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venerdì 30 agosto 2013

"Specialist of the 64" banned from public transport

"Specialist of the 64" banned from public transport

29.08.2013

A notorious pickpocket known as the "Specialist of the 64" – in reference to his preference for targeting tourists on Rome's 64 bus – has been banned from travelling on public transport in all Italian cities.

In spite of being arrested multiple times over the last 20 years the serial pickpocket, originally from Puglia in southern Italy, continued to remove wallets from unsuspecting tourists on the 64, a normally crowded bus that travels from Termini train station to the Vatican and is synonymous with pickpockets.

After police caught the 57-year old thief in the act for the umpteenth time – relieving an American tourist of a wallet near Largo Argentina – the courts decided to take decisive action to end the pickpocket's "career", barring him from public transport and confining him to within four blocks of his home between 06.00 and 17.00 every day.

The "specialist" was one of five pickpockets arrested by undercover police aboard the capital's buses and trams on 27 August. The other thieves included an Algerian, a Macedonian and an Italian male and female double-act.

Earlier this month the 64 was identified by the British government in a safety guide for tourists coming to Rome. The British Consul David Broomfield warned "Visitors to Italy and especially to Rome should be aware of the high risk of personal theft, bag snatching, pick pocketing, that is endemic on public transport and at main tourist attractions in Rome."

The travel alert was rejected by Rome's mayor Ignazio Marino who responded "The incidence of petty crime in several European and American cities is much higher than in Rome. The capital is complex like many big cities but it is hospitable."
http://www.wantedinrome.com/news/2002526/specialist-of-the-64-banned-from-public-transport.html

martedì 1 maggio 2012

Borseggiatori in azione, 6 arresti

Roma - Ponte del 1^ maggio: arrestati 6 borseggiatori in poche ore

Comando Provinciale di Roma

30/04/2012 Ore 13:55
Nelle ultime ore 6 sono i manolesta arrestati dai Carabinieri del Gruppo di Roma colti a mettere le mani nelle tasche e nelle borse di cittadini e turisti in visita nella Capitale, in occasione del ponte del 1° maggio. Si tratta di cittadini stranieri per lo più dell'est europeo, di età compresa tra i 29 e i 47 anni e già noti alle Forze dell'Ordine. La prima a finire in manette è stata una cittadina bosniaca di 29 anni, appartenente a campo nomadi di via Aurelia, arrestata dai Carabinieri della Stazione Roma San Lorenzo in Lucina sorpresa all'interno di un vagone della linea "A" della metropolitana all'altezza della fermata "Spagna" dopo aver sfilato il portafogli ad un turista tedesco. Poco dopo è stata la volta di due cittadini algerini, rispettivamente di 36 e 41 anni, fermati dai militari della stazione di Roma Vittorio Veneto subito dopo aver sfilato un i-phone ad un turista che viaggiava a bordo di un bus della Capitale. Una 36enne ed un 39enne, entrambi cittadini romeni e nella capitale senza fissa dimora sono stati arrestati dai Carabinieri della Stazione Roma Vittorio Veneto che li hanno sorpresi a bordo di un bus all'altezza del Colosseo dopo aver rubato il portafogli ad un turista polacco. Il protagonista dell'ultimo episodio è stato un cittadino romeno di 32 anni, arrestato sempre dai Carabinieri della Stazione Roma Vittorio Veneto che l'hanno sorpreso dopo aver alleggerito del portafogli un turista americano all'interno di un vagone della linea "A" della metropolitana, all'altezza della fermata "Repubblica". I 6 borseggiatori arrestati sono a disposizione dell'Autorità Giudiziaria in attesa del rito direttissimo e dovranno rispondere di furto aggravato mentre la refurtiva recuperata dai Carabinieri è stata restituita ai turisti.
http://www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/Informazioni/ComunicatiStampa/2012/Aprile/20120430_135500.htm

mercoledì 23 febbraio 2011

Le due giornate di Napoli

Le due giornate di Napoli

Due continenti uniti da uno scopo: contrastare i fenomeni criminali comuni che ne mettono in pericolo la sicurezza. Questo il tema principale della prima conferenza che vede Europa e Africa a confronto

«Noi non abbiamo bisogno di interpreti per capirci, perché parliamo la stessa lingua: quella della polizia». Con queste parole il capo della Polizia Antonio Manganelli ha voluto concludere il suo discorso di apertura della Conferenza Euro-africana, svoltasi a Napoli l’8 e il 9 di febbraio.
Una due giorni all’ombra del Vesuvio, che ha visto la presenza di delegati delle polizie di 68 Paesi (quasi 300 partecipanti tra europei e africani) e di 11 organizzazioni internazionali, tutti riuniti con un solo scopo: rafforzare la collaborazione tra gli organismi di polizia dei due continenti.
È stata un’occasione unica di confronto tra due mondi, apparentemente distanti, ma profondamente uniti nella comune sfida che mette in pericolo la loro sicurezza.

Un percorso che parte da lontano, da quel settembre dello scorso anno quando il capo della Polizia e il segretario generale dell’Interpol Ronald Noble, decisero, in occasione di un incontro a Bruxelles, di ritrovarsi in una conferenza che mettesse seduti attorno allo stesso tavolo Paesi europei e africani.
Quarantotto ore, dunque, possono sembrare poche per affrontare problemi fondamentali che affliggono un’area così vasta come quella africana e che, per forza di cose, si ripercuotono sul Vecchio continente, ma sono solamente un punto di partenza.

Una conferenza, dunque, non fine a sé stessa, come ha sottolineato più volte Manganelli; non un incontro fatto solo di parole e buoni propositi per il futuro, ma di fatti concreti. E a dimostrazione di questo la presenza delle delegazioni di ben 44 Paesi africani (su un totale di 53) e di 24 altre Nazioni (Europa su tutte) per discutere delle problematiche che affliggono il continente nero e che si ripercuotono su tutto il resto del globo. Immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, traffico di stupefacenti e terrorismo sono stati gli argomenti su cui sono ruotate le due giornate napoletane.
Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo rispetto a un normale meeting internazionale sulla sicurezza, ma non è così. Dopo una prima giornata in cui si sono alternati i vari oratori sul palco della sala conferenze dell’hotel Royal Continental di Napoli, e in cui sono stati esposti i “buoni propositi”, il secondo giorno ha segnato la vera e propria novità in fatto di conferenze di questo genere: l’istituzione di quattro tavoli di discussione, sotto l’egida della presidenza italiana, sugli argomenti di cui sopra e ai quali hanno partecipato i delegati delle polizie africane, insieme a europei, asiatici e americani.
Quattro tavoli, dunque, che non esauriscono la loro funzione al termine del summit chiudendo i lavori semplicemente stilando un rapporto finale pieno di buone intenzioni, ma quattro vere e proprie commissioni permanenti che si riuniranno più volte nei mesi a venire per fare il punto della situazione sulle problematiche affrontate.

«I fenomeni che trattiamo in questa conferenza – ha continuato Manganelli – offendono i nostri Paesi e soltanto con un’azione congiunta possono essere contenuti o, addirittura, debellati. Sono spesso connessi fra loro e molte volte favoriti dall’instabilità interna politico-sociale, dalla povertà e dalla disperazione». Argomento quanto mai attuale quello affrontato dal capo della Polizia, alla luce degli ultimi avvenimenti che stanno sconvolgendo il Nord Africa e che, nella prima metà di febbraio, hanno portato di nuovo allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini sulle nostre coste.
«Dobbiamo pensare – ha proseguito Manganelli – a quello che noi forze di polizia possiamo fare. È necessaria una forte azione congiunta per fare del nostro stare insieme il valore aggiunto della nostra lotta». E in quest’ottica l’Italia, infatti, ha concluso importanti accordi bilaterali con altre Nazioni. L’ultimo proprio durante i giorni del summit napoletano con Sudafrica, Gibuti e Sudan per fronteggiare i fenomeni criminali legati all’immigrazione clandestina. «Nel realizzare questi accordi – ha detto il capo della Polizia – abbiamo individuato ogni volta cinque obiettivi che ritengo siano di primaria importanza: lo scambio tempestivo di informazioni, l’avvio di investigazioni congiunte, la predisposizione di corsi di formazione per gli operatori nei diversi campi d’azione, l’assistenza tecnica con la fornitura di mezzi e lo scambio reciproco di funzionari. Una collaborazione in cui sono fondamentali anche altri organismi come, nel caso specifico del fenomeno migratorio, di Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, ndr)».
Collaborazione è dunque la parola d’ordine, il principio fondamentale perché continenti profondamente diversi tra loro possano trovare un’intesa nella lotta comune a fenomeni che provocano allarme sociale, come il terrorismo. «Attualmente – ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni – la nuova minaccia è quella del cosiddetto “terrorismo in franchising”, ossia quella portata da persone che non vengono più addestrate nei campi di Al Qaeda, ma che vivono nei nostri Paesi e che, spesso, ne hanno anche la cittadinanza». Gli homegrown terrorist, i terroristi fai-da-te, non sono direttamente collegati alla rete del terrore internazionale, ma sono in grado di attivarsi autonomamente. E sono anche i più pericolosi, in quanto più difficili da individuare e, quindi, da neutralizzare. In loro aiuto accorre Internet, su cui si documentano sui principi del fondamentalismo religioso e su cui trovano le “istruzioni&rdqquo; per le loro azioni. E proprio il “Cyberspazio quale nuova piattaforma per la radicalizzazione: esperienze a confronto” è stato l’argomento portante del tavolo dedicato al terrorismo internazionale del summit napoletano. «Internet – ha detto il capo della Polizia – garantisce l’anonimato rendendo più facile il contatto tra gli appartenenti a cellule eversive e, non avendo il cyberspazio confini geografici e fisici, rende più difficili le investigazioni». Importanti accordi sono stati raggiunti anche in questo campo, a latere della conferenza, tra i Paesi e le organizzazioni che hanno preso parte alla tavola rotonda dedicata (tra cui l’Ncis, il Servizio investigativo della Marina statunitense), puntando soprattutto sul rafforzamento delle relazioni sinergiche nel settore del monitoraggio della Rete.
Ma anche il traffico degli stupefacenti e quello ancor più odioso degli esseri umani, sono stati tra gli argomenti che hanno animato il vertice partenopeo.
I trafficanti di droga, dopo il rafforzamento dei controlli nel Nord-Ovest del continente africano, si sono aperti nuove vie, grazie anche alla particolare orografia delle coste africane che, per propria conformazione, risultano difficilmente controllabili. Il tavolo dedicato al narcotraffico ha analizzato in profondità il fenomeno, anche alla luce delle previsioni sulle “nuove vie” della droga, come quella dedicata alla cocaina che si sta aprendo nella regione Sud del continente o quella del Corno d’Africa e dei Paesi che si affacciano sull’oceano Indiano per quanto riguarda l’eroina; e ancora ha individuato l’Africa come futuro epicentro per la produzione di droghe sintetiche. Eroina, cocaina, pasticche tutte destinate al mercato europeo. Favorire la creazione di un flusso informativo che possa dare una conoscenza approfondita e aggiornata della situazione, cercare di standardizzare i sistemi e i linguaggi comunicativi, pianificare attività progettuali comuni e cercare di armonizzare le normative sono i punti fondamentali su cui si sono trovati di comune accordo i partecipanti.
Ma un altro tipo di traffico che purtroppo oggi è una triste realtà, è quello degli esseri umani, dei “nuovi schiavi” del nostro secolo. «Sono ormai provati – ha detto Antonio Manganelli – i contatti tra le nostre organizzazioni criminali e quelle di Turchia, Grecia, Egitto e di cellule di altri Paesi. Noi abbiamo condiviso questo nostro sapere e stiamo combattendo il fenomeno anche attraverso accordi bilaterali. Questa è la strada da seguire». E su questi argomenti si sono confrontati i Paesi che hanno preso parte alla tavola rotonda sul fenomeno, arrivando alla conclusione di rendere “permanente” il tavolo, dandosi appuntamento tra sei mesi con una nuova convocazione per poter fare il punto delllla situazione.

Traffico di droga, nuovi schiavi e immigrazione clandestina sono tutti fenomeni in mano a quella criminalità organizzata transnazionale che, come ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, «è il nuovo nemico da combattere che inquina le economie ed erode istituzioni e democrazia. Gli Stati deboli sono più esposti alle infiltrazioni di questa criminalità, che li utilizza come base per la propria attività e li condiziona, o rischia di farlo, ricorrendo sistematicamente a corruzione e violenza. Senza dimenticare che ormai sono provate le sinergie tra terrorismo e criminalità organizzata transnazionale». E a confermare le parole del ministro, si aggiungono anche quelle del capo della Polizia: «L’obiettivo vero è quello di aggredire le ricchezze delle organizzazioni criminali per impoverirle. Dobbiamo riprenderci quel che ci hanno rubato e che, anche attraverso lo spaccio di droga, è costata la vita di molti dei nostri figli».
Dunque, una vera e propria lotta senza confini quella che attende il futuro delle polizie europee e africane, spesso non aiutate da una legislazione disomogenea tra Stato e Stato. «Parlare di armonizzazione di queste legislazioni – ha osservato Manganelli – equivale a fare un esercizio accademico di buone intenzioni. Tutti sappiamo che non è possibile arrivare a un’unica legislazione tra Paesi che hanno tradizioni, culture, obiettivi e princìpi non sempre comuni. Questo deve essere il nostro sforzo: dialogare e lavorare insieme armonizzando ciò che non è armonizzabile; dobbiamo compensare con le nostre tecniche investigative comuni, parlando la stessa lingua, con la voglia di raggiungere lo stesso obiettivo, leggendo insieme quel che i nostri ordinamenti non leggono allo stesso modo».
Un obiettivo comune del quale la conferenza di Napoli è solo il punto di partenza.



La lunga via verso l’Euro-africana
Napoli, Hotel Royal Continental. È qui che sono presenti quasi tutti i capi della Polizia dei Paesi africani seduti vicino ai loro colleghi europei, ai rappresentanti delle Istituzioni comunitarie e alle maggiori organizzazioni internazionali impegnate per la sicurezza mondiale. Obiettivo principale il contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani che, come ha sottolineato il ministro dell’Interno Roberto Maroni in occasione della presentazione del progetto Across Sahara II (realizzato per sviluppare la collaborazione regionale e le capacità istituzionali nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione, foto in basso a sinistra), richiedono una risposta globale: «Bisogna capire, e far capire, che nell’epoca della globalizzazione il problema migratorio è un problema dei Paesi del Nord-Europa non meno di qi quanto lo sia per l’Italia o la Grecia. Per questo le dimensioni della sfida richiedono risposte globali in termini di condivisione delle responsabilità tra i Paesi europei e di cooperazione con i Paesi di origine e di transito, di collaborazione in ambito multilaterale e con le Organizzazioni internazionali, anche sul versante di programmi di sviluppo e stabilizzazione. Da come e da quanto, nel prossimo futuro, riusciremo a tradurre in pratica l’impegno a rafforzare la capacità dei Paesi terzi di controllare i flussi dell’immigrazione illegale dipenderà in buona parte il benessere delle nostre società, l’integrazione in esse degli immigrati regolari e, più in generale, la sicurezza dei nostri cittadini e di coloro che accogliamo». E pensare che alcuni dei Paesi africani qui rappresentati hanno accordi bilaterali in materia di sicurezza solo con il nostro Paese all’interno dell’Ue. Altri, invece, non sono in buoni rapporti tra loro. Per questo era difficile averli tutti intorno allo stesso tavolo, per questo era importante. L’idea è stata annunciata dal capo della Polizia in occasione del Simposio Eu – Interpol (foto in basso a destra), realizzato per fare il punto sulla cooperazione tra le polizie europee e quelle dei Paesi dell’Africa Occidentale, tenutosi a Bruxelles il 30 settembre scorso. Organizzare una conferenza, quella euro-africana, in Italia, per addivenire alla costituzione di gruppi di lavoro permanenti chiamati a pianificare e a realizzare concrete iniziative operative di polizie europee e africane, per lottare contro le organizzazioni criminali che sfruttano i “nuovi schiavi” e condurre congiuntamente operazioni di polizia per prevenire il fenomeno. Durante l’incontro il prefetto Manganelli ha proposto l’Italia come leader del partenariato di polizia Europa-Africa nella lotta al terrorismo, ai traffici illeciti e al traffico degli esseri umani. Molta strada è stata percorsa per raggiungere questo obiettivo. Una strada fatta di accordi: politici, operativi, bilaterali e multilaterali. Come quello firmato con la Nigeria e coordinato dall’Interpol (foto a destra), per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il traffico degli esseri umani, che ha portato alcuni poliziotti nigeriani, dopo corsi di formazione, a lavorare spalla a spalla con i colleghi italiani in aeroporti internazionali, porti, e in alcune città. O quello sottoscritto con l’Algeria, anch’esso per rafforzare la collaborazione in materia di immigrazione, che ha permesso di incrementare sensibilmente lo scambio di informazioni e di esperienze tra la polizia italiana e algerina. Tra gli accordi più importanti vanno menzionati quelli realizzati con la finalità di contrastare, già alla loro origine, i flussi di immigrazione clandestina verso l’Italia; le intese con il GhanGhana e il Niger. Come ha spiegato il ministro dell’Interno: «Abbiamo accordi bilaterali ottimi con i Paesi mediterranei dell’Africa, nella fascia che va dal Marocco all’Egitto, ma si tratta spesso di paesi di transito dei flussi clandestini che in realtà originano dagli stati a sud del Sahara. Ecco perché vogliamo allargare a quell’area la fascia di sicurezza non solo per quanto riguarda l’immigrazione, ma anche per il contrasto al terrorismo e al traffico di droga». L’ importanza di queste intese è stata ribadita dal prefetto Manganelli: «Stiamo facendo accordi con tutti i Paesi dell’area. Si tratta di paesi “produttori” di clandestini e vogliamo contrastare questi flussi. È anche un modo per fare lotta al terrorismo perché i paesi islamizzati conoscono il fenomeno del fanatismo e c’è il pericolo che l’immigrazione clandestina possa costituire un veicolo per l’ingresso in Italia di terroristi». Raggiungere il giusto equilibrio tra politica di accoglienza e integrazione da un lato e rigore nei confronti dell’immigrazione clandestina che spesso alimenta altre forme di criminalità. Questo è il difficile banco di prova davanti al quale tutti i Paesi europei dovranno misurarsi.
Mauro Valeri
http://www.poliziadistato.it/poliziamoderna/articolo.php?cod_art=2175
 

domenica 3 ottobre 2010

Agguato a Belpietro! un altro inside job come quello del Berluska?


LA BUGIA E LA CONTRADDIZIONE DI BELPIETRO “Ho sentito 3 colpi di pistola e ho capito che era successo qualche cosa. Ho chiamato la scorta in sostanza l’agente che mi ha accompagnato scendendo le scale fumando una sigaretta, si è trovato davanti un uomo armato che senza dire nulla gli ha puntato la pistola e gli ha sparato… l’arma si è bloccata…”

Ricapitoliamo i fatti partendo da una presunta bugia secondo cui Maurizio Belpietro sarebbe stato bersaglio di un omicida armato di pistola alle 22 di giovedì 30 settembre a casa sua, al quinto piano di un palazzo del centro di Milano.

L’indomani, a Mattino 5, attorno alle 10, Belpietro rivela che il suo agente ha sparato 3 colpi di pistola in risposta a un colpo partito dall’arma dello sconosciuto incrociato per le scale. La grande bugia del direttore di Libero raccontata in tivù da Paolo Del Debbio è confermata dalla perizia della Digos sul luogo della sparatoria, che ha accertato 3 colpi di pistola partiti tutti dall’arma dell’agente della sua scorta, finiti su un battiscopa in marmo, lungo il corrimano e su una vetrata del terzo piano.

La bugia di Belpietro raccontata 11 ore dopo il fattaccio in tivù non può reggere nemmeno a un lapsus, visto che avrebbe dovuto accertarla col suo agente subito dopo il fattaccio. Il dettaglio non è da poco perché a questo punto è lecito chiedersi perché quell’agente abbia dovuto sparare 3 colpi di arma da fuoco contro qualcuno che non ha sparato, da cui non ha subito violenza o rapina, ma soltanto perché avrebbe sceso velocemente le scale del condominio. Messa così l’agente della scorta di Belpietro rischia l’accusa di tentato omicidio, sempre che il presunto malcapitato omicida esca allo scoperto dichiarando di essere fuggito dai colpi di pistola impazziti di un agente.

Allo stato dei fatti è più lecito chiedersi se non sia per la conseguenza degli spari dell’agente che il malcapitato se la sia data a gambe. Del resto non sarebbe la prima volta che un improvviso mal di pancia costringa una veloce corsa lungo le scale verso un bagno o dietro qualche cespuglio. E’ pur vero che non si ha notizia di tracce di deiezioni nel cortile del palazzo di Belpietro, ma nemmeno una foglia pare essersi mossa dalla siepe del cortile confinante che dà su via Borgonuovo, unica via di fuga possibile per il presunto omicida fuggiasco.

Alla luce dei fatti fin qui appurati non c’è traccia di umanità che abbia voluto sparare a Belpietro armato di pistola (giocattolo che si usa solo per i colpi in banca non certo per commettere omicidi) tantomeno del suo presunto inceppamento. Tutti da dimostrare per il presunto omicida, sfuggito a ben 3 colpi di un agente che ha fornito un dettagliato identikit degno più da colpo di fulmine culminato con bacio alla francese che da fortuito e concitato incontro-scontro a suon di pallottole. L’agente della scorta di Belpietro ha descritto i connotati del presunto omicida con zigomi marcati, labbro superiore carnoso e sporgente, capelli a ciuffo e occhi con grandi pupille. Dettagli strani da cogliere in un contesto così, lungo le scale con poca luce e in pochi attimi, come strano è che un omicida armato intenda compiere un delitto al quinto piano di un palazzo la sera tardi, senza prevedere che l’allarme provocato al vicinato dei 4 piani sottostanti dal rumore degli spari avrebbe messo a rischio la sua fuga.

Strano pure che un omicida sia così ingenuo di vagare per le scale con la pistola in vista proprio davanti alla scorta del suo presunto bersaglio già lontano. Com’è strano che la cieca voglia di ammazzare Belpietro induca il presunto omicida a risparmiare la vita della scorta. Ammazzarli tutti e 3 (compreso il secondo agente rimasto in auto ad aspettare) al momento della sosta davanti la casa di Belpietro o all’ingresso dell’androne del palazzo, avrebbe comportato il rischio dell’omicidio plurimo che non sarebbe stato molto più pesante dell’omicidio premeditato, ma avrebbe garantito meno rischi e maggiori possibilità di fuga al malintenzionato.

Insomma è troppo strano che il presunto omicida punti l’arma proprio contro l’agente già lontano dal vero presunto obiettivo del delitto (Belpietro) senza sparare. Com’è strano che un presunto omicida rischi così tanto per così poco: Maurizio Belpietro. Dal quale sarebbe lecito aspettarsi un editoriale in prima pagina in cui spiega (date alla mano) che da quando governa il suo finanziatore Berlusconi, in Italia stragi ed attentati sono diventati per fortuna uno spiacevole e lontano ricordo. Se non avesse tempo di scriverlo lo dica a Del Debbio. Sia mai che decida di invitare a Mattino 5 la famiglia Falcone, Borsellino o i parenti della bimba morta nell’attentato di via Georgofili. Per quell’episodio il presidente del consiglio è indagato per strage assieme a Dell’Utri. Mi sembra sia una notizia assai più consistente della fin qui bufala sull’attentato a Belpietro.

banner7 300x88 Belpietro raccontala a qualcun altro

http://informarexresistere.fr/belpietro-raccontala-a-qualcun-altro

martedì 1 giugno 2010

Dopo lo stupro, anche la beffa: lei è espulsa, salvi i carnefici

Dopo lo stupro, anche la beffa: lei è espulsa, salvi i carnefici


Scritto da supmod2 Città Giu 1, 2010 La testimone non c’è più. La ragazza nigeriana teste chiave nel processo che dovrebbe incastrare alle loro responsabilità cinque romeni accusati di stupri, violenze e d’essere gli spietati aguzzini di prostitute di colore, sembra svanita nel nulla. O, più verosimilmente, rimpatriata perché clandestina nel nostro Paese, vittima di una retata, stando a ciò che raccontano alcune sue amiche, nel corso della quale la donna non sarebbe stata in grado di spiegare la sua posizione, ne di esibire la documentazione relativa ai «motivi di giustizia che le imponevano la permanenza in Italia».

Nel novembre scorso la giovane era stata selvaggiamente picchiata dalla gang di violentatori che l’avevano stuprata a turno. La prostituta aveva però trovato la forza e il coraggio di rivolgersi ai carabinieri di Rivoli (il fatto delittuoso era avvenuto nelle campagne di Pianezza) che avevano avviato le indagini.

A seguito di queste, dopo mesi di appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, i militari avevano tratto in arresto tutti i componenti della banda. Cinque immigrati insospettabili, tutti con un lavoro, una casa e una famiglia. Un gruppo che si trasformava in una pericolosa gang ogni sabato sera quando si davano alle scorribande notturne che avevano come obbiettivo le giovani prostitute. Dopo le violenze, le povere ragazze venivano messe in posa, come se fossero state crocifisse; a turno gli aguzzini le prendevano per i capelli e, nelle istantanee, apparivamo come sinistri trofei vittime di tortura. A ribellarsi e denunciare la banda, anche un’altra prostituta che, a questo punto, resta l’unica a poter incastrare definitivamente i violentatori. Le due donne, però, hanno continuato a fare per mesi la vita di sempre, non avendo accettato l’accoglienza in comunità protetta.
Parlando della teste scomparsa, un’amica che divide con lei una stanza in città, ha raccontato: «Si trovava per caso a Porta Nuova ed è stata pizzicata in una retata, poi è andata al Cie e, infine, è stata rimpatriata». Complessa la verifica della circostanza da parte delle forze dell’ordine che sospettano che la donna abbia fornito, una volta fermata, un nome falso. Ma c’è anche un’altra ipotesi. La ragazza si sarebbe nascosta perché terrorizzata da quella che potrebbe essere una vendetta dei complici degli aguzzini che lei ha accusato.
FONTE
bardesono@cronacaqui.it

domenica 6 dicembre 2009

Voglio i miei soldi": ucciso

                   Voglio i miei soldi": ucciso

La vittima Ibrahim M'Bodi e il luogo dove è stato trovato



Biella, senegalese litiga col datore
di lavoro. Colpito con 9 coltellate
PAOLA GUABELLO
BIELLA
Non voleva pagargli gli arretrati, gli aveva perfino detto d’iscriversi al registro degli artigiani per sbarazzarsi di lui come dipendente. Ma Ibrahim M’Bodi, senegalese con regolare permesso di soggiorno, fratello di Adam, segretario della Fiom-Cgil a Biella, non era d’accordo e soprattutto voleva i soldi che gli spettavano di diritto. Così è scoppiata la lite, poi uno dei due ha estratto un coltello: M’Bodi, 35 anni, è morto ammazzato da nove coltellate.

Ha confessato subito Michele D’Onofrio. Davanti ai carabinieri, dopo un breve interrogatorio, non ce l’ha fatta a reggere la pressione e ha parlato. Artigiano residente a Zumaglia, centro del Biellese di mille abitanti dove abitava anche la vittima, era esperto di arti marziali. «Lui ha tirato fuori il coltello e allora ho reagito, un momento di follia», ha detto agli inquirenti. Sul corpo del senegalese è stata eseguita l'autopsia, nei prossimi giorni si saprà l’esito. Dal referto del medico legale dovrebbe uscire l'ora in cui è avvenuta la morte, che dovrebbe risalire a un paio di giorni prima del ritrovamento del cadavere, e i punti in cui sono state inferte le nove coltellate: se solo davanti o anche sulla schiena, e se sono presenti lesioni da difesa. Dettagli fondamentali per i vcapi d’imputazione.

Ibrahim M’Bodi era stato trovato senza vita mercoledì mattina nel canale di scolo di una risaia a Ghislarengo, nel Vercellese, lungo la strada provinciale che collega il paese a Rovasenda. Una distesa di campi tagliata da stradine sterrate e fossati che col favore delle tenebre aveva inghiottito il corpo dell’africano fino a quando un acquaiolo che passava di lì, verso mezzogiorno, lo aveva notato dando l’allarme.

Il cadavere era stato ripulito dal sangue. L’assassino andava di fretta e soprattutto voleva agire indisturbato e senza destare sospetti: si è liberato così della sua vittima, imboccando una stradina che parte dalla provinciale e che si perde tra le risaie addentrandosi per un centinaio di metri. Un disperato tentativo di ritardare il ritrovamento oppure di depistare le indagini. Senza nome

Per diverse ore la salma è rimasta all’obitorio di Vercelli senza un nome: l’ucciso non aveva documenti, solo dalle impronte digitali i carabinieri sono riusciti a dargli un’identità. «Il mio cliente si è dimostrato collaborativo con gli inquirenti - spiega l'avvocato Alessio Ioppa di Borgosesia che ha assunto la difesa di D’Onofrio assieme al collega Massimo Mussato di Vercelli - e in effetti potremmo dire che ha per certi versi confessato. Di più non posso anticipare, in quanto le indagini sono ancora in corso».

In queste ore gli investigatori stanno cercando di ricostruire la vicenda. Sarà di estrema importanza, ai fini di comprendere il movente del delitto, ritrovare e analizzare il coltello, soprattutto per ciò che riguarda le impronte digitali. L'omicidio sarebbe avvenuto nel Biellese e l'ipotesi appare confermata anche dal fatto che, a breve, il fascicolo verrà trasmesso dalla procura di Vercelli ai colleghi di Biella. Intanto le organizzazioni sindacali hanno indetto un presidio mercoledì prossimo davanti alla prefettura di Biella, dalle 11 alle 12, perchè «l’omicidio di Ibrahim da parte del suo datore di lavoro non può passare sotto silenzio. Fatti di inaudita gravità come questo rientrano in un clima generale di imbarbarimento dei rapporti sociali, con la possibile aggravante dell'odio razziale».
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cronache/200912articoli/50063girata.asp

sabato 19 settembre 2009

Strage di Castel Volturno, l'inchiesta Il boss: "Uccidete anche le donne"

E in una lettera Setola intimò ai magistrati: "Scarcerate mia moglie"

Giuseppe SetolaIl terrore mafioso aveva quell´unico movente, «sottomettere la comunità dei neri, ormai dovevano capire». E un chiaro piano esecutivo. «L´ordine di Giuseppe Setola era: "Uccidete tutti quelli che trovate là. Se ci sono le donne, anche le donne"», ha raccontato l´assassino pentito Oreste Spagnuolo. «Difatti per noi era indifferente colpire uno o l´altro. E ci eravamo attrezzati per ucciderne molti di più. Dovevamo fingerci carabinieri, indossare le pettorine, fare una perquisizione in quel locale, attendere che si calmassero le acque e poi ucciderli tutti. La disposizione era che tutti quanti noi dovevamo sparare. E non doveva rimanere nessun testimone».Andò così. Per caso non c´erano anche le donne.


Un anno dopo, ecco le istruzioni complete degli stragisti di Castel Volturno. Legge dei casalesi, la mafia che non distingue gli africani. Un lavoratore vale quanto un bandito, muoiano uno sull´altro, mentre i sicari colpiscono alla cieca e abbattono un sarto, due clienti operai, due manovali, un loro amico che passava. L´obiettivo viene centrato oltre ogni delirio criminale, in quel 18 settembre 2008. Al chilometro 43 della Statale Domitiana, dentro e fuori la sartoria "Ob Ob Exotic Fashion", cadono infatti sei uomini.


Tutti innocenti, si può confermare oggi sulla scorta degli approfondimenti giudiziari e a dispetto di quanti - persino ministri in carica - li bollarono come «spacciatori».Sono i sei cittadini ghanesi uccisi dalle sventagliate di kalashnikov, mitragliette e pistole, centrotrenta colpi. È un anno, domani. Un tempo che la giustizia non ha fatto passare invano: il mandante e cinque esecutori della clamorosa azione di sangue sono già alla sbarra, dopo la complessa istruttoria firmata dai pm Alessandro Milita e Cesare Sirignano, con il coordinamento del procuratore antimafia Federico Cafiero de Raho. Oltre al boss Setola, i killer Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia, Davide Granato, Antonio Alluce. Tra due mesi comincia il processo. E dalle mille pagine dell´inchiesta emergono per la prima volta anche velate minacce contenute in alcune lettere del padrino Setola, messaggi inviati a pubblici ministeri e giudici.

sabato 25 aprile 2009

SFRUTTATORI

GHISALBA DENUNCIATI DA DUE LUCCIOLE, ERANO STATI ARRESTATI A LUGLIO DELL'ANNO SCORSO. IERI IL RITO ABBREVIATO

Condanne fino a dieci anni per un gruppo di sfruttatori nigeriani

2009-04-24
— GHISALBA —
ADESCAVANO giovanissime ragazze nigeriane con la promessa di un lavoro in Italia, poi le costringevano a prostituirsi lungo la strada provinciale "Francesca" a Ghisalba, nella Bassa Bergamasca, a suon di botte, violenze sessuali e minacciando di sottoporre i loro familiari in Nigeria a riti "voodoo", la pratica religiosa diffusa nei Paesi africani e utilizzata dalle organizzazioni criminali per sottomettere le loro vittime. Due giovani lucciole avevano avuto però il coraggio di denunciare alla polizia gli sfruttatori e, nel luglio dell'anno scorso, dopo oltre un anno di indagini, erano scattate cinque ordinanze di custodia cautelare in carcere. Ieri mattina il procedimento è approdato davanti al gup Alberto Viti: l'udienza preliminare si è conclusa con due condanne con il rito abbreviato (sconto di un terzo sulla pena), un patteggiamento e due rinvii a giudizio. In abbreviato sono stati condannati Florence Aibangbee, 28 anni, detta Jennifer, ritenuta dagli inquirenti la "mente" del gruppo di sfruttatori, alla quale sono stati inflitti 10 anni di carcere, e il suo compagno Frank Tommy Eribo, 32 anni, operaio con regolare permesso di soggiorno, condannato a 7 anni e 4 mesi di reclusione.

HA INVECE PATTEGGIATO una condanna a 8 mesi (pena sospesa) F. E., accusata di aver aiutato Florence Aibangbee a mettersi in regola attraverso un matrimonio di comodo con un bergamasco. Il gup ha infine rinviato a giudizio i due indagati che non avevano chiesto il rito alternativo: una giovane nigeriana che aveva il compito di sorvegliare in casa le prostitute (tuttora latitante) e l'uomo che si era prestato al matrimonio di comodo con Jennifer. Il processo a loro carico inizierà il 13 ottobre. Le indagini della Squadra Mobile erano partite nel gennaio 2007, dopo la denuncia di una delle vittime, allora 17enne: la ragazza era fuggita ai suoi aguzzini chiedendo aiuto a una pattuglia della polizia locale di passaggio e, dopo un periodo in una comunità protetta, aveva raccontato tutto in questura. Dopo la prima vittima, una seconda ragazza minorenne aveva sporto denuncia e altre quattro giovani avevano fornito elementi utili alle indagini. Il primo a finire in manette era stato Frank Eribo, poi era toccato a Florence, che dopo l'arresto del compagno si era rifugiata in Spagna, a Murcia, da dove era stata estradata in Italia. M.A.
original news

martedì 14 aprile 2009

Un altro vile episodio di razzismo

L'AGGRESSIONE LUNEDì NOTTE A TOR BELLA MONACA

«Hai una macchina troppo vecchia»Lo picchiano e gli fanno perdere un occhio
La vittima è un 30enne senegalese colpito da due italiani
Prima lo ha preso in giro perché guidava una vecchia auto, secondo lui un modello fuori moda. Poi lo ha colpito con una bottiglia al capo fino a romperla, accompagnando l'aggressione con insulti razzisti. Vittima dell'ultimo episodio di xenofobia fra Tor Bella Monaca e Casilino è stato lunedì notte un cittadino senegalese di 30 anni ora ricoverato in prognosi riservata in ospedale. L'uomo, curato dai medici del Policlinico di Tor Vergata, perde la vista da un occhio per i colpi ricevuti dall'aggressore, B.M., 20 anni, pregiudicato, arrestato dai carabinieri nella sua abitazione sempre a Tor Bella Monaca. Il giovane è accusato di lesioni gravissime, aggravate dall'odio razziale. Per lo stesso reato è stato denunciato un suo amico sedicenne, che ha partecipato all'aggressione.
L'AGGRESSIONE - Il senegalese è stato affrontato dai due fuori da un bar di via Casilina. Erano le due di notte. Spalleggiato dal minorenne e anche da altri giovani, B.M. ha iniziato a prendere in giro il trentenne. Alla reazione della vittima ne è nato un violento litigio, al culmine del quale il ragazzo ha afferrato una bottiglia e si è avventato sull'altro colpendolo più volte. Proprio in quel momento è intervenuto un avventore del bar che ha cercato di proteggere il senegalese ma il suo tentativo è fallito. Dopo la fuga dell'aggressore e dei suoi complici, la vittima ha chiesto aiuto ai carabinieri. Più tardi gli investigatori della compagnia di Frascati e della stazione di Tor Bella Monaca hanno rintracciato B.M. a casa dove, nel corso di una perquisizione, è stata sequestrata anche la sua maglietta ancora sporca di sangue. Il ventenne è stato condotto nel carcere di Regina Coeli.
L'AGGRAVANTE - Al 20enne arrestato anche l'aggravante dell'odio razziale. L'aggressione, infatti, fanno notare i carabinieri della compagnia di Frascati, è stata preceduta da vari insulti tra cui «negro di m...». Le lesioni personali gravissime, contestate per la lesione permanente a una funzione vitale, in questo caso la vista, sono state aggravate, perché oltre all'uso della bottiglia l'aggressore ha ingiuriato l'uomo con frasi razziste. Il pregiudicato rischia, spiegano gli investigatori, dai sei ai 12 anni di carcere. L'aggravante farà salire la pena.

Rinaldo Frignani14 aprile 2009
dal Corriere della Sera on Line
commento:
chi gli ridarà l'occho?

domenica 29 marzo 2009

Se un romeno ubriaco avesse investito un italiano,sarebbe finito in prima pagina

Investe e uccide 16enne a Ottaviano:arrestato pirata della strada 19enne



Ascoli Piceno, ubriaco e senza patente investe diciottenne e fugge: arrestatoNAPOLI (29 marzo) - Un romeno di 16 anni mentre stava percorrendo via Vecchia Sarno ad Ottaviano, in provincia di Napoli, a bordo del proprio ciclomotore è stato investito e ucciso da un automobilista che poi si è dato alla fuga con la sua Fiat Stilo. Test negativi. Il ragazzo è morto sul colpo mentre l'investitore sotto choc si è poi recato in ospedale a Sarno. Lì è stato rintracciato dalle forze dell'ordine che lo hanno arrestato, dopo i test per la ricerca di sostanze stupefacenti o alcoliche nel sangue, che hanno dato esito negativo. Si tratta di un giovane di 19 anni, di Palma Campana (Napoli), condotto in carcere con l'accusa di omicidio colposo ed omissione di soccorso.




Una tragedia taciuta per 6 giorni

Roma, pakistano in fin di vita dopo un pestaggio: forse un raid razzista


di Luca Lippera
ROMA (29 marzo) - «Chi siete? Ma che volete?». Mohammad Basharat, 35 anni, un negoziante pakistano, non capiva. Cinque giovani italiani mai visti e conosciuti capelli corti, orecchini, berrettini da baseball lo stavano tirando fuori a forza da un furgone fermo a un semaforo a Tor Bella Monaca e di sicuro non era un film. Un pugno devastante al volto gli ha spiegato in una frazione di secondo che c’era una caccia in corso e che c’era anche una preda: volevano lui, gli sconosciuti, e se non proprio lui la carnagione scura, i capelli dardeggianti come gli occhi, la faccia inconfondibile da straniero. È crollato a terra svenuto, Mohammad, e poi si è ripreso. Un’illusione: l’immigrato, colpito da «una vasta emorragia cerebrale», è crollato dopo poche ore: è stato operato al cervello e ora lotta per la vita nel Reparto Rianimazione del Policlinico “Casilino”.L’aggressione è avvenuta lunedì scorso nel primo pomeriggio. Ma fino a ieri era stata taciuta. La polizia ritiene «molto plausibile» l’ipotesi di un raid «a sfondo xenofobo» anche se «alla vittima non sono state rivolte espressioni esplicitamente razziste». Il commissariato “Casilino Nuovo”, che segue le indagini, ha trasmesso gli atti alla Squadra Mobile. I teppisti, tutti giovani intorno a vent’anni, non sono stati rintracciati. I carabinieri, sempre ieri, hanno arrestato a Tor Bella Monaca alcuni ragazzi con l’accusa di aver pestato «senza motivo» un bengalese. Le modalità sembrano simili all’assalto contro il pakistano. Si sta cercando di capire se i gruppuscoli fossero collegati. Mesi fa quattro adolescenti, sempre nella zona, assalirono un cinese alla fermata del bus, dopodiché toccò a un altro bengalese.C’è anche una tragedia nella tragedia. La moglie del pakistano, Karunasekera, del Bangladesh, era incinta di tre mesi. Era. Lo stress le è stato fatale. Venerdì la donna ha perso il bambino. «Mohammad è peggiorato nelle ultime ore racconta Faruk Tabassum, 42 anni, interprete, un connazionale amico di famiglia della vittima La Tac non va bene. Siamo pronti al peggio. È stata una cosa incredibile e non è bello che finora nessuno ne abbia parlato. Lunedì tra le tre e le quattro Mohammad era fermo alla guida del suo Fiat “Ducato” con un amico al fianco. Erano stati a fare la spesa al supermercato “Pewex” di Tor Bella Monaca e stavano lì vicino. Quelli sono arrivati all’improvviso e l’hanno tirato fuori. Lui non capiva. Poi c’è stato il pugno».Il pakistano, in Italia da dieci anni, ha un negozio di alimentari a Torre Angela. L’amico che era con lui nel furgone si chiama Naziq ed è coetaneo. È stato uno degli automobilisti italiani che seguivano il “Ducato” a dare l’allarme chiamando il “113”. «Hanno visto tutto continua Faruk Tabassum Mohammad, quando è arrivata la polizia, era a terra. Lì per lì, per paura di ritorsioni, ha detto di essersi sentito male. Ma in ospedale, prima di perdere conoscenza, ha raccontato tutto: gli agenti ormai avevano sentito i testimoni». Basharat era stato trattenuto in Osservazione al “Policlinico Casilino”. «Martedì mattina aggiunge l’amico i medici si sono resi conto che si stava “paralizzando”. Non rispondeva più. Hanno chiamato di corsa la moglie per farsi autorizzare a operarlo. Il pugno gli ha provocato un’emorragia cerebrale: una cosa incredibile». A Tor Bella Monaca, periferia est, storie che si ripetono, qualcosa che sta accadendo
Dal Messaggero on line

sabato 21 febbraio 2009

NIGERIAN POLICE IN ITALY FROM NEXT WEEK

Sicurezza, Manganelli a Modena: 'la ricetta è quella partecipata'
Inserito il 20-02-2009 ~ 17:00 da Redazione

Modena - ''La sicurezza partecipata è l'unica ricetta possibile oggi, io la chiamo sicurezza civica''. A dirlo è stato il capo della Polizia, Antonio Manganelli, durante un convegno a Modena sui sistemi di videosorveglianza. ''L'obiettivo della tranquillità sociale - ha spiegato - si può realizzare attraverso la partecipazione del cittadino allo svolgersi della vita sociale. Dobbiamo cercare di fare squadra''.


Manganelli ha sottolineato la necessità di fare squadra tra le varie forze dell'ordine ''nel rispetto ciascuna dei propri ruoli'', mentre non ha mai citato la parola 'ronde' la cui introduzione è prevista nel decreto legge anti-stupri in discussione al Consiglio dei ministri, parlando al contrario di collaborazione con ''associazioni di categoria, di volontariato".
"Pensiamo - ha aggiunto - al campo dell'antiracket'', che da tempo ''viene affrontato in modo forte e deciso dalle associazioni per la lotta contro il racket''.
Infine, sempre riferendosi alla lotta al 'pizzo': ''Il commerciante da solo ha paura, ma quello che si associa, in virtù della collaborazione con il parternariato tra forze di Polizia e associazioni, è più forte''.

Dalla prossima settimana accanto ai poliziotti italiani ci sarà una rappresentanza di colleghi nigeriani, oltre a quelli tunisini, già arrivati in Italia, per svolgere compiti legati all'identificazione dei clandestini. In più, da metà marzo dovrebbe cominciare il pattugliamento delle coste libiche. Ha annunciato Manganelli, nella sua relazione alla Fondazione Marco Biagi.
''L'altro ieri sono stato in Nigeria a completare un accordo importante - ha spiegato - Dalla prossima settimana ci saranno poliziotti nigeriani in Italia che favoriranno l'identificazione, la regolarizzazione o il trasferimento in patria degli irregolari''. Altri dalla Tunisia, ha aggiunto, sono già arrivati per effetto di un accordo simile completato due settimane fa. Inoltre, ha continuato Manganelli, ''speriamo dalla metà di marzo di far partire un pattugliamento misto sottocosta, con la Libia''.

FONTE
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lunedì 26 gennaio 2009

Caccia allo straniero

Repubblica on line 26/01/2009
Le aggressioni sono state compiute da una ventina di giovani che si sono staccati da una manifestazione di protesta organizzata da Forza Nuova
Guidonia, raid razzisti dopo corteoDue arresti, aggrediti nove stranieri
Le vittime sono cinque albanesi e quattro romeni. Gli italiani arrestati hanno rispettivamente 21 e 24 anni. Al commissariato identificate una ventina di persone
La protesta degli abitanti di Guidonia
ROMA - Due ragazzi sono stati arrestati e una ventina identificati dal commissariato di Tivoli per un'aggressione razzista avvenuta ieri sera ai danni di cinque albanesi in un bar a Guidonia, il paese alle porte di Roma dove nella notte tra giovedì e venerdì una ragazza è stata violentata e il fidanzato picchiato con ogni probabilità da stranieri dell'est Europa. I due giovani Fabio P., di 21 anni, e Vincenzo P., di 24 anni, entrambi residente a Collefiorito di Guidonia (Roma), sono stati arrestati per tentata rapina, lesioni personali, minaccia, danneggiamento con l'aggravante di aver agito per fini razziali. Oltre a questa, ci sono state altre due aggressioni a sfondo razzista: le vittime negli altri due casi sono stati quattro romeni. I tre episodi sono collegati alla manifestazione di Forza Nuova che si è tenuta ieri a Guidonia, hanno spiegato gli investigatori. Una ventina di manifestanti si sono allontanati dal corteo di Forza Nuova, esortando gli altri a seguirli in quanto aveva saputo che erano stati presi i cinque stranieri che avevano violentato la ragazza a Guidonia e che quindi 'bisognava fare qualcosa'. La polizia ha tentato di fermarli, ma i venti giovani sono riusciti a scappare nelle strade vicine a quella principale percorsa dal corteo. Secondo la polizia, successivamente sono state compiute "azioni aggressive e violente in danno di cittadini stranieri, perpetrate presumibilmente da alcuni manifestanti che in modo scientifico si allontanavano dal corteo". Nel primo caso tre romeni venivano aggrediti e picchiati da giovani italiani, mentre questi si trovavano all'interno del bar "Stefanelli" in via Maremmana Inferiore a Villanova di Guidonia. Il secondo caso riguarda un romeno, aggredito e picchiato da giovani italiani, mentre questi stava attraversando la strada di viale Roma a Guidonia. Il terzo è avvenuto all'interno del bar 'Centrale', in piazza Carlo Alberto Dalla Chiesa, dove si erano rifugiati cinque albanesi per scampare all'aggressione.
Le aggressioni sono avvenute a colpi di mazze da baseball, bastoni, aste di bandiere, manici di scopa, ma anche sedie prese dal bar, al grido di "andatevene via, tornate al vostro Paese, vi ammazziamo". Una decina di mazze sono state sequestrate. Quando la polizia è arrivata, molti erano scappati, mentre una ventina sono stati fermati fuori il locale. Gli agenti entrando nel bar Centrale hanno trovato il locale devastato e dentro uno stanzino, con tanto di porta blindata che aveva resistito agli attacchi degli aggressori, i 5 albanesi e la proprietaria del bar.
(25 gennaio 2009)

E' necessario trovare un modo per fermare questa violenza, se non si fa niente sembrerebbe giustificata ed accettata.
Bisogna controllare che le persone che aggreddiscono rimangano in carcere, e che la loro pena sia esemplare.
Simona Andreoli

venerdì 21 novembre 2008

SESSO SENZA CONDOM

Sesso senza condom, prostitute si fanno pagare anche il quadruplo

Disposti a pagare fino a quattro volte in più pur di non usare il preservativo. E' così, per tirare su qualche soldo, che molte prostitute immigrate arrivano sane in Italia, ma finiscono per ammalarsi poi, quando arrivano sulla strada per vendere il loro corpo. 'Fate' straniere e non solo.
Anche tra le italiane dedite al mestiere "inizia a diffondersi questo pericoloso trend", spiega Tullio Prestileo, infettivologo degli Ospedali Casa del sole di Palermo, presidente di Anlaids Sicilia. "Chi le manda in strada, sfruttandole - spiega Prestileo - detrae il 60-70% di quello che queste donne guadagnano vendendosi. Così a loro non resta che qualche spicciolo.

In barba al 'magnaccia' di turno, dunque, molte di loro sono disposte anche a fare sesso senza preservativo, pur di intascare qualche soldo in più". E così alcune finiscono per contrarre l'Hiv. "Nel 2000 - spiega l'infettivologo - abbiamo sottoposto al test 260 prostitute nigeriane tra i 18 e i 21 anni, con appena 6 mesi di prostituzione alle spalle: nessuna è risultata sieropositiva. Dopo cinque anni esatti abbiamo rifatto il test a 36 di loro, ben 3 avevano contratto il virus. Quasi tutte ci hanno confermato questo 'escamotage': la rinuncia al preservativo pur di arrivare a fine mese".

FONTE

domenica 19 ottobre 2008

Le notizie in Italia

I NUOVI ITALIANI di Corrado Giustiniani
Se lo zingaro è innocente, allora non c'è notizia
pubblicato il 16-10-2008 alle 20:40
Il 20 maggio scorso, a Catania, una coppia rom è stata arrestata vicino a un supermercato, con l'accusa di tentato rapimento di una bimba di tre anni. Dopo quattro mesi di galera, (sì, quattro mesi di galera, quanto è durato il processo per direttissima) i giudici li hanno prosciolti. Era tutto falso. Ma giornali e tv hanno snobbato la notizia, mentre avevano dato con grande enfasi quella del tentato rapimento. Non è una novità: anche quando un ubriaco al volante uccide un passante, il colonnaggio del titolo, o addirittura l'esistenza stessa dell'articolo, dipendono dalla nazionalità dell'omicida: ce ne siamo già occupati.Ho deciso quindi di ripubblicare il bell'articolo di Filippo Facci, apparso ieri sulla prima pagina de “Il Giornale" (che un omonimo lettore ci ha rispedito), sia perché è l'unico che abbia riccostruito il caso, sia perché non è così frequente leggere pezzi così spiccatamente anti-razzisti sul quotidiano milanese. Ma sarebbe bene richiamare alla mente altri recentissimi esempi, se non di amnesia, quanto meno di sottovalutazione della notizia: ricordate il pacchetto sicurezza che prevedeva l'arresto per i clandestini, e l'espulsione dei comunitari senza fissa dimora (leggi i rom)? Marcia indietro, niente carcere, l'Unione europea non vuole, ci sarà solo una multa. E niente espulsioni dei comunitari. Su queste due misure tutti avevano fatto grandi titoli di apertura. Ieri Maroni ne ha malinconicamente annunciato il declino: ma non c'è un quotidiano che oggi vi abbia dato rilievo di prima pagina. Così, cadrà piano piano nel dimenticatoio anche l'inattuabile mozione sulle “classi ponte” riservate solo ai bambini immigrati. Se arrivano quattro nuovi alunni stranieri nella scuola di un paese, che non masticano l'italiano, che facciamo: una classe soltanto per loro? Con quali soldi, con quali insegnanti? Il bisogno di sostegno c'è, e forte, ma non è certo questa la soluzione.Ecco dunque l'articolo di Filippo Facci, dalla prima pagina del “Giornale” di ieri, 15 ottobre. Titolo: Il razzismo c'è. Sulla carta

domenica 5 ottobre 2008

Bonsu ricoverato in ospedale

Bonsu ricoverato in ospedale
Una donna: "Ho visto tutto"

Sarà operato nel reparto di chirurgia maxillo-facciale. E spunta una testimone: "Pugni e calci nei fianchi"
Emmanuel Bonsu è stato ricoverato in ospedale, dove subirà un piccolo intervento nel reparto di chirurgia maxillo-facciale. Lo comunica l'avvocato Giandomenico Piparo, legale insieme ad Azzini della famiglia del 22enne ghanese che ha denunciato di essere stato aggredito e insultato dai vigili. Negli ultimi giorni la ferita all'occhio del ragazzo è peggiorata, causandogli un forte dolore nella parte sinistra del volto e problemi di equilibrio.

"Lo hanno picchiato"
Ci sarebbe una testimone oculare di almeno una parte di ciò che è accaduto a Parma alcuni giorni fa, il 29 settembre, quando Emmanuel ha accusato i vigili urbani di averlo insultato e picchiato. Il racconto della donna sarà proposto domani nel corso della trasmissione di Raitre ''Chi l'ha visto?'' condotta da Federica Sciarelli, in onda alle 21. ''Ho sentito urlare. C'era quel ragazzo per terra, con quattro uomini e una donna che lo tenevano per non farlo muovere. Uno di quel gruppo - è il racconto della donna - gli ha dato un calcio nel fianco, e lui ha urlato''. ''La scena era molto forte, e io ero scossa. Ho visto poi che lo portavano via, e uno degli uomini saliva sulla sua bicicletta. Il ragazzo ha urlato: "Perchè mi portate via la bicicletta?". E uno del gruppo gli ha dato un altro pugno nel fianco e gli ha detto: "Stai zitto''

Le comunità scrivono al sindaco
Intanto, nel giorno della manifestazione anti-razzista che sabato pomeriggio è partita da piazza Garibaldi fino ad arrivare al parco ex Eridania per esprimere solidarietà a Emmanuel, le comunità parmigiane di Senegal, Costa d'Avorio, Nigeria, Burkina Faso, Camerun ed Eritrea, in apertura dell'Ottobre africano hanno firmato una lettera aperta al sindaco Pietro Vignali.

"Oggi doveva essere una festa - scrivono - ma possiamo veramente festeggiare quando, come dice il padre di Emmanuel, 'Abbiamo paura'? Gli eventi degli ultimi giorni ci pongono delle domande e noi cerchiamo delle risposte. Cosa è cambiato? Cosa direma la sera quando tornando a casa vedremo i nostri figli che ci guardano con il sorriso chiedendoci. 'Papà, come stai'?". E poi. "Adesso abbiamo tutti paura. abbiamo messo sulle braccia la fascia nera e bianca per dire che siamo con tutti quelli che hano paura, bianchi o neri che siano. La nostra città, città di cultura, lo è non solo per il Festival della poesia, per il Festival Verdi, ma crediamo anche per il Festival Ottobre africano. Forse è arrivato il momento di parlare di sicurezza, immigrazione, cultura".
(05 ottobre 2008)


martedì 23 settembre 2008

Una strage di lavoratori... Enrico Pugliese

CAMORRA
Una strage di lavoratori
Enrico Pugliese

L'assassinio per mano della camorra di sei immigrati a Castelvolturno e le successive manifestazioni hanno dato la stura a tutti i luoghi comuni sulla situazione degli immigrati, sul loro ruolo e la loro condizione in quell'area ricca devastata del litorale di Napoli e Caserta, teatro della strage. Comincerei da qualche punto fermo. Non si è trattato - sembra ormai assodato - di un regolamento di conti. Questo è invece quel che si è detto subito, quello che in tutti gli ambienti di destra (e in larghi ambienti di sinistra) si è pensato e si continua irresponsabilmente a scrivere.

Come ha ben mostrato ieri su La Repubblica Giuseppe D'Avanzo che pure non esclude che per uno o due ci possa essere stato un qualche coinvolgimento in minori attività di spaccio - l'indifferenza per le orribili condizioni di sfruttamento, la mancanza di rispetto della vita umana, condita dal disprezzo di stampo razzista per questa gente, hanno reso possibile quella situazione talché non dovrebbe destare meraviglia il fatto che una banda di camorristi possa «pensare di fare una strage di neri solo per ammazzarne uno». Alla domanda retorica su quanto valga un nero la risposta di D'Avanzo è «niente». E perciò davvero non c'è da scandalizzarsi «se duecento di questi niente hanno gridato per il pomeriggio la loro rabbia». Basterebbe la lettura dell'editoriale di D'Avanzo, oltre che la buona inchiesta a caldo del manifesto , e chiudere il discorso qui, se non ci fosse una invasione di luoghi comuni anti-immigrati negli organi di informazione anche quelli più seri. E allora è necessario ancora qualche ulteriore chiarimento. Così, ad esempio, la tesi del regolamento dei conti è fatta propria dal vescovo di Capua in una ineffabile intervista su La Stampa . Il prelato ci informa del fatto che trattasi di un regolamento di conti anche se «è difficile dire di che natura esso sia». Ma su altre cose il prelato non ha dubbi. Si tratta di nigeriani che rappresentano il nucleo più consistente, a suo avviso, «del litorale domizio da Ischitella a Pescopagano». E in molti hanno parlato di nigeriani, per poi scoprire che tra le vittime della strage non ce ne erano. Ma qualche responsabilità - ci informa il prelato (e non è il solo) - i nigeriani ce l'hanno, eccome: «I nigeriani sono gente intelligente ma dedita piuttosto alla droga e alla prostituzione». L'affermazione è grossa e l'intervistatore cerca di dare una possibilità di chiarimento al vescovo. Ma non c'è nulla da fare: «Sono solo loro a darsi alla droga e alla prostituzione». Amen. Dopo queste gravi affermazioni e tanto allarmismo il vescovo ci spiega che gli immigrati - esclusi i cattivi di cui sopra - «partono alle cinque del mattino dai casolari dell'entroterra dove abitano in quattro in una stanza e vanno a cercare lavoro nelle piazze dei paesi». E Guido Ruotolo nella pagina accanto ci illustra il come si tratta di lavoratori e fornisce informazioni sulle loro condizioni di vita e di lavoro. Insomma i messaggi - su La Stampa come su altri giornali - appaiono largamente contraddittori. Comunque, l'impressione che resta al lettore o al telespettatore alla fine di tutto è quella di una situazione orribile, dove però orribili sono anche gli immigrati, come dimostrano le violenze alle quali essi si sono dati. E le violenze sarebbero state appunto un indicatore del fatto - che innocenti o no - si trattava di gentaglia. I nemici degli immigrati - quelli che predicano contro l'immigrazione clandestina (come se in Italia ce ne fosse mai stata altra) - comunicano che, se non c'è controllo, questi poveri disperati finiscono per ingrossare le fila della criminalità organizzata. In questo caso si è visto però che le vittime ingrossavano solo le fila del lavoro nero. E il lavoro nero c'è nelle aziende dei padroni, dei camorristi orrendamente sfruttatori e dei padroni non camorristi parimenti sfruttatori. Ma perché quegli immigrati stanno lì per quei lavori e in quelle condizioni? Ce lo spiega un po' proprio il prelato di cui sopra. «Il territorio è stato devastato, le paludi bonificate durante il fascismo sono diventate discariche abusive» e così via di seguito. Io ci andrei un po' più piano. La bonifica (comprensoriale e aziendale) - prima, durante e dopo il fascismo - ha cambiato il volto agricolo di quelle che una volta erano le terre dei Mazzoni. La nuova agricoltura intensiva ortofrutticola in terre una volta poco abitate richiede mano d'opera che deve venire per forza dall'esterno (prima i caporali la portavano da altre zone della Campania). La mano d'opera straniera migrante (con i suoi disperati bisogni) è quella più adeguata perché più flessibile e meno costosa. Proprio come nella ricca agricoltura della California che ha braccianti più poveri dei nostri. Perciò a Castelvolturno o a Villa Literno o a Casal di Principe troviamo i ganesi, gli ivoriani, oltre a qualche nord africano, i nigeriani e tutti gli altri lavoratori a giornata. Poi c'è anche la camorra, le discariche abusive e quant'altro. Ma quella è un'altra storia. La povera gente che è stata uccisa - gli immigrati del Ghana, del Togo etc. - era da noi per lavorare punto e basta. E se - fatto grave e disperante - se la prende generalmente con i bianchi. La cosa deve fare ulteriormente pensare: si sta creando un solco gravissimo che si può colmare solo con la solidarietà e che invece si allarga con i pregiudizi.

domenica 21 settembre 2008

"THE NIGERIAN MAFIA...........?"

The recent happenings in Castelvolturno (massacre of 7 Africans) by people suspected to be members of the CAMORRA (the Naples mafia) has seen fingers being pointed to the CASALESSI family. In this havoc there are many things that people in the Nigerian community in Italy may be worrying about.

The first report that hit the press was of the killing of 6 Nigerians by the mafia because of non payment of drug royalties. The killings had every indication that would make anyone point to an organized group like the Camorra; hundreds of bullets form automatic Kalashnikovs by 6 people on 'fake' police jackets and cars……….

Later in the day the news came out clearer and the identities of those killed were known; 4 Ghanaians, a Togolese, and a Liberian. There was no Nigerian involved. The poor Africans were all working in their textile and tailoring shop where they sew and mend cloths for Italians and foreigners.

The story changed and some press reports had it that since they were non Nigerians it would have been a mistake by the commando that carried out the operation, insinuating that the Napoli mafia (Camorra) was really annoyed with the Nigerian mafia which has an alliance with them but in the recent past started to disobey and have their own (Nigerian) bosses thereby stopping to pay royalties from drug proceeds. It was also reported that the Nigerian group that had signed pacts of alliance many years ago with the main mafia for the indirect control of drugs, prostitution, illegal labor, illegal immigration etc were gathering too much powers ;therefore should be thought a lesson or re-dimensioned. http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/19/Camorra_strage_extracomunitari_co_8_080919002.shtml

http://archiviostorico.corriere.it/2008/settembre/19/Roberti_Una_pulizia_etnica__co_8_080919003.shtml

The police still insist that those killed were involved in drug movement in the area (they are Africans after all) notwithstanding that no drug was found in their workshop or in their residences.

The Nigerian mafia had their first clash with the Italian mafia 22 years ago (1986) when 6 Nigerians were 'kneecapped' . There was apparent peace and cooperation with the two mafias until the night between 23rd and 24th April 1990 when the camorra organized a commando that hit a group of their Nigerian allies in bar Centro di Pescopagano- leaving two deed and many who were not even connected with drugs wounded. In the month of January this yare 3 persons were charged with the death of those Nigerians.

These are just little bits of the 'Black mafia' which has in the past 17 years gained a lot of powers and is peculiar for the its tribal based set-up and the sort of impunity it has amongst other organized criminal groups.

According to the report it is hard to believe that among the numerous drug pushers none of the Nigerians has ever collaborated with the justice to reveal what happens within the group and they have continued to propel their activities from Italy to all over Europe growing from the sells of heroine to the control and wholesale of the cocaine and the control of prostitution.

The recycling of the black mafia money is through money transfer and other complicated connections that are difficult for the Italian central bank or the European Central Bank (ECB) to discover and dismantle. The report claims that the Nigerian Mafia in this form has shown a great competitiveness that makes it the 5th Mafia in Italy.

http://www.positanonews.it/dettaglio.php?id=16812

Some question I would ask members of the community who read all the press reports , analysis and tv reports on Nigeria and her nationals in Italy:

· Are we all prostitutes, mafians, and drug pushers?

· What is the population Nigerian in Italy and what is the percentage involved in these vices?

· Who speaks or will speak for the community and defend her and the Nation for all the exaggerations and accusations that has been going on these days in the press?

· what is our mission (embassy) doing to see that the numerous Nigerians that are resident in Italy and are highly law abiding do not face unnecessary harassments and molests from Italians and the serotypes of the Italian law enforcement agencies? many African ambassadors went or sent their representatives to Castel Volturno some days ago; did anyone from the Nigerian mission travel to that area to ascertain the security of law Abiding Nigerians living in that region?

There are more questions to be asked and to be answered on this issue Do you have any?

Okey. Chukwubike C



Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

Spedizioni punitive e raid

Il gioco dei Casalesi: stasera tiro al negro

La fuga di Teddy, il nigeriano che vuole salvare le prostitute

Un mazzo di fiori sulla scena del crimine  (Controluce)
Un mazzo di fiori sulla scena del crimine (Controluce)
CASTELVOLTURNO (Caserta)- Teddy è andato via perché adesso sa cosa significa essere una boccetta. «Vogliono la tua sottomissione, gli interessa solo questo. Abbiamo provato a renderci utili. Ma a loro non interessa. Siamo schiavi, e tali dobbiamo rimanere». In un'intercettazione di 12 anni fa, uno dei tanti macellai dei Casalesi saluta il suo compare. Lo saluta dicendo che in serata magari se ne va a Castelvolturno «per giocare a boccette con i negri». Poche ore dopo, da una macchina in corsa parte una raffica di mitra contro tre extracomunitari che aspettavano l'autobus sulla Domiziana. «Siamo i loro giocattoli, ma fanno così perché sanno che agli altri italiani in fondo non dispiace ».

Il 19 agosto di quest'anno il nigeriano Teddy Egonwman e sua moglie Alice sono diventati birilli a casa loro. All'ora di cena un gruppo di quattro uomini si mise a sparare sulle finestre del container dove vivevano, ne sfondò la porta e continuò a fare fuoco anche dentro. Un'ottantina di colpi. Due giorni dopo, Teddy e la sua famiglia erano su una macchina diretta a Torino. Così finiscono le illusioni, da queste parti. I coniugi Egonwman si erano messi in testa di fare qualcosa. In modo confuso, arruffato, pasticcione. Ma ci avevano provato. Erano arrivati in Italia da clandestini, come tutti. Teddy trovò lavoro e permesso di soggiorno in un'azienda edile, Alice si buttò nell'import- export di oggetti africani. Lui fondò un'associazione per raccogliere tutti gli immigrati provenienti da Benin City. L'anno scorso aveva deciso di redimere le sue connazionali che lavorano in strada. Faceva addirittura le ronde, non risparmiava qualche schiaffone, alle ragazze a ai loro galoppini. «Non avevano capito che nulla deve e può cambiare. I "miei" e i "tuoi" non vogliono seccature».

A Castelvolturno Teddy era un personaggio così isolato da risultare addirittura patetico nei suoi sforzi. La spedizione punitiva fu bipartisan, nigeriani e casalesi d'accordo nel dare una lezione a un pesce piccolo che veniva considerato un traditore del suo popolo e metteva in crisi il patto tra mafiosi africani e Casalesi. «Volevo dare il mio contributo per liberare la Domiziana dalla prostituzione. Mi hanno urlato che ero un venduto alla Polizia. Mi hanno sparato. Nessun italiano mi ha dato solidarietà, perché un negro che cerca di darsi da fare deve avere per forza qualcosa di storto, no? Tanti saluti, allora». Quelli che restano però rischiano davvero di diventare boccette a disposizione di giocatori anfetaminici e fuori controllo, schiacciati da due poteri simili e alleati nel tenere oppressi i pochi che si muovono sulla linea di confine. «Le uniche vere comunità che ancora esistono sul territorio sono quelle criminali», ragiona un investigatore e le sue parole sono simili a quelle di padre Giorgio Poletto, il prete comboniano che da anni cerca di togliere le ragazze nigeriane dalla strada. «Non è mai stato così difficile. Abbiamo davanti un mare di persone anonime, con rappresentanti che sanno di non rappresentare nulla. La frammentazione li rende più deboli. Sono soltanto individui, alla mercé di un sistema criminale perfetto nella gestione del territorio. In una parola: schiavi».

La strage di Varcaturo rappresenta il disprezzo per i più deboli, quelli che si trovano in mezzo. Il simbolo di questa violenza «terrorista e razzista», come la definisce il magistrato Franco Roberti. La Spoon river delle vittime racconta di gente molto diversa dal prototipo dello spacciatore. Francis era felice perché due settimane fa aveva avuto il riconoscimento dello status di rifugiato politico, dopo sei anni in Italia. Faceva il muratore e frequentava le associazioni di Caserta che si battono per i diritti degli immigrati. Elaj il sarto partecipava alle assemblee settimanali sui diritti degli immigrati, anche lui frequentava i centri sociali impegnati. Akej il barbiere è morto con 700 euro nei calzini. Stava andando a spedirli alla famiglia da quella sorta di Western Union non autorizzata che sorge accanto al locale della strage. Lavorava a Napoli, in un locale del centro. Nei locali devastati dai proiettili e nelle loro case delle sei vittime non è stata trovata droga. Puliti.

Marco Imarisio
21 settembre 2008



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