cintura e ha cominciato a colpirmi al volto con una ferocia inaudita, mentre gridava frasi del tipo 'negro di m...»'. Molti i giovani presenti nella piazza che hanno assistito alla scena. «Non uno dei presenti ha alzato un dito - prosegue Marco -. Nessuno ha avuto il coraggio di intervenire, nonostante l'aggressione sia durata un paio di minuti. Solo il mio amico ha tentato di difendermi, prendendosi la sua dose di calci e pugni». Alla fine Beyenne è riuscito a divincolarsi, rifugiandosi in una rosticceria. «Sanguinavo dal viso, così il titolare del locale mi ha dato dei fazzolettini di carta per ripulirmi». Poi l'arrivo in ospedale, dove lo studente è stato medicato e dimesso. «Quando siamo andati al commissariato di polizia di via San Biagio, gli agenti stentavano a crederci - racconta la vittima -, uno di loro mi ha detto che a Napoli non si era mai verificata un'aggressione a sfondo razziale. Erano tutti molto dispiaciuti».
«CLIMA DI INTOLLERANZA» - «Sono di nuovo a Capaccio - aggiunge il giovane italo-etiope -, sono tornato a casa per ritrovare la serenità smarrita. Ma da lunedì sarò ancora una volta tra i banchi dell'università, come sempre. Spero che sia il primo e l'ultimo episodio di razzismo in una città tanto bella e tollerante come Napoli, anche se da qualche mese respiro un'aria che non mi piace, un'aria di insofferenza che può essere molto pericolosa». «Mio marito è in Italia dall'inizio degli anni Sessanta - dice Paola Raeli, moglie di Yaqob Beyenne -. È un uomo stimato e amato da tutti e in tutto questo tempo non è mai accaduto niente né a lui né a mio figlio, ma ora ho paura. Quello che è accaduto giovedì notte è il sintomo che qualcosa nel nostro paese sta cambiando. C'è un clima di intolleranza».
Da Repubblica on line

domenica 1 febbraio 2009

TRAFFICO DI ORGANI

Milano, tra i ragazzini stranieri che si prostituiscono dopo l'allarme sul traffico d'organiIl racconto di Igor, dodici anni: "Mi hanno offerto duemila euro, ma io avevo paura"
Nell'inferno dei bambini fantasma"Volevano un mio rene, ho detto no"
dal nostro inviato FRANCESCO VIVIANO
Un ragazzino con un cliente in via Trebbia a Milano
SORISOLE (Bergamo) - "Duecento euro al mese? Padre, voi siete matto. Io duecento euro li guadagno in una notte". Igor, 12 anni, moldavo, da un anno in Italia, fa avanti e indietro, dalle stradine di Milano intorno a via Trebbia, nei pressi di piazzale Trento, dove si prostituisce, ai centri di accoglienza per minori extracomunitari non accompagnati della Lombardia. L'ultimo del quale è stato ospite è quello di Sorisole alle porte di Bergamo, il centro Don Milani diretto da don Fausto Resmini, sacerdote, da anni impegnato nell'impossibile recupero di questi ragazzi senza patria e senza famiglia che finiscono in mano a bande di sfruttatori. E come tutti gli altri che sono passati dal centro di Sorisole, anche Igor, dopo un breve incontro con don Fausto, si fa una doccia, consuma un pasto e poi via, torna a Milano dal suo datore di lavoro, un romeno che gestisce un vero e proprio racket di minori. Igor è, come altri suoi coetanei, molto richiesto da una clientela infame. Gente insospettabile, di tutte le categorie. Di molti di questi bambini stranieri spesso non si sa più nulla. "Alcuni miei compagni che erano fuggiti con me - racconta Igor - non li vedo più da tempo. A me avevano offerto 2000 euro per un rene, ma io ho rifiutato, ho paura. So di qualcuno, invece, che avrebbe accettato. Uno è stato portato via una coppia di persone che sembravano per bene: in cambio di un rene gli hanno promesso un futuro, una casa, e lui è andato". Così Igor torna in pista, al lavoro. In strada ci scende solo quando è a corto di clienti, quasi sempre il contatto avviene direttamente tra loro ed il suo sfruttatore che fissa gli appuntamenti e la tariffa, mai sotto i 50 euro. "Io non posso fare nulla - dice rassegnato don Fausto - questi ragazzini è come se avessero 18 anni, ragionano da grandi, hanno le idee molto chiare e pur essendo consapevoli di essere in mano a sfruttatori, continuano a cercarli nella speranza che prima o poi possano sganciarsi dal giro e lavorare in proprio. Ancora più triste è il fatto che anche i loro familiari, in Romania, in Moldavia, pur sapendo che vita fanno, li incoraggiano a rimanere in Italia. Sono stato testimone di molte conversazioni telefoniche tra questi ragazzi e le loro madri. E quando dico loro che qui potrebbero studiare, ottenere il permesso di soggiorno, un lavoro ed anche un piccolo mensile di 150-200 euro al mese, mi ridono in faccia e vanno via subito. Sono ragazzini molto decisi che hanno soltanto due obiettivi da raggiungere: soldi e vestiti griffati".
Rintracciare Igor e quelli del suo giro non è stato semplice ma alla fine, dopo giorni di attesa, un contatto ci dirotta verso via Trebbia dove poco dopo le 2 di notte cominciano a girare ragazzini, adulti, omosessuali e trans. Un popolo di disperati. Individuiamo Igor quando il ragazzino scende da una Fiat Punto con a bordo una coppia con la quale si era allontanato qualche ora prima. "Anche se sei un poliziotto non puoi fare nulla perché io sono minorenne, al massimo puoi portarmi in un centro di accoglienza per minori, perché io ho 12 anni". Quando spieghiamo che non siamo poliziotti, Igor comincia a parlare. "Io prendo 50 euro, per fare "maniglia" (masturbazione, ndr) per altro un po' di più". Poi racconta la sua storia, simile a quella di centinaia di bambini clandestini che poi diventano fantasmi. "Sono arrivato un anno fa dalla Moldavia, con altri amici della mia stessa età. Avevamo un contatto, altri amici che erano arrivati a Milano prima di noi e che ci hanno affidati a un romeno. L'accordo è che lavoriamo per lui per qualche tempo, poi ci mettiamo in proprio e così cominciamo a guadagnare e ad inviare soldi anche a casa". Igor è ancora "sotto padrone". L'uomo che gestisce il racket preleva tutti gli incassi e gli dà soltanto da dormire e da mangiare. "Ma sono sicuro che molto presto mi lascerà andare e farò per conto mio, così come hanno già fatto altri ragazzi arrivati qui prima di me". In quella via del sesso a pagamento, ma anche in piazza Trento, piazzale Lotto e nei pressi del mercato ortofrutticolo e del pesce, non c'è concorrenza tra questi disperati. "Ognuno ha i suoi clienti che hanno gusti diversi e quindi - racconta Igor - non c'è nessun problema tra noi. Anzi ci proteggiamo a vicenda. Chi resta in strada prende sempre il numero di targa del cliente che va via con uno di noi, perché non si sa mai quel che può accadere...". E che tra questi disgraziati ci sia tanta solidarietà lo testimonia il capannello che piano piano comincia a formarsi attorno a noi. Qualcuno minaccia: "Non vi azzardate a fare fotografie perché vi massacriamo". Poi, una volta rassicurati, anche loro iniziano a raccontare. "Molti dei nostri connazionali, ragazzi come me - afferma uno che dall'aspetto dimostra 13-14 anni e che dice di essere marocchino e di chiamarsi Hamed - spacciano, rubano e fanno anche rapine. Noi, invece, abbiamo scelto di fare questo lavoro, non diamo fastidio a nessuno, accontentiamo i clienti che ci pagano anche bene. A volte con un solo cliente, quando vuole cose particolari, riusciamo a guadagnare quanto guadagneremmo con cinque o sei incontri". Poi cominciano ad allargarsi un po' e fanno a gara per rivelare i nomi di clienti importanti. "Avete presente quel tizio che si vede in televisione e che fa.... Bene quello viene sempre. Ma ce ne sono tanti altri che neanche vi immaginate...". Poi il nostro contatto, sottovoce, ci consiglia di andare via: "Tra poco arriveranno altri, alcuni sono scoppiati, schizzati proprio e potrebbe accadere qualcosa di spiacevole". Lasciamo quel mercato di bambini fantasma. Qualcuno tenta di ribellarsi e, come testimonia una telefonata intercettata dal nucleo investigativo telematico di Siracusa, sul cellulare di un pedofilo, chiede aiuto: "Mamma dì a Fanel - dice un bambino alla madre chiedendo di fare intervenire il fratello che vive in Romania - che venga in Italia ad aiutarmi. Non ne posso più, Pepe (lo sfruttatore ndr) mi picchia tutte le sere e mi prende tutti i soldi che guadagno. Fa qualcosa mamma..."
(1 febbraio 2009)
REPUBBLICA ON LINE

Continui atti di violenza

L'uomo, un indiano di 35 anni, era solito dormire nell'atrio della stazioneAlcune persone l'hanno pestato e gli hanno dato fuoco. Adesso è ricoverato
Nettuno, immigrato picchiato e bruciato"E' un'aggressione razzista premeditata"
Veltroni: "Questi episodi sono frutto di un clima di odio creato ad arte"Alemanno: "Non possono esserci alibi per ritorsioni xenofobe"

ANZIO (Roma) - C'è il razzismo dietro l'aggressione a un immigrato indiano di 35 anni che è stato picchiato e dato alle fiamme, alle 4 di questa notte, nell'atrio della stazione ferroviaria di Nettuno, in provincia di Roma. L'uomo, che è ricoverato in gravissime condizioni all'ospedale sant'Eugenio di Roma, era solito dormire nell'atrio della stazione. Gli aggressori sono arrivati portandosi dietro una bottiglia di liquido infiammabile: prima hanno selvaggiamente picchiato l'uomo che stava dormendo poi lo hanno cosparso di benzina e hanno appiccato il fuoco. Secondo quanto si è appreso da fonti investigative, il raid è stato compiuto da due o più persone. Il gesto, sottolinea un investigatore, ha una matrice razzista ed è stato premeditato e studiato nei minimi particolari. Quando sono arrivati i carabinieri hanno trovato l'indiano ancora con gli abiti in fiamme, le gambe già completamente ustionate. L'uomo è riuscito a dire pochissime parole poi ha perso i sensi per il dolore. Portato d'urgenza all'ospedale di Anzio è stato trasferito per le gravissime ustioni subite al Sant'Eugenio di Roma nel reparto ustionati. Il sindaco di Nettuno Alessio Chiavetta (Pd) parla di "gesto gravissimo" ed esprime la condanna "di tutta la città". L'associazione multiculturale Soweto e altre organizzazioni della zona hanno subito convocato, via sms e con il passaparola, un sit-in davanti al Municipio. Per il leader del Pd Walter Veltroni, "episodi di intolleranza criminale come questo sono il frutto di predicazioni xenofobe, di un clima creato ad arte di odio e di paura". "Quello che è successo a Nettuno è gravissimo e suscita in me, come nella stragrande maggioranza degli italiani, rabbia e indignazione. Esprimiamo solidarietà al giovane indiano selvaggiamente picchiato e bruciato e chiediamo che i responsabili di questo crimine siano assicurati al più presto alla giustizia", aggiunge il segretario del Partito democratico.
"Rabbia e dolore" anche in una nota diffusa dal sindaco di Roma Gianni Alemanno. "Se qualcuno pensa che i recenti fatti di violenza, che hanno visto come presunti colpevoli delle persone immigrate, possano essere un alibi per ritorsioni xenofobe, si sbaglia di grosso. A nessuno è consentito farsi giustizia con le proprie mani e tanto meno strumentalizzare politicamente il dolore delle donne che sono state violentate nei giorni scorsi", afferma il primo cittadino della capitale.
Inviato da og09 il 01 febbraio 2009 alle 16:04
Repubblica on line

lunedì 26 gennaio 2009

Caccia allo straniero

Repubblica on line 26/01/2009
Le aggressioni sono state compiute da una ventina di giovani che si sono staccati da una manifestazione di protesta organizzata da Forza Nuova
Guidonia, raid razzisti dopo corteoDue arresti, aggrediti nove stranieri
Le vittime sono cinque albanesi e quattro romeni. Gli italiani arrestati hanno rispettivamente 21 e 24 anni. Al commissariato identificate una ventina di persone
La protesta degli abitanti di Guidonia
ROMA - Due ragazzi sono stati arrestati e una ventina identificati dal commissariato di Tivoli per un'aggressione razzista avvenuta ieri sera ai danni di cinque albanesi in un bar a Guidonia, il paese alle porte di Roma dove nella notte tra giovedì e venerdì una ragazza è stata violentata e il fidanzato picchiato con ogni probabilità da stranieri dell'est Europa. I due giovani Fabio P., di 21 anni, e Vincenzo P., di 24 anni, entrambi residente a Collefiorito di Guidonia (Roma), sono stati arrestati per tentata rapina, lesioni personali, minaccia, danneggiamento con l'aggravante di aver agito per fini razziali. Oltre a questa, ci sono state altre due aggressioni a sfondo razzista: le vittime negli altri due casi sono stati quattro romeni. I tre episodi sono collegati alla manifestazione di Forza Nuova che si è tenuta ieri a Guidonia, hanno spiegato gli investigatori. Una ventina di manifestanti si sono allontanati dal corteo di Forza Nuova, esortando gli altri a seguirli in quanto aveva saputo che erano stati presi i cinque stranieri che avevano violentato la ragazza a Guidonia e che quindi 'bisognava fare qualcosa'. La polizia ha tentato di fermarli, ma i venti giovani sono riusciti a scappare nelle strade vicine a quella principale percorsa dal corteo. Secondo la polizia, successivamente sono state compiute "azioni aggressive e violente in danno di cittadini stranieri, perpetrate presumibilmente da alcuni manifestanti che in modo scientifico si allontanavano dal corteo". Nel primo caso tre romeni venivano aggrediti e picchiati da giovani italiani, mentre questi si trovavano all'interno del bar "Stefanelli" in via Maremmana Inferiore a Villanova di Guidonia. Il secondo caso riguarda un romeno, aggredito e picchiato da giovani italiani, mentre questi stava attraversando la strada di viale Roma a Guidonia. Il terzo è avvenuto all'interno del bar 'Centrale', in piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa, dove si erano rifugiati cinque albanesi per scampare all'aggressione.
Le aggressioni sono avvenute a colpi di mazze da baseball, bastoni, aste di bandiere, manici di scopa, ma anche sedie prese dal bar, al grido di "andatevene via, tornate al vostro Paese, vi ammazziamo". Una decina di mazze sono state sequestrate. Quando la polizia è arrivata, molti erano scappati, mentre una ventina sono stati fermati fuori il locale. Gli agenti entrando nel bar Centrale hanno trovato il locale devastato e dentro uno stanzino, con tanto di porta blindata che aveva resistito agli attacchi degli aggressori, i 5 albanesi e la proprietaria del bar.
(25 gennaio 2009)

E' necessario trovare un modo per fermare questa violenza, se non si fa niente sembrerebbe giustificata ed accettata.
Bisogna controllare che le persone che aggreddiscono rimangano in carcere, e che la loro pena sia esemplare.
Simona Andreoli

martedì 18 novembre 2008

PERCHE' SI DELINQUE IN ITALIA.....


Erba: Olindo Romano e Rosa Bassi al processo lasciati di accarezzarsi in aula durante l’udienza .....chi sa faranno un figlio in prigione se andranno in prigione...cose vergognose che si vedono qualche volte qui in Italia, questi sono i veri cause della deliinquenza in Italia .....
Troppi falsi buonissimi e permissivismi come questo sone anche cause della deliquenza in Italia ; non L'IMMIGRAZIONE.
sent in :by chukbyke

venerdì 24 ottobre 2008

Altro articolo su atto razzista piccolo piccolo

GENOVA. Un ragazzo albanese di 19 anni, Steve Melkize, è ricoverato in fin di vita all'ospedale San Martino di Genova a seguito di un’aggressione subita a Cogoleto (riviera di ponente) da un suo coetaneo italiano.

Alla base della violenta aggressione da parte di un pregiudicato genovese ci sarebbero essere motivi razziali. Infatti, anche durante il pestaggio, avvenuto a colpi di manganello, il venticinquenne avrebbe più volte pronunciato: "Sporco albanese". L’aggressore è stato prontamente arrestato dai carabinieri. Per lui il capo d’accusa è di tentato omicidio volontario. La cosa più inquietante della vicenda è che il reato era stato preannunciato tanto che il giovane albanese, da 15 anni in Italia, aveva già denunciato l'aggressore per minacce razziste e di morte

martedì 21 ottobre 2008

Violenza

Queste sono le dimensioni di un articolo che parla di un tentato omicidio
L'episodio durante la fiera del rosario
Canicattì: 5 giovani aggrediscono romeno di 19 anni e lo riducono in fin di vita
Ignote le motivazioni del gesto criminoso. Colpito a calci e pugni, ora è in prognosi riservata
CANICATTI' (AGRIGENTO) - Aggredito e ridotto in fin di via un romeno di 19 anni. L'episodio si è verificato in via Carlo Alberto, a Canicattì. Viorel Ionita è stato avvicinato da cinque giovani, tutti italiani, mentre si stava tenendo la fiera del Rosario, alla periferia della città agrigentina, ed è stato colpito con pugni e calci. Soccorso, è trasferito all'ospedale Barone Lombardo. I medici si sono riservati la prognosi. Sull'episodio indaga la polizia che sta cercando di individuare gli autori dell'aggressione. Le condizioni del romeno vengono considerate estremamente gravi.
21 ottobre 2008
Corriere della Sera on line

Se fossero stati 5 rumeni ad attaccare un italiano, quali dimensioni avrebbe avuto?


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