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martedì 21 maggio 2013

I 10 Paesi più razzisti del mondo


I 10 Paesi più razzisti del mondo

La maglia nera va ad Hong Kong, mentre i più tolleranti sono gli Usa, la Gran Bretagna e il Canada. L'Italia classificata come Paese non razzista

I 10 Paesi più razzisti del mondo
Atene. Migliaia di immigrati manifestano contro il razzismo (Credits: Epa/Alkis Konstantinidis)
di Anna Mazzone
La mappa dei razzisti nel mondo regala qualche sorpresa. Secondo i risultati della ricerca World Value Survey , condotta tra il 1981 e il 2008 da un gruppo di studiosi olandesi su 87 paesidel mondo con interviste a più di 256 mila persone, il razzismo si annida persino nel cuore del Vecchio Continente, in Francia, e raggiunge i massimi livelli nelle ex colonie britanniche, dall'India a Hong Kong.
I paesi storicamente più razzisti (come Giappone e Sudafrica) si sono invece rivelati tra i più tolleranti della classifica, che vede all'ultimo posto, e quindi campione di tolleranza, gli Stati Uniti, il Canada e la Gran Bretagna. Ma è veramente così? In molti sostengono che i cittadini del Regno Unito e quelli americani e canadesi, bombardati dalle imposizioni del politically correct, alla fin fine non se la siano sentiti di rispondere in maniera sincera alle domande su chi preferirebbero come vicino di casa. Mentre più schiette sono state le risposte provenienti dall'emisfero orientale del mondo. E l'Italia come si colloca? Vediamo Paese per Paese qual è il termometro del razzismo del mondo.
Mappa dei Paesi più razzisti del mondo
Mappa dei paesi più razzisti del mondo secondo World Value Survey (Credits: Max Fisher/Washington Post)
1. Hong Kong. All'ex colonia britannica in territorio cinese va la maglia nera del paese più "intollerante" del pianeta. Il 71.8 per cento degli intervistati ha dichiarato che rifiuterebbe di vivere vicino a persone di "una razza differente" da quella della propria famiglia.
2. Bangladesh. Subito dopo l'ex colonia britannica in territorio cinese, i più razzisti sono gli abitanti del Bangladesh. Il 71.7 per cento non vuole avere rapporti con gente di "razze" diverse dalla propria.
3. Giordania. Terzo classificato è il piccolo regno di Giordania, dove i razzisti si attestano al 51.4 per cento. Basti pensare che la Giordania è meta di migliaia di palestinesi che raggiungono il Regno per poter studiare e lavorare, ma - nonostante siano apparentemente integrati nella società - non possono frequentare determinati corsi di laurea (come medicina e fisica), non possono diventare insegnanti e non possono acquistare beni immobili (case e terreni).
4. India. Chiude il gruppo dei fab four dell'intolleranza l'elefante indiano, con il 43.5 per cento di tasso di razzismo. In questo caso, il fattore culturale è determinante e la struttura castale della società, con sanzioni molto dure per chi entra in contatto con individui "impuri", determina una ferrea gerarchia razzista che affonda le sue radici nella notte dei tempi e che per questo motivo è molto difficile da scardinare. 
5. Egitto. Il paese delle Piramidi è tra i più razzisti del continente africano, assieme alla Nigeria. Il tasso di intervistati che si rifiuta di stare vicino a razze diverse si aggira tra il 30 e il 39.9 per cento. Nonostante l'ampio numero di immigrati dai paesi del sud-est asiatico che in Egitto (come in Nigeria) offrono le proprie capacità professionali per diversi generi di attività, il razzismo dei pronipoti dei faraoni sembra non essersi minimamente attenuato. I razzisti d'Egitto sono in compagnia della medesima percentuale in Arabia Saudita, Iran, Vietnam, Indonesia e Corea del Sud.
6. Algeria e Marocco. Un gradino sotto l'Egitto troviamo altri due Paesi dell'Africa del Nord, in cui il tasso di razzismo si attesta tra il 20 e il 29.9 per cento. La storia di Algeria e Marocco indubbiamente segna le risposte degli intervistati. Il Marocco, in quanto Regno, tende a essere strutturalmente chiuso alle etnie provenienti da altri Paesi e l'Algeria, straziata da lunghi anni di guerra, oggi rappresenta un caleidoscopio identitario, nel quale ogni comunità tende a non mescolarsi pur di preservare la propria esistenza.
7. Francia. A sorpresa Parigi si attesta tra i Paesi europei dove il razzismo si fa maggiormente sentire. Secondo i dati di World Value Survey, il 22.7 per cento dei francesi si augura di non avere un vicino di casa di "razza diversa". La Francia rientra così nel gruppo di quei Paesi con tasso di razzismo tra il 20 e il 29.9 per cento, in compagnia di Turchia, Bulgaria, Mali, Zambia, Thailandia, Filippine e Malesia.
8. Italia. Nel nostro Paese il tasso di razzisti oscilla tra il 10 e il 14.4 per cento. Una percentuale minima, che colloca l'Italia sul fondo della classifica mondiale sul razzismo come Paese sostanzialmente tollerante. In compagnia di Roma troviamo la Finlandia e poi Polonia, Ucraina, Grecia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Poco più razzisti del gruppo dell'Italia solo Il Venezuela, la Russia e la Cina, con un tasso di intolleranza tra il 15 e il 19.9 per cento.
9. Germania e Giappone. Sono i capifila del gruppo dei penultimi in classifica, in compagnia di Cile, Perù, Messico, Spagna, Belgio, Bielorussia, Croazia, Pakistan e Sudafrica. A Tokyo e Berlino il tasso di risposte razziste si attesta tra il 5 e il 9.9 per cento, nonostante tutte le ricerche condotte precedentemente avessero evidenziato soprattutto in Giappone la tendenza a un razzismo di base, non solo verso l'esterno (Cina e Coree), ma anche verso l'interno, nei confronti dei giapponesi con la pelle più o meno scura.
10. Stati Uniti e Gran Bretagna. Sono i paesi meno razzisti del mondo, assieme a Canada, Brasile, Argentina, Colombia, Guatemala, Svezia, Norvegia, Lettonia, Australia e Nuova Zelanda. Il loro tasso di intolleranza è tra lo 0 e il 4.9 per cento. Cifre definite "fisiologiche" dai ricercatori olandesi, che evidenziano come i Paesi del "nuovo Continente" (le Americhe), eccezion fatta per il Venezuela, tendono a essere largamente tolleranti nei confronti delle etnie diverse e si aggiudicano la palma di luoghi meno razzisti del mondo.

venerdì 19 settembre 2008

IMMIGRATI IN FRANCIA

La proprietà: sistemeremo tutti

Occupato il «ristorante dei re»
In sala siedono solo i lavapiatti

Alla alla «Tour d'Argent» di Parigi la simbolica protesta contro il lavoro irregolare

(Ap)
(Ap)
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI — Persino il più famoso ristorante
di Parigi impiega immigrati irregolari. Non è un'accusa, ma un fatto, denunciato da una quarantina di «sans papiers» che hanno organizzato mercoledì sera un'occupazione simbolica della «Tour d'Argent», il celebre tempio della gastronomia, dove si gusta (e si paga come «argent ») l'anatra numerata per ogni cliente. Fra essi, alcuni dipendenti del locale — a quanto pare sette lavapiatti impiegati da diversi anni — e altri clandestini che si sono uniti alla protesta per solidarietà. In sostanza, autodenunciandosi, i lavoratori sperano in una regolarizzazione. «Lavoro qui da nove mesi, cinque giorni su sette, dalle 10 alle 19, per 1.200 euro al mese, pago persino i contributi sociali a mio carico e potrei essere espulso dalla Francia dall'oggi al domani», dice Mediba, un giovane del Mali, seduto con i suoi compagni di lavoro sulle sedie in raso dei lussuosi saloni della «Tour». Per evitare danni eccessivi all'immagine del locale — i clienti ieri sono entrati da una porta secondaria — la direzione ha immediatamente reagito. Fabrice Rollo, responsabile delle risorse umane, ha dichiarato di non essere al corrente della presenza di lavoratori clandestini, ma si è impegnato ad avviare subito le procedure burocratiche per la regolarizzazione

«È una buona notizia, ma restiamo vigili», ha detto il rappresentante della Cgt, il sindacato che ha avviato da tempo la battaglia in difesa dei sans papiers, in particolare nei settori della ristorazione e dei servizi. Nella giornata di ieri, su ordine della direzione, i clandestini sono stati costretti a lasciare il ristorante. Ne sarebbe nato qualche parapiglia fra impiegati regolari, addetti alla sicurezza e al servizio e sans papiers. Alcuni hanno sporto denuncia per violenza. «Anche la Tour d'Argent dovrà rispondere alla giustizia e rispettare i diritti dei lavoratori», ha fatto sapere la Cgt, che intende rivolgersi alla magistratura. Nei mesi scorsi, altri famosi ristoranti e ritrovi parigini sono stati occupati per denunciare un fenomeno che — comprendendo imprese di pulizie, fast food e bar — riguarderebbe migliaia di persone. In alcuni casi, come avvenuto la primavera scorsa al Bistro Romain, una nota brasserie sugli Champs-Elysées, i proprietari del ristorante hanno dichiarato di essere solidali con i lavoratori in sciopero e di aver depositato presso la prefettura di Parigi i dossier di regolarizzazione. Ma si è scoperto che almeno una settantina di impiegati erano irregolari. Di fronte al giro di vita imposto dal governo, che negli ultimi mesi ha intensificato controlli ed espulsioni, l'autodenuncia dei camerieri e la solidarietà dei datori di lavoro può sembrare un risvolto grottesco e paradossale del problema, ma in sostanza conferma la scarsa sintonia fra misure di carattere politico e la realtà sociale ed economica di attività produttive (servizi, ristorazione, servizi alla persona) che non potrebbero funzionare a regime senza l'apporto di lavoratori stranieri. Il primo maggio scorso, per la prima volta migliaia di sans papiers sono sfilati in testa al corteo assieme ai lavoratori regolari. Negli ambienti del ministero dell'Immigrazione si ritiene che la solidarietà dei datori di lavoro e la pubblicità data all'avvio delle pratiche di regolarizzazione sia in qualche caso un modo per tirare una riga sulle irregolarità del passato, ma nello stesso tempo si è deciso di ampliare le possibilità di regolarizzazione, pur sottoponendo le richieste ad un esame caso per caso dei dossier. Dall'inizio del movimento, su circa 1.700 domande, più di 900 sono state accolte. E la regolarizzazione alimenta d'altra parte la speranza di nuove possibilità. Proprio ieri, alcune imprese di pulizia e artigianato sono state bloccate dallo sciopero di dipendenti irregolari, mentre proteste e astensioni dal lavoro si segnalano in alcune aziende editoriali. Il sindacato, come dice Raymond Chauveau della Cgt, non chiede sanatorie generalizzate, ma regole uguali su tutto il territorio nazionale. «Oggi si hanno differenze di trattamento da una prefettura all'altra o da un'azienda all'altra». A quanto pare, anche da un ristorante all'altro, come alla Tour d'Argent: anatre numerate e lavapiatti senza documenti.

http://www.corriere.it/esteri/08_settembre_19/sans_papier_ristorante_re_nava_f38a819c-860d-11dd-bef9-00144f02aabc.shtml

Massimo Nava
19 settembre 2008



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