Dramma immigrati: la relazione degli istituti Missionari
Lunedi 5 Luglio 2010 ore 7:49
"Non possiamo tacere". Con questo slogan si è aperta a Firenze il 30 giugno 2010 la Conferenza degli Istituti Missionari Italiani - Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI.
Riportiamo il testo integrale dei lavori:
“Oggi la forma di povertà più vistosa e drammatica in Italia - ha scritto il coraggioso vescovo emerito di Caserta, R. Nogaro - è quella degli immigrati e dei rom. In nome di una fantomatica ‘sicurezza sociale’ si sta costruendo, soprattutto nel nostro paese, la fabbrica della paura verso tutto ciò che può ledere la tranquillità del cittadino. Per questa prospettiva inquietante l’incriminato di dovere è l’immigrato ed è il rom, considerati quasi naturalmente soggetti di reato.”
In poche lapidarie parole Mons. Nogaro, che ben conosce i problemi degli immigrati di Caserta e di Castelvolturno, ci ha messo davanti agli occhi il dramma di questi fratelli e sorelle immigrati nel nostro paese.
Il contesto europeo
Viviamo nell´epoca della più grande mobilità della storia conosciuta. Oltre 214 milioni di migranti internazionali, vi sono circa 740 milioni di sfollati, in parte sfollati interni. Ciò significa che una persona su sette nel mondo è un migrante. (Peter Schatzer, Plenaria del Pontificio Consiglio per la Cura Pastorale dei Migranti, Roma, maggio 2010).
Nei 27 Paesi dell´UE si calcolano 24 milioni di migranti, per la più parte provenienti dagli stessi Paesi dell´Unione. Secondo valutazioni recenti i migranti “irregolari” sarebbero fra i 4.5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 e i 500 mila all´anno.
Di fatto, l´Europa, sentendosi “fortezza” assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità. La governance delle migrazioni e la lotta contro l´immigrazione irregolare sono prospettate come la soluzione principale per dare sicurezza alle società europee, inserendo il controllo dell´immigrazione nell´ottica della lotta al terrorismo...viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile: “immigrazione, criminalità e terrorismo, insicurezza”. Per tale ragione, la politica migratoria dell´Europa afferma la chiusura delle frontiere alle persone, ma non la libertà di circolazione alle informazioni, ai beni ed ai capitali. Si va diffondendo un atteggiamento politico di rifiuto degli immigrati, mentre le economie continuano a richiederne l´assunzione. Probabilmente vedremo presto calare nuove cortine di ferro, con serrati pattugliamenti alle frontiere e nuove misure di difesa delle coste.
C´è chi si azzarda ad affermare che il rafforzamento delle frontiere non serve solo ed in primo luogo a fermare i movimenti migratori - i quali di fatto continuano - ma a definire come irregolari i migranti che le attraversano, dando loro un´identità che li pone in una posizione di inferiorità e di mancanza di diritti: un esercito di invisibili ricattabile e sfruttabile (Mons. Antonio M. Vegliò, VIII Congresso Eu, Màlaga, aprile-maggio 2010).
Il contesto italiano
Xenofobia montante
Noi missionari che siamo stati a lungo ospiti dei popoli africani, sudamericani, asiatici assistiamo ora in patria ad un accanimento senza precedenti nei confronti degli immigrati in mezzo a noi. Stiamo assistendo a una massiccia e crescente violazione dei diritti umani nei loro confronti. E questo avviene nell’indifferenza da parte dei cittadini italiani, immemori di quanto i nostri migranti avevano sofferto. Non stiamo forse ripetendo sugli immigrati in mezzo a noi quello che i nostri nonni hanno subito quando anche loro emigravano?
Non possiamo accettare che il Capo del Governo italiano affermi che: ”Una riduzione degli extra comunitari significa meno forze che vanno ad ingrossare la criminalità”. E’ un’affermazione molto grave. Il segretario della CEI, mons. Crociata, ha ribattuto giustamente: ”Gli immigrati delinquono tanto quanto gli italiani. Non è vero che riducendo gli immigrati clandestini si riduce anche la criminalità“. Una menzogna, ma rilanciata con forza da una stampa nazionale che fomenta la paura “dell’altro”. In questo paese stiamo assistendo a un crescendo di dichiarazioni, di leggi, di normative che non fanno altro che attizzare un crescente razzismo e una forte xenofobia.
Da parte di ogni schieramento politico
E questo non solo da oggi, ma da quasi 20 anni. A cominciare dalla legge Turco-Napolitano (1998) che è alla base del Testo unico per l’immigrazione e ha dato inizio ai Centri di Permanenza Temporanea (CPT) che si sono poi rivelati dei veri e propri lager. Seguita nel 2002 dalla legge Bossi-Fini che ha modificato il Testo unico. Questa legge introduce il contratto di lavoro, cui è subordinato il rilascio del permesso di soggiorno, prevede l’espulsione con decreto motivato, disposto dal questore e decreta sanzioni (fino al carcere) per la disobbedienza all’ordine del pubblico ufficiale.
Noi riteniamo immorale e non-costituzionale la Bossi-Fini, perché non riconosce gli immigrati come soggetti di diritto, ma li riconosce come forza-lavoro, pagata a basso prezzo e da rispedire al mittente, quando non ci serve più. La Bossi-Fini costituisce un fatto gravissimo in chiave giuridica (vari giudici l’hanno dichiarata non costituzionale!), ma soprattutto in chiave etica.
Il Pacchetto Sicurezza (Legge 94-2009) introduce nell’ordinamento italiano l’aggravante della pena per clandestinità dell’immigrato, pene reclusive fino a tre anni per chi cede un immobile a un clandestino, trasforma i CPT in Centri di Identificazione e Espulsione (CIE), vieta a una clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il bimbo come suo, impone una tassa sul permesso di soggiorno e norme restrittive sui ricongiungimenti familiari. In questo modo, per la prima volta, il clandestino diventa un criminale!
In questo quadro si inseriscono anche le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri che decretano lo stato di emergenza per le comunità nomadi-rom del Lazio, Campania e Lombardia e impongono il vergognoso atto della schedatura di rom e sinti attraverso la raccolta forzosa delle impronte digitali per l’identificazione e il censimento degli abitanti dei campi.
Concordiamo con Famiglia Cristiana quando ha definito il Pacchetto Sicurezza la “cattiveria trasformata in legge”.
Razzismo istituzionale
Questa legislazione comporta un aggravio molto pesante sulle spalle degli immigrati: i versamenti di contributi onerosi per ottenere permessi di soggiorno e di cittadinanza, l’obbligo di presentare un documento che attesti la regolarità del soggiorno per la celebrazione del matrimonio, la verifica da parte del Comune delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile e le pesanti sanzioni previste per la mancata esibizione dei documenti.
Se a tutto questo si aggiungono l’aggravante di clandestinità che comporta l’aumento di un terzo della pena, le decine di ordinanze per il “decoro urbano” di enti locali (dal divieto di trasportare borsoni a quelle contro i lavavetri!) che creano un “diritto speciale” riservato alle aree di povertà urbane o dell’immigrazione, abbiamo davvero l’impressione di essere di fronte a leggi che riflettono “un razzismo istituzionale, come afferma il filosofo L. Ferrajoli, che vale a fomentare gli umori xenofobi e il razzismo endemico presenti nell’elettorato dei paesi ricchi.”
A quanto detto bisogna aggiungere le due ultime novità: una pagella a punti perché un immigrato possa ottenere la cittadinanza italiana (approvata una bozza di regolamento a maggio 2010) e poi la decisione dell’11/03/2010 della Corte di Cassazione che gli immigrati irregolari vanno espulsi, anche se hanno figli minorenni che frequentano la scuola. Incredibile ma vero: la legalità delle frontiere prevale sulle esigenze di tutela del diritto allo studio dei minori.
Da tutto questo ne esce compromessa la nostra stessa democrazia. “Oggi la novità della criminalizzazione degli immigrati - ha detto il filosofo L. Ferrajoli all’incontro tenutosi nel settembre 2009 a Lampedusa sul tema: La frontiera dei diritti. Il diritto alla frontiera – compromette radicalmente l’identità democratica del nostro paese. Giacché essa ha creato una nuova figura: quella della persona illegale, fuorilegge solo perché tale, non-persona perché priva di diritto e perciò esposta a qualunque tipo di vessazione: destinata dunque a generare un nuovo proletariato discriminato giuridicamente, e non più solo, come i vecchi immigrati, economicamente e socialmente”. E’ lo stesso Ferrajoli a tirarne le conclusioni: ”Queste norme e queste pratiche rivelano insomma un vero e proprio razzismo istituzionale… Esse esprimono l’immagine dell’immigrato come “cosa”, come non-persona, il cui solo valore è quello di mano d’opera a basso prezzo per lavori faticosi o pericolosi o umilianti: tutto, fuorché un essere umano, titolare di diritti al pari dei cittadini”.
E allo stesso convegno di Lampedusa, il noto magistrato Livio Pepino ha aggiunto: “Il diritto penale, a sua volta, assume una nuova curvatura: non contro il migrante che delinque, ma contro il migrante in quanto tale. Infatti con l’introduzione del reato di ‘immigrazione irregolare’ si prosegue nella impostazione di punire non un fatto, ma una condizione personale: è il migrante che diventa reato.”
Noi riteniamo infatti che tutta questa legislazione è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e incarna una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e del rifiuto dell’”altro”, specie del musulmano.
I nuovi lager
Altro capitolo dolente dell’attuale ordinamento giuridico nei confronti degli immigrati sono i Centri che prima si chiamavano Centri di Permanenza Temporanea (CPT) e che la nuova legislazione chiama Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) dove gli immigrati sono rinchiusi per sei mesi (prima per sessanta giorni).
La situazione dei CIE è ancora peggiore di quella dei CPT. Da fonti sicure sappiamo che nei CIE si moltiplicano le violenze e i soprusi, mentre si susseguono le rivolte sempre represse con violenti pestaggi.
“Questi centri sono veri luoghi di detenzione - scrive sempre L. Ferrajoli - una detenzione per altro ancora più grave e penosa di quella carceraria, dato che è sottratta a tutte le garanzie previste per i detenuti, a cominciare dal ruolo di controllo svolto dalla magistratura di sorveglianza. Sono stati creati così dei campi di concentramento in cui vengono recluse “persone che non hanno fatto nulla di male, ma che vengono private di qualunque diritto, e sottoposte ad un trattamento punitivo, senza neppure i diritti e le garanzie che accompagnano la stessa pena della reclusione.”
Ancora più drammatica la situazione degli immigrati nei campi libici, che sono degli autentici campi di concentramento.
Ha ragione la prof.ssa L. Melillo dell’Orientale di Napoli in un recente volume A distanza d’offesa (a cura di A. Esposito e L. Melillo) a scrivere: “Sembra palesarsi il rischio di una deriva razzista che fa del corpo dello straniero il capro espiatorio delle crisi della nostra società.”
I luoghi della vergogna
Inumano è infine il trattamento che gli immigrati braccianti ed operai subiscono nel Paese, sia sul lavoro sia nelle abitazioni. Luoghi come Castelvolturno (Caserta), S. Nicola a Varco (Salerno), Rosarno (Reggio Calabria ), Cassibile (Siracusa) sono ormai entrati nell’immaginario collettivo italiano. Questi sono i luoghi della vergogna dove vivono i braccianti agricoli che raccolgono i nostri pomodori, le arance, le patate, …
Il più noto è certamente Castelvolturno nel casertano con una popolazione di 15.000 abitanti dei quali almeno 5.000 sono immigrati che lavorano nelle campagne del casertano e del napoletano. Le loro condizioni di vita, di abitazione, di lavoro sono davvero degradanti. Come missionari/e ne abbiamo spesso denunciato la situazione, che è poi esplosa il 18 settembre 2008 quando sei ghaneani sono stati brutalmente uccisi dalla camorra. Gli africani di Castelvolturno sono scesi per strada ribellandosi a quel massacro.
Castelvolturno, proprio per come gli immigrati sono trattati, è una polveriera che potrebbe esplodere ad ogni momento. Com’è esplosa Rosarno dove vivevano oltre mille braccianti che lavoravano nella Piana di Gioia Tauro. Abbiamo spesso potuto visitare le baraccopoli dove erano costretti a vivere quegli immigrati, luoghi di uno squallore unico. Gli stessi immigrati, fuggiti poi da Rosarno, hanno scritto: “Vivevamo in fabbriche abbandonate, senza acqua né elettricità. Il nostro lavoro era sottopagato. Lasciavamo i luoghi dove dormivamo alle 6:00 per rientrarci solo a sera alle ore 20:00, per 25 € che non finivano tutti nelle nostre tasche. A volte non riuscivamo nemmeno, dopo una giornata di duro lavoro, a farci pagare. Eravamo bastonati, minacciati, braccati come bestie …”
Parole dure, scritte all’indomani della tragica storia di Rosarno (7-9 gennaio 2010) quando alcuni “bravi ragazzi” hanno sparato contro gli africani, i quali, stanchi di tanti soprusi, si sono ribellati. Ne è nata una vera e propria rivolta (basta vedere le immagini nel DVD Le arance di Rosarno).
“Ci hanno sparato addosso per gioco o per l’interesse di qualcuno - hanno scritto -. Non ne potevamo più. Coloro che non erano feriti da proiettili, erano feriti nella loro dignità umana, nel loro orgoglio di esseri umani... Siamo invisibili per le autorità di questo paese.”
Ci sembra doveroso in questo contesto ricordare padre Carlo D’Antoni, parroco di Bosco Minniti (vicino a Cassibile), che accoglieva nella sua parrocchia i migranti: è stato arrestato perché accusato di aver firmato attestati di ospitalità che consentono ai braccianti di avere un tetto. E ora lo attende il processo!
Stessa situazione nella baraccopoli di S. Nicola a Varco, Comune di Eboli (Salerno), dove un migliaio di braccianti maghrebini vivevano in una situazione di grande degrado umano. Il 19 novembre 2009 questi immigrati, impegnati in lavori agricoli nella Valle del Sele, sono stati cacciati e la baraccopoli demolita perché dichiarata non idonea (ed è vero!), ma senza offrire loro un altro posto dove andare a dormire. Inutili le proteste che abbiamo fatto al Prefetto ed al Questore di Salerno. Oggi non c’è più una baraccopoli a S. Nicola a Varco, ma abbiamo centinaia di braccianti che dormono dove possono nella valle del Sele.
Tutti questi braccianti sono forza lavoro, pagata a basso prezzo, alla mercé dei caporali che fanno poi da tramite alle mafie. E questo ci porta al dolente capitolo delle condizioni di lavoro.
Tra caporali e mafie
Il 26 aprile 2010 ci sono stati a Rosarno una trentina di arresti, venti aziende agricole sequestrate e sigilli a duecento appezzamenti di terreno per un valore di dieci milioni di euro. E questo per l’inchiesta della Procura di Palmi (RC), nata in seguito alla rivolta di Rosarno.
Finiscono così in manette caporali e proprietari di agrumeti della Piana di Gioia Tauro, accusati di associazione a delinquere per lo sfruttamento della mano d’opera ed induzione all’immigrazione clandestina. Profittatori della disperazione dei braccianti stranieri, costretti a lavorare per pochi euro al giorno .
E’ l’Italia dei caporali, i boss del neoschiavismo che impongono la loro legge e fanno affari d’oro alle spalle di 60-70mila immigrati braccianti che vivono in condizioni di degrado simili a quelle riscontrate a Rosarno.
Seconda la Flai Cgil, gli immigrati irregolari impiegati in agricoltura nel meridione sfiorano il 90%. Lavorano anche dieci ore al giorno e a volte la paga non arriva a 15 €. Le percentuali migliorano al centro (50%) e al Nord (30%).
Secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, nei “luoghi della vergogna”, il 40% dei braccianti stranieri vive in edifici abbandonati e fatiscenti, oltre il 50% senza acqua potabile, il 30% senza elettricità, il 43% senza servizi igienici. I raccoglitori di verdura a cottimo hanno tra i 16 ed i 34 anni. L’80% non ha mai visto un medico.
Una nota a parte merita la provincia di Foggia, dove la raccolta dei pomodori è nelle mani del racket che paga gli immigrati 10 € al giorno.
Al Nord è l’edilizia l’altro terreno di conquista dei caporali. Qui un lavoratore su quattro lavora nel sommerso: 700.000 gli immigrati irregolari impiegati nelle imprese (in questo siamo al primo posto in Europa). Li troviamo all’alba a Milano a Piazzale Lotto o a Lambrate che chiedono una giornata in cantiere. Un manovale regolare costa 21 € all’ora, se c’è di mezzo l’intermediario è meno di metà. Il resto va al caporale. E al Nord i caporali sono sempre più egiziani, marocchini, rumeni o anche cinesi che gestiscono i loro connazionali sul lavoro e nella vita. Un altro capitolo vergognoso!
Respingimenti
Non sono bastate le leggi razziste, si sono aggiunti i respingimenti in mare nel corso dei quali migliaia di persone sono state rigettate, a rischio della loro vita, nei campi libici o nei loro paesi di provenienza, dove li attende un altro calvario.
Come missionari/e siamo testimoni che questa spinta migratoria, proveniente dall’Africa, che tenta di attraversare il Mediterraneo, è dovuta alla tormentata situazione del continente nero, in particolare dell’Africa Orientale e Centrale. La situazione di miseria, i regimi oppressivi, le guerre in atto dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ciad sospingono migliaia di persone a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Tunisia e in Libia , dove sono sfruttati come schiavi. Buona parte di questi immigrati sono rifugiati politici ed hanno diritto all’asilo politico, fra l’altro ricordato due volte nella nostra Costituzione. E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa “invasione”. E per questo il governo Berlusconi ha stipulato accordi con la Libia e con la Tunisia. Il 5 gennaio 2009 il Senato italiano ha approvato il Trattato col governo libico di Gheddafi per impedire che le cosiddette “carrette” del mare arrivino fino a Lampedusa o sulle coste italiane. Sono migliaia gli immigrati morti nel Mare Nostrum. Secondo uno studio di G. Visetti, giornalista di La Repubblica, dal 2002 al 2008 sono morti 42mila persone, trenta immigrati al giorno, ingoiati dal mare davanti alla fortezza Europa. (Senza dimenticare le migliaia di migranti che muoiono attraversando il deserto del Sahara)
Davanti a tali orrori, come si fa a firmare un Trattato con la Libia di Gheddafi, un vero dittatore, che tratta in maniera così vergognosa gli immigrati che vi arrivano? Come si fa ad armare con motovedette e tante armi (nel 2009 abbiamo venduto materiale bellico per un valore di 111 milioni di euro!), un paese che le usa contro gli immigrati? Lo stesso vale per la Tunisia, a cui nel 2009 abbiamo venduto armi per oltre 3 milioni di euro. Il 27 gennaio 2009 il ministro Maroni si è incontrato con il suo omonimo tunisino per la stessa ragione, cioè il respingimento dei migranti.
L’Italia sta ora pagando voli aerei che partono dal nostro Sud, ma anche da Malta o dalla Libia e che riportano gli immigrati nel loro paese. Vuol dire portarli alla tortura o alla morte. Basta vedersi il filmato del giornalista dell’Espresso F. Gatti, “L’amico Isaia” e “Eritrea: Voices of torture” per rendersi conto di quanto tragica sia la situazione e quanto poco cristiano ed evangelico sia il comportamento del governo italiano.
Giustamente Famiglia Cristiana ha paragonato questi respingimenti alla Shoah.
A tal proposito il prof. Antonio Esposito dell’Orientale di Napoli, nel libro A distanza d’offesa, così si esprime: “Così finiscono gli uomini e le donne che non sbarcano più a Lampedusa. Bloccati in Libia dall’accordo Roma - Tripoli e riconsegnati al deserto. Abbandonati sulla sabbia, appena oltre il confine. A volte sono obbligati a proseguire a piedi. Altre volte si perdono. Cadono a faccia in giù, sfiniti, affamati, assetati senza che nessuno trovi più i loro cadaveri (come riporta F. Gatti nell’Espresso). L’Italia, come l’Europa, prova a costruire la sua fortezza. Le immateriali mura di recinzione sono erette con le carte che fanno le leggi, sono tenute insieme dai sentimenti di indifferenza, falso disdegno e disprezzo , propri del senso comune. Restano fuori donne, uomini, vecchi, bambini, partiti inseguendo un orizzonte di dignità.”
Negazione dei diritti umani
E questi respingimenti avvengono non solo a largo delle nostre coste, ma anche nei nostri porti più importanti. Sappiamo di sicuro che nei porti di Ancona, Brindisi e Napoli sono migliaia gli immigrati che vengono respinti ogni anno. Ne abbiamo fatta esperienza diretta con i nove immigrati della nave “Vera D”, che ha attraccato a Napoli il 7 aprile 2010. L’ordine del ministro Maroni era perentorio: dovevano essere respinti!
“Questi respingimenti - ha detto Luigi Ferrajoli - all’incontro tenutosi nel 2009 a Lampedusa – sono illegali sotto più aspetti. Hanno violato, anzitutto, il diritto di asilo stabilito dall’articolo 10 (comma 3) della Costituzione per lo “straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche”, giacché le navi italiane con cui gli immigrati vengono riportati in Libia sono territorio italiano, siano esse in acque territoriali o in acque extraterritoriali. E lo hanno violato doppiamente, giacché questi disperati vengono respinti in quei lager che sono i campi libici, dove sono destinati a rimanere senza limiti di tempo e in violazione dei più elementari diritti umani.
Hanno violato, in secondo luogo, la garanzia dell’Habeas Corpus, stabilita dall’articolo 13 (comma 3) della Costituzione: questi respingimenti si sono infatti risolti in accompagnamenti coattivi, non sottoposti a nessuna convalida giudiziaria …
Infine sono state violate le convenzioni internazionali che l’Italia, nell’articolo 10 della Costituzione, si è impegnata a rispettare: l’articolo 13 della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani sulla libertà di emigrare; l’articolo 14 della stessa dichiarazione sul diritto di asilo; l’articolo 4 del Protocollo 4 della Convenzione Europea sui Diritti Umani che vieta le espulsioni collettive.”
Con questi respingimenti siamo davanti ad una massiccia violazione dei diritti umani da parte del governo italiano.
Navi Pellay, Alto Commissario per i Diritti Umani dell’ONU, incontrando al Viminale il nostro Ministro degli Interni Maroni ha detto: “Gli immigrati non sono rifiuti tossici, vanno salvati e tutelati. E’ un obbligo per le autorità preposte salvare vite umane in pericolo.”
Ed ha poi aggiunto: “Gli immigrati non devono essere stigmatizzati né criminalizzati. Piuttosto vanno creati meccanismi in grado di stimolarne l’integrazione e l’inserimento nella società. I migranti non possono venir percepiti come una minaccia alla sicurezza perché questo non fa che incrementare le paure dei cittadini”.
Anche il rapporto 2010 di Amnesty International stigmatizza l’Italia come razzista.
La tratta
Un altro aspetto dell’ immigrazione in Italia è la tratta delle donne per la prostituzione. Secondo stime attendibili, sulle strade abbiamo dalle 30 alle 50mila ragazze nigeriane vittime di questo traffico nel nostro paese. Senza parlare delle altre donne albanesi, romene, latino-americane…, che costellano le nostre strade per i nove milioni di italiani (il 70% di questi è sposato!) che comprano sesso per strada. E’ chiaro che questa tratta è il frutto di racket internazionali e mafie italiane che aggiungono sfruttamento a sfruttamento.
E anche vi sono delle responsabilità politiche ben precise .
“Come fermarli? – si chiede un missionario, padre Franco Nascimbene, che ha lavorato a lungo a Castelvolturno - è una situazione complessa, fatta da connivenze e corruzioni che solo le istituzioni, i governi e le polizie potrebbero affrontare efficacemente. Esistono già leggi che colpiscono coloro che sfruttano la prostituzione, tuttavia si ha l’impressione che manchi una decisa volontà politica di fermare la macchina infernale che produce schiavitù e distrugge il futuro di migliaia di ragazze.
• - Se le istituzioni investissero maggiormente nell’attività investigativa, impiegando più uomini a pedinare madames, sfruttatori, camorristi e mafiosi,
• - se creassero più legami con le polizie di origine delle ragazze,
• - se controllassero i flussi di denaro provenienti dalla prostituzione che escono dall’Italia attraverso la Western Union e altre agenzie ( come è stato fatto in altri campi, là dove c’era la volontà politica di fermare certe espressioni della criminalità), si potrebbe fermare o perlomeno rallentare la tratta di donne a scopo di prostituzione.
Carceri
Per quanto riguarda il tema carcerario ci preme dire che il 37.1% della popolazione carceraria è di origine straniera (24.922 su 67.452, al 21 aprile 2010) e sottolineare alcune problematiche specifiche connesse alla vita detentiva degli stranieri... per esempio difficoltà linguistiche, condizioni economiche disagiate anche a causa della lontananza delle famiglie di origine, l´assenza di una rete familiare e amicale... (Antigone,1 (2009), 25).
Pensiamo che, come missionari/e, incontriamo qui, in carcere, parte della realtà che abbiamo avuto modo di condividere altrove. Crediamo di poter offrire un contributo estremamente prezioso ed un possibile punto di riferimento dal punto di vista umano e spirituale ai/alle detenuti/e ed al personale penitenziario.
La voce profetica delle Chiese d´Africa
Ci conforta, come missionari/e, il fatto che i vescovi dell’Africa riuniti a Roma per il II Sinodo Africano (4-25 Ottobre 2009) abbiano avuto il coraggio di parlarne nei loro interventi in aula. Hanno affrontato questo argomento i vescovi: G. Martinelli (Tripoli, Libia), B. D. Souraphiel (Addis Abeba, Etiopia), W. Avenya (Makurdi, Nigeria), G. C. Palmer – Buckle (Accra, Ghana), G. ‘Leke Abegunrin (Osogbo, Nigeria) ed infine il Cardinal T. A. Sarr (Dakar, Senegal) (vedi Per un’Africa riconciliata – Memoria del II Sinodo Africano a cura di Anna Pozzi, Emi - Bologna).
“Gli africani continueranno a venire in Europa - ha detto il vescovo W. Avenya - con tutti i mezzi, anche al prezzo di morire nel deserto o per mare, finché l’equilibrio economico ed ambientale tra Africa e resto del mondo non verrà ristabilito da chi ne è responsabile e cioè dall’Occidente!”
Non meno esplicito l’arcivescovo di Addis Abeba, Souraphiel: “Spero che questo Sinodo per l’Africa sondi le cause che sono alla base del traffico di esseri umani, delle persone sfollate, dei lavoratori domestici sfruttati, dei rifugiati, dei migranti, specialmente degli africani che giungono nei barconi e dei richiedenti asilo e che sortisca posizioni e proposte concrete per mostrare al mondo che la vita degli africani è sacra e non priva di valore come invece sembra essere presentata e vista da molti media”.
Non meno pesante l’intervento del vescovo Abegunrin di Osogbo (Nigeria): “La voce profetica della Chiesa a favore dei poveri e degli oppressi non deve mai essere compromessa o sacrificata sull’altare di un’amicizia religiosa o di un tornaconto materiale.” Ed egli applica subito questo alla questione degli immigrati: “Una delle maggiori sfide che questo Sinodo dovrebbe affrontare è il destino di un gran numero di immigrati africani presenti in tutti i paesi dell’Occidente. Dall’inizio di questa crisi economica, molti paesi occidentali hanno elaborato leggi e strutture difensive a sostegno delle proprie economie. Purtroppo a questo scopo sono state varate leggi che si avvicinano molto a negare perfino i diritti umani degli immigrati. Soprattutto in Italia, l’immigrazione clandestina è diventata un reato!”
E’ toccato poi all’arcivescovo di Dakar, il cardinal Sarr, analizzare in profondità il fenomeno degli immigrati: “Vorrei sottolineare il carattere rivelatore del fenomeno della migrazione clandestina. L’avventura così rischiosa dei migranti clandestini è un vero e proprio grido di disperazione, che proclama di fronte al mondo la gravità delle loro frustrazioni ed il loro desiderio ardente di maggiore benessere. Percepiamo noi questo grido di disperazione e lo lasciamo penetrare nel nostro cuore tanto da cercare di capirne il senso e la portata?” E il cardinale conclude: “Sappiamo bene, infatti, che non sono le barriere della polizia, per quanto possono essere invalicabili, ad arrestare la migrazione clandestina, bensì la riduzione effettiva della povertà otterremo la promozione di uno sviluppo economico e sociale che si estenda alle masse popolari del nostro paese.”
E’ stato infine l’arcivescovo di Accra, Palmer - Buckle, a esprimere in un intervento pesante il “sentire” dei vescovi africani al Sinodo attaccando le tendenze xenofobe presenti in Europa che “considerano gli africani come se non avessero diritti.”
E con molta ironia ha concluso: “Come fate voi europei a parlare di diritti umani universali?”
Ci impegnamo
Anche nell´ambito del fenomeno migratorio noi missionari/e ci proponiamo una lettura piena di fede e di speranza perché, al di là dei risvolti drammatici che spesso accompagnano le storie dei migranti, i loro volti e le loro vicende portano il sigillo della storia di salvezza e della teologia dei “segni dei tempi”.
La Chiesa difatti intende affermare la cultura del rispetto, dell´uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali... esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello ´status´ di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all´espulsione dei migranti.
La presenza dei migranti in mezzo a noi ci ricorda che, dal punto di vista biblico, libertà e benessere sono doni e come tali possono essere mantenuti solo se condivisi con chi ne è privo. I fondamenti del rispetto e dell´accoglienza dei migranti sono contenuti, per noi credenti, nella Parola di Dio (Vegliò, o. c.).
Per questo
• Invitati dai documenti del magistero vogliamo imparare a leggere le migrazioni come ´ un segno dei tempi´, per la Chiesa e la Società.
• Facciamo nostre le affermazioni dei Vescovi africani del II Sinodo dell´Africa (Roma 5-24 ottobre 2099).
• Stiamo dalla parte degli immigrati, la nostra è una scelta di campo: la scelta degli ultimi.
• Crediamo che non sia sufficiente denunciare. Come Istituti Missionari, inseriti nelle Chiese Locali, siamo chiamati ad agire mettendo a disposizione personale adatto ed il supporto di strutture adeguate per un lavoro con gli immigrati, privilegiando il lavoro congiunto con la commissione Migrantes a livello nazionale e locale.
• Sollecitiamo la CEI a redigere un documento che, oltre la denuncia della deriva culturale rispetto al tema migratorio, offra gli opportuni orientamenti alle comunità cristiane.
Noi missionari/e crediamo fermamente, come diceva il grande vescovo-martire di Oran (Algeria) Pierre Claverie, che non c’è umanità se non al plurale.
Conferenza degli Istituti Missionari Italiani (CIMI)
Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato della CIMI.
fonte
lunedì 5 luglio 2010
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