venerdì 25 febbraio 2011

Romeo e Giulietta fra Palestina e Israel

La storia di due ragazzi separati ancora prima della luna di miele, subito dopo le nozze
George ha 33 anni, fa il programmatore informatico ed è tornato da qualche mese a Gerusalemme dopo aver vissuto 15 anni in Italia, di cui ora è anche cittadino. 
Marito di Laila, che ha portato all’altare il 16 gennaio scorso a Betlemme. Dopo il “Sì” più importante della loro vita, avrebbero dovuto partire tre giorni dopo per Instanbul. Anche il gesto più naturale del mondo però in queste terre non può mai essere dato per scontato e sono stati “separati” subito prima della luna di miele. Ma veniamo ai fatti. 

George, nonostante abbia un passaporto italiano e la fama di essere davvero un bravo ragazzo, ha un’unica macchia nel suo curriculum: l’origine palestinese. Tutti coloro che hanno avuto la “sfortuna” di nascere dentro il muro non possono in alcun modo varcare la soglia di Israele. E allora? “Ho prenotato il volo da Amman, in Giordania, mentre Laila, che è arabo-israeliana, è partita da lì. Neanche a pensarci di farla venire ad Amman” spiega. E così i due sposini appena congiunti si sono separati. Di corsa a cambiare il biglietto, per non rischiare di dover prolungare ulteriormente la permanenza a Betlemme. 

[VIAGGIO DI NOZZE IN  TRE… CON LA SUOCERA]

Oltre al danno, la beffa. “Quella sera sono andata a dormire dai miei genitori. Proprio quando si erano liberati di me mi hanno vista ripiombare in casa”. 
Sorride, nelle sue parole c’è ancora il desiderio di riderci su. “George invece ha dormito da solo in un Hotel lì ad Amman”. Poi il giorno dopo finalmente in volo. Lei da Tel Aviv e lui dalla Giordania. Per incontrarsi di nuovo nella città dove, dice Laila, “a vederla si ferma il cuore”. E dove si sono fermati per questi meritati cinque giorni di luna di miele. Presa nel racconto, a un certo punto si ferma: vede George che si avvicina verso di noi. Si mettono a scherzare, non capiscono come un fatto così banale possa suscitare tanto interesse. In fin dei conti si sono sposati e questo basta. Sono felici. I veri problemi nascono adesso. “La nazionalità dei figli, il problema dei permessi per viaggiare, la richiesta da presentare a Israele per il congiungimento della famiglia…”. Passaggi che richiedono una lotta contro le intricate procedure burocratiche. Tante, troppe incertezza, ma un desiderio sul futuro molto chiaro “Avere una famiglia, dei figli, la serenità”.

http://it.viaggi.yahoo.com/p-promozione-3360768

mercoledì 23 febbraio 2011

Le due giornate di Napoli

Le due giornate di Napoli

Due continenti uniti da uno scopo: contrastare i fenomeni criminali comuni che ne mettono in pericolo la sicurezza. Questo il tema principale della prima conferenza che vede Europa e Africa a confronto

«Noi non abbiamo bisogno di interpreti per capirci, perché parliamo la stessa lingua: quella della polizia». Con queste parole il capo della Polizia Antonio Manganelli ha voluto concludere il suo discorso di apertura della Conferenza Euro-africana, svoltasi a Napoli l’8 e il 9 di febbraio.
Una due giorni all’ombra del Vesuvio, che ha visto la presenza di delegati delle polizie di 68 Paesi (quasi 300 partecipanti tra europei e africani) e di 11 organizzazioni internazionali, tutti riuniti con un solo scopo: rafforzare la collaborazione tra gli organismi di polizia dei due continenti.
È stata un’occasione unica di confronto tra due mondi, apparentemente distanti, ma profondamente uniti nella comune sfida che mette in pericolo la loro sicurezza.

Un percorso che parte da lontano, da quel settembre dello scorso anno quando il capo della Polizia e il segretario generale dell’Interpol Ronald Noble, decisero, in occasione di un incontro a Bruxelles, di ritrovarsi in una conferenza che mettesse seduti attorno allo stesso tavolo Paesi europei e africani.
Quarantotto ore, dunque, possono sembrare poche per affrontare problemi fondamentali che affliggono un’area così vasta come quella africana e che, per forza di cose, si ripercuotono sul Vecchio continente, ma sono solamente un punto di partenza.

Una conferenza, dunque, non fine a sé stessa, come ha sottolineato più volte Manganelli; non un incontro fatto solo di parole e buoni propositi per il futuro, ma di fatti concreti. E a dimostrazione di questo la presenza delle delegazioni di ben 44 Paesi africani (su un totale di 53) e di 24 altre Nazioni (Europa su tutte) per discutere delle problematiche che affliggono il continente nero e che si ripercuotono su tutto il resto del globo. Immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, traffico di stupefacenti e terrorismo sono stati gli argomenti su cui sono ruotate le due giornate napoletane.
Fin qui, si potrebbe dire, nulla di nuovo rispetto a un normale meeting internazionale sulla sicurezza, ma non è così. Dopo una prima giornata in cui si sono alternati i vari oratori sul palco della sala conferenze dell’hotel Royal Continental di Napoli, e in cui sono stati esposti i “buoni propositi”, il secondo giorno ha segnato la vera e propria novità in fatto di conferenze di questo genere: l’istituzione di quattro tavoli di discussione, sotto l’egida della presidenza italiana, sugli argomenti di cui sopra e ai quali hanno partecipato i delegati delle polizie africane, insieme a europei, asiatici e americani.
Quattro tavoli, dunque, che non esauriscono la loro funzione al termine del summit chiudendo i lavori semplicemente stilando un rapporto finale pieno di buone intenzioni, ma quattro vere e proprie commissioni permanenti che si riuniranno più volte nei mesi a venire per fare il punto della situazione sulle problematiche affrontate.

«I fenomeni che trattiamo in questa conferenza – ha continuato Manganelli – offendono i nostri Paesi e soltanto con un’azione congiunta possono essere contenuti o, addirittura, debellati. Sono spesso connessi fra loro e molte volte favoriti dall’instabilità interna politico-sociale, dalla povertà e dalla disperazione». Argomento quanto mai attuale quello affrontato dal capo della Polizia, alla luce degli ultimi avvenimenti che stanno sconvolgendo il Nord Africa e che, nella prima metà di febbraio, hanno portato di nuovo allo sbarco di migliaia di immigrati clandestini sulle nostre coste.
«Dobbiamo pensare – ha proseguito Manganelli – a quello che noi forze di polizia possiamo fare. È necessaria una forte azione congiunta per fare del nostro stare insieme il valore aggiunto della nostra lotta». E in quest’ottica l’Italia, infatti, ha concluso importanti accordi bilaterali con altre Nazioni. L’ultimo proprio durante i giorni del summit napoletano con Sudafrica, Gibuti e Sudan per fronteggiare i fenomeni criminali legati all’immigrazione clandestina. «Nel realizzare questi accordi – ha detto il capo della Polizia – abbiamo individuato ogni volta cinque obiettivi che ritengo siano di primaria importanza: lo scambio tempestivo di informazioni, l’avvio di investigazioni congiunte, la predisposizione di corsi di formazione per gli operatori nei diversi campi d’azione, l’assistenza tecnica con la fornitura di mezzi e lo scambio reciproco di funzionari. Una collaborazione in cui sono fondamentali anche altri organismi come, nel caso specifico del fenomeno migratorio, di Frontex (l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione Europea, ndr)».
Collaborazione è dunque la parola d’ordine, il principio fondamentale perché continenti profondamente diversi tra loro possano trovare un’intesa nella lotta comune a fenomeni che provocano allarme sociale, come il terrorismo. «Attualmente – ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni – la nuova minaccia è quella del cosiddetto “terrorismo in franchising”, ossia quella portata da persone che non vengono più addestrate nei campi di Al Qaeda, ma che vivono nei nostri Paesi e che, spesso, ne hanno anche la cittadinanza». Gli homegrown terrorist, i terroristi fai-da-te, non sono direttamente collegati alla rete del terrore internazionale, ma sono in grado di attivarsi autonomamente. E sono anche i più pericolosi, in quanto più difficili da individuare e, quindi, da neutralizzare. In loro aiuto accorre Internet, su cui si documentano sui principi del fondamentalismo religioso e su cui trovano le “istruzioni&rdqquo; per le loro azioni. E proprio il “Cyberspazio quale nuova piattaforma per la radicalizzazione: esperienze a confronto” è stato l’argomento portante del tavolo dedicato al terrorismo internazionale del summit napoletano. «Internet – ha detto il capo della Polizia – garantisce l’anonimato rendendo più facile il contatto tra gli appartenenti a cellule eversive e, non avendo il cyberspazio confini geografici e fisici, rende più difficili le investigazioni». Importanti accordi sono stati raggiunti anche in questo campo, a latere della conferenza, tra i Paesi e le organizzazioni che hanno preso parte alla tavola rotonda dedicata (tra cui l’Ncis, il Servizio investigativo della Marina statunitense), puntando soprattutto sul rafforzamento delle relazioni sinergiche nel settore del monitoraggio della Rete.
Ma anche il traffico degli stupefacenti e quello ancor più odioso degli esseri umani, sono stati tra gli argomenti che hanno animato il vertice partenopeo.
I trafficanti di droga, dopo il rafforzamento dei controlli nel Nord-Ovest del continente africano, si sono aperti nuove vie, grazie anche alla particolare orografia delle coste africane che, per propria conformazione, risultano difficilmente controllabili. Il tavolo dedicato al narcotraffico ha analizzato in profondità il fenomeno, anche alla luce delle previsioni sulle “nuove vie” della droga, come quella dedicata alla cocaina che si sta aprendo nella regione Sud del continente o quella del Corno d’Africa e dei Paesi che si affacciano sull’oceano Indiano per quanto riguarda l’eroina; e ancora ha individuato l’Africa come futuro epicentro per la produzione di droghe sintetiche. Eroina, cocaina, pasticche tutte destinate al mercato europeo. Favorire la creazione di un flusso informativo che possa dare una conoscenza approfondita e aggiornata della situazione, cercare di standardizzare i sistemi e i linguaggi comunicativi, pianificare attività progettuali comuni e cercare di armonizzare le normative sono i punti fondamentali su cui si sono trovati di comune accordo i partecipanti.
Ma un altro tipo di traffico che purtroppo oggi è una triste realtà, è quello degli esseri umani, dei “nuovi schiavi” del nostro secolo. «Sono ormai provati – ha detto Antonio Manganelli – i contatti tra le nostre organizzazioni criminali e quelle di Turchia, Grecia, Egitto e di cellule di altri Paesi. Noi abbiamo condiviso questo nostro sapere e stiamo combattendo il fenomeno anche attraverso accordi bilaterali. Questa è la strada da seguire». E su questi argomenti si sono confrontati i Paesi che hanno preso parte alla tavola rotonda sul fenomeno, arrivando alla conclusione di rendere “permanente” il tavolo, dandosi appuntamento tra sei mesi con una nuova convocazione per poter fare il punto delllla situazione.

Traffico di droga, nuovi schiavi e immigrazione clandestina sono tutti fenomeni in mano a quella criminalità organizzata transnazionale che, come ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni, «è il nuovo nemico da combattere che inquina le economie ed erode istituzioni e democrazia. Gli Stati deboli sono più esposti alle infiltrazioni di questa criminalità, che li utilizza come base per la propria attività e li condiziona, o rischia di farlo, ricorrendo sistematicamente a corruzione e violenza. Senza dimenticare che ormai sono provate le sinergie tra terrorismo e criminalità organizzata transnazionale». E a confermare le parole del ministro, si aggiungono anche quelle del capo della Polizia: «L’obiettivo vero è quello di aggredire le ricchezze delle organizzazioni criminali per impoverirle. Dobbiamo riprenderci quel che ci hanno rubato e che, anche attraverso lo spaccio di droga, è costata la vita di molti dei nostri figli».
Dunque, una vera e propria lotta senza confini quella che attende il futuro delle polizie europee e africane, spesso non aiutate da una legislazione disomogenea tra Stato e Stato. «Parlare di armonizzazione di queste legislazioni – ha osservato Manganelli – equivale a fare un esercizio accademico di buone intenzioni. Tutti sappiamo che non è possibile arrivare a un’unica legislazione tra Paesi che hanno tradizioni, culture, obiettivi e princìpi non sempre comuni. Questo deve essere il nostro sforzo: dialogare e lavorare insieme armonizzando ciò che non è armonizzabile; dobbiamo compensare con le nostre tecniche investigative comuni, parlando la stessa lingua, con la voglia di raggiungere lo stesso obiettivo, leggendo insieme quel che i nostri ordinamenti non leggono allo stesso modo».
Un obiettivo comune del quale la conferenza di Napoli è solo il punto di partenza.



La lunga via verso l’Euro-africana
Napoli, Hotel Royal Continental. È qui che sono presenti quasi tutti i capi della Polizia dei Paesi africani seduti vicino ai loro colleghi europei, ai rappresentanti delle Istituzioni comunitarie e alle maggiori organizzazioni internazionali impegnate per la sicurezza mondiale. Obiettivo principale il contrasto all’immigrazione clandestina e alla tratta degli esseri umani che, come ha sottolineato il ministro dell’Interno Roberto Maroni in occasione della presentazione del progetto Across Sahara II (realizzato per sviluppare la collaborazione regionale e le capacità istituzionali nella gestione delle frontiere e dell’immigrazione, foto in basso a sinistra), richiedono una risposta globale: «Bisogna capire, e far capire, che nell’epoca della globalizzazione il problema migratorio è un problema dei Paesi del Nord-Europa non meno di qi quanto lo sia per l’Italia o la Grecia. Per questo le dimensioni della sfida richiedono risposte globali in termini di condivisione delle responsabilità tra i Paesi europei e di cooperazione con i Paesi di origine e di transito, di collaborazione in ambito multilaterale e con le Organizzazioni internazionali, anche sul versante di programmi di sviluppo e stabilizzazione. Da come e da quanto, nel prossimo futuro, riusciremo a tradurre in pratica l’impegno a rafforzare la capacità dei Paesi terzi di controllare i flussi dell’immigrazione illegale dipenderà in buona parte il benessere delle nostre società, l’integrazione in esse degli immigrati regolari e, più in generale, la sicurezza dei nostri cittadini e di coloro che accogliamo». E pensare che alcuni dei Paesi africani qui rappresentati hanno accordi bilaterali in materia di sicurezza solo con il nostro Paese all’interno dell’Ue. Altri, invece, non sono in buoni rapporti tra loro. Per questo era difficile averli tutti intorno allo stesso tavolo, per questo era importante. L’idea è stata annunciata dal capo della Polizia in occasione del Simposio Eu – Interpol (foto in basso a destra), realizzato per fare il punto sulla cooperazione tra le polizie europee e quelle dei Paesi dell’Africa Occidentale, tenutosi a Bruxelles il 30 settembre scorso. Organizzare una conferenza, quella euro-africana, in Italia, per addivenire alla costituzione di gruppi di lavoro permanenti chiamati a pianificare e a realizzare concrete iniziative operative di polizie europee e africane, per lottare contro le organizzazioni criminali che sfruttano i “nuovi schiavi” e condurre congiuntamente operazioni di polizia per prevenire il fenomeno. Durante l’incontro il prefetto Manganelli ha proposto l’Italia come leader del partenariato di polizia Europa-Africa nella lotta al terrorismo, ai traffici illeciti e al traffico degli esseri umani. Molta strada è stata percorsa per raggiungere questo obiettivo. Una strada fatta di accordi: politici, operativi, bilaterali e multilaterali. Come quello firmato con la Nigeria e coordinato dall’Interpol (foto a destra), per fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e il traffico degli esseri umani, che ha portato alcuni poliziotti nigeriani, dopo corsi di formazione, a lavorare spalla a spalla con i colleghi italiani in aeroporti internazionali, porti, e in alcune città. O quello sottoscritto con l’Algeria, anch’esso per rafforzare la collaborazione in materia di immigrazione, che ha permesso di incrementare sensibilmente lo scambio di informazioni e di esperienze tra la polizia italiana e algerina. Tra gli accordi più importanti vanno menzionati quelli realizzati con la finalità di contrastare, già alla loro origine, i flussi di immigrazione clandestina verso l’Italia; le intese con il GhanGhana e il Niger. Come ha spiegato il ministro dell’Interno: «Abbiamo accordi bilaterali ottimi con i Paesi mediterranei dell’Africa, nella fascia che va dal Marocco all’Egitto, ma si tratta spesso di paesi di transito dei flussi clandestini che in realtà originano dagli stati a sud del Sahara. Ecco perché vogliamo allargare a quell’area la fascia di sicurezza non solo per quanto riguarda l’immigrazione, ma anche per il contrasto al terrorismo e al traffico di droga». L’ importanza di queste intese è stata ribadita dal prefetto Manganelli: «Stiamo facendo accordi con tutti i Paesi dell’area. Si tratta di paesi “produttori” di clandestini e vogliamo contrastare questi flussi. È anche un modo per fare lotta al terrorismo perché i paesi islamizzati conoscono il fenomeno del fanatismo e c’è il pericolo che l’immigrazione clandestina possa costituire un veicolo per l’ingresso in Italia di terroristi». Raggiungere il giusto equilibrio tra politica di accoglienza e integrazione da un lato e rigore nei confronti dell’immigrazione clandestina che spesso alimenta altre forme di criminalità. Questo è il difficile banco di prova davanti al quale tutti i Paesi europei dovranno misurarsi.
Mauro Valeri
http://www.poliziadistato.it/poliziamoderna/articolo.php?cod_art=2175
 

lunedì 21 febbraio 2011

L'incredibile silenzio del governo italiano. E berlusconi non cita Gheddafi

L'incredibile silenzio del governo italiano. E berlusconi non cita Gheddafi


Ho aspettato fino alle 20, in attesa dei telegiornali della sera. Chissà mai che in vista della luce della telecamera.... Eppure niente.
Nessuna dichiarazione di Berlusconi sull'amico Gheddafi, che secondo alcune fonti starebbe reprimendo nel sangue le manifestazioni contro di lui.  La Tv dice che  alcuni caccia stanno bombardando i civili, tanto che alcuni piloti si sono fatti disertori e sono scappati (con tanto di caccia) a Malta (Se non ci credete leggete qua)., 250 morti non si inventano.
Alle 20.45 arriva il Verbo: Berlusconi dice che "è allarmato per l’aggravarsi degli scontri e per l’uso inaccettabile della violenza sulla popolazione civile". Senza mai citare l'amico Gheddafi.
Che in Libia ci sia la guerra civile è un dato di fatto. Che la Libia sia un partner strategico per il nostro Paese anche. Quindi cerco di capire meglio.
Scendo di livello e cerco tra i ministri italiani alcune dichiarazioni.
Parto dal ministro degli Esteri Franco Frattini che si limita a chiedere di fermare le violenze.
Incredibilmente tace Tremonti nonostante gli interessi fortissimi che il nostro Paese ha nella regione (e viceversa, purtroppo....)
Controllo il ministro della Difesa, Ignazio La Russa: lui è più chiaro, dopo che ieri aveva attaccato (a modo suo) Berlusconi per aver detto che non voleva "disturbare Gheddafi". La Russa ha ribadito che  "è stato innalzato il livello di attenzione negli aeoroporti e nelle basi aeree militari italiane dopo l'arrivo a Malta di elicotteri e aerei libici". Segno che le cose stanno precipitando e che ci può investire.
Tace il ministro degli interni Roberto Maroni che non ci spiega né se l'accordo per il controllo delle frontiere stia tenendo né se ci sono connazionali là.
Ovviamente non dice una parola il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani, un altro con la voce in capitolo, o il ministro delle politiche europee : che non c'è più.
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano parla non alle agenzie o con un comunicato ma a Porta a Porta che andrà in onda alle 23:  "Il Consiglio europeo ha condannato da una parte ogni violenza e richiamato al principio di autodeterminazione dei  popoli. Il popolo libico dovrà autodeterminarsi".
Si saprà a mezzanotte ma è già qualcosa.
Il sempre loquace Bondi? Abbiamo 13 missioni archeologiche in Libia. Zero assoluto.

Un assordante silenzio mentre partono i voli speciali per fare rientrare gli italiani, mentre tutti i leader mondiali intervengono, mentre in Libia scorre il sangue della repressione. Il capo del Governo sta nella sua residenza privata a affilare le armi difensive del suo processo e in attesa di Bossi, stasera, per decidere dello scambio giustizia-federalismo. E' anche questo colpa della Procura di Milano?
http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/hrubrica.asp?ID_blog=204
Marco
marco.castelnuovo@lastampa.it
twitter.com/marcocastelnuov
 

Grossi guai per Berlusconi, Gheddafi e Putin: casualità?

Grossi guai per Berlusconi, Gheddafi e Putin: casualità?

Grossi guai per Berlusconi, Gheddafi e Putin: casualità?
Le rivolte del mondo arabo ci toccano molto da vicino, e non solo per il surplus di disperati che sbarcheranno a Lampedusa. Anche Silvio Berlusconi è traballante, proprio come i leader a sud del mediterraneo, ed è contestato nelle piazze: certo, variano i modi e la violenza rimane quasi solo verbale, almeno per ora. Ma il parallelismo potrebbe essere più che una coincidenza. Forse, un regolamento di conti.
In primo luogo, infatti, è interessante notare che le rivolte hanno toccato infine anche la Libia: e liberarsi di Gheddafi potrebbe essere, per ‘qualcuno’, l’ennesimo sassolino tolto dalla propria scarpa.
Secondo: non sarebbe un caso che la Russia si dimostri fredda e critica riguardo a ciò che sta avvenendo nel Mediterraneo. Secondo  un interessante articolo de L’Occidentale, Putin avrebbe seri motivi di temere la stessa fine di Mubarak. L’attentato all’areoporto Domodedovo di Mosca del 24 gennaio scorso (36 morti), infatti, è stato rivendicato ancora una volta da Dokku Umarov, soprannominato “il Bin Laden ceceno” e altrimenti conosciuto come l’Emiro del Caucaso.
La Repubblica Cecena, spina nel fianco della madre Russia, potrebbe essere tra le prossime a saltare in aria. E la novità è che, incoraggiata dall’onda degli eventi, questa volta nella rivolta i ribelli potrebbero avere il sopravvento, facendo precipitare una situazione che ha trascinato la Russia in un conflitto sanguinosissimo logorando il prestigio di Putin.
Bisogna considerare, poi, che nel mondo arabo la rivolta potrebbe essere percepita a tinte molto meno laiche di come i media occidentali la rappresentino. E in Russia la presenza musulmana è sempre più consistente e sempre più determinante nelle proteste contro Putin. Perdere in Cecenia potrebbe dare coraggio e propulsione a moti centrifughi che potrebbero mandare in pezzi la Federazione Russa.
Gheddafi e Putin, dunque, rischiano di rimanere travolti. Sembra un caso che l’unico leader occidentale contro cui si sta scatenando una bufera giudiziaria e di piazza sia Berlusconi? Ancora una volta, i documenti rivelati da Wikileaks suonano come un avvertimento: amico intimo di uno, socio dell’altro. Ciò confermerebbe l’ipotesi secondo cui Silvio Berlusconi sarebbe ‘reo’ di essersi sottratto dall’influenza americana.
A voler pensar ‘male’, gli eventi di questo inizio 2011 assomigliano più a un regolamento di conti internazionale che a una spontanea affermazione della sovranità dei popoli. Soprattutto con la Clinton che propaganda la libertà della rete per tutti proprio mentre il governo USA riconferma integralmente il Patriot Act. La stessa libertà di parola che in patria ti fa perdere il posto di lavoro o essere schedato come terrorista per un post su Facebook.

http://www.fabioghioni.net/blog/2011/02/18/grossi-guai-per-berlusconi-gheddafi-e-putin-casualita/

mercoledì 9 febbraio 2011

Basta ipocrisie sull’immigrazione

Basta ipocrisie sull’immigrazione
Attacco radical chic al premier inglese David Cameron il quale si è permesso di dire che in Inghilterra il multiculturalismo è miseramente fallito.
Il Primo Ministro inglese David Cameron La signora Madeleine Bunting si è arrabbiata molto con il premier inglese David Cameron il quale si è permesso di dire che in Inghilterra il multiculturalismo è miseramente fallito. Stizzita, la signora lo ha attaccato dalle colonne di The Guardian, il giornale della sinistra un po’ radicale e molto chic.


Eh sì, perché la signora Bunting è un’intellettuale famosa, firma d’eccellenza di quella sorta di "Repubblica in salsa britannica" che dell’Inghilterra multiculturale si è sempre vantata con orgoglio progressista. Con tono lirico la signora ha raccontato la sua recente esperienza di multiculturalismo che smentirebbe Cameron: e cioè il suo shopping del sabato mattina in Hackney’s Ridley Road nell’East London, dove "dozzine di nazionalità diverse si aggirano alla ricerca delle migliori verdure, vestiti, coperte e utensili da cucina. E l’aria è piena della fragranza di pane turco e pesce salato africano e le bancarelle sono colme di yams e chili". Ci siamo dilungati sull’articolo della signora Bunting per due motivi: primo per rincuorare noi italiani del fatto che le intellettuali di sinistra inglesi riescono a essere anche peggio delle nostre. Secondo, per dimostrare l’astrazione con la quale un certo mondo intellettuale progressista continua ad affrontare i temi che rappresentano le sfide per la sopravvivenza dell’Occidente: e il multiculturalismo è uno di questi. L’accusa di David Cameron fa riflettere sui rischi di una tolleranza che si riduce a mera accettazione di forme identitarie spesso ostili ai modelli e alle leggi dei paesi ospitanti. Il leader conservatore britannico ha fatto un’analisi spietata del processo di radicalizzazione di una parte dell’Islam che vive in Gran Bretagna. Ha denunciato l’errore di un multiculturalismo che ha permesso si creassero "comunità isolate che si comportano in modi contrari ai nostri valori" e ha affermato che bisogna smetterla di pensare a un modello di tolleranza passiva. Cameron ha coniato una nuova definizione, "liberalismo muscolare", di fronte alla quale la signora Bunting è inorridita, scrivendo subito che "questa è la politica del body-building: per lo più estetica ma con una possibilità implicita di opprimere".


In realtà, la riflessione sulla fine del multiculturalismo iniziò nel 2006 proprio con Tony Blair, all’indomani del drammatico attentato alla metropolitana di Londra in cui persero la vita oltre 50 persone. Per l’Inghilterra, la scoperta che gli attentatori suicidi erano giovani inglesi di religione islamica, di seconda e terza generazione, fu un risveglio brusco dalla favola del paese multicolore e pacifico. Fu in quei giorni che Trevor Philips, un insospettabile laburista d’origini afrocaraibiche, stretto collaboratore del premier proprio sui temi dell’integrazione, dichiarò al Times che la parola multiculturalismo "significa cose sbagliate". E poco tempo dopo fu lo stesso Blair a dire che in una società democratica ci sono "confini di valori condivisi dentro i quali tutti devono essere obbligati a vivere". Se gli intellettuali progressisti, oltre a fare shopping nei mercatini multietnici, provassero a navigare su YouTube, scoprirebbero realtà diverse dai paradisi multiculturali. "You Will Pay With Your Blood" è un breve video amatoriale che riprende le manifestazioni integraliste a Londra del 2006 davanti all’ambasciata danese in occasione delle proteste che incendiarono l’Europa per le vignette anti-islamiche. Si vedono giovani urlare slogan in perfetto inglese, inneggiare alla Jihad e alle bombe contro chi offende il Profeta e innalzare cartelli con scritte tipo: "Europa pagherai, il tuo 11 Settembre è vicino".


Nel centro di Londra. Attorno, un cordone di poliziotti garantisce il loro diritto a manifestare. Queste immagini racchiudono l’idea del fallimento del multiculturalismo molto più di qualsiasi concetto. L’immagine di un’Europa stretta nella contraddizione di dover garantire la libertà d’espressione a coloro che la vorrebbero distruggere è il paradosso del multiculturalismo non solo britannico. Il "liberalismo muscolare" che vuole Cameron non impedirà alla signora Bunting di continuare a fare shopping nel suo mercatino, ma forse riuscirà ad evitare che integralismo e fanatismo prendano piede nelle nostra società.
fonte

martedì 8 febbraio 2011

I Giovani musulmani espellono il loro fondatore: troppo moderato

Islam, i Giovani musulmani espellono il loro fondatore: troppo moderato



Il gruppo dirigente dei Giovani Musulmani d'Italia ha espulso dal Comitato garanti Khaled Chaouki, che nel 2001 aveva contribuito a fondare la prima formazione giovanile islamica del nostro Paese. Lui denuncia: in Egitto si lotta per la democrazia, qui si censura il dissenso


Chissà che ne direbbero, i giovani che in piazza Tahrir chiedono democrazia a costo della vita. Khalid Chaouki è uscito dal gruppo. L'aveva fondata lui, nel 2001, l'associazione Giovani musulmani d'Italia. «Volevo che fosse un ponte un ponte mediatore tra la cultura islamica e l'occidente, tra i padri e i figli della nuova presenza islamica in Italia». Parole d'ordine integrazione, dialogo, confronto. L'Islam moderato che incrocia la cultura italiana, passando attraverso l'incrocio con le altre minoranze, religiose e linguistiche, presenti nel Paese. L'hanno fatto fuori. Porta in faccia perché troppo moderato. Alla faccia di quei giovani che, sull'altra sponda del Mediterraneo dalla Tunisia all'Egitto, la porta l'ha invece aperta a nuove logiche democratiche e di pluralismo.
Il rapporto fra Chaouki e l'associazione era complesso da un po', da quando, nel 2004, lasciò la presidenza denunciando infiltrazioni estremiste, e dopo essersi attirato dure critiche per sue posizioni moderate: «I miei inviti a una condanna più netta al terrorismo, il modello di dialogo che proponevo, nulla andava più bene: l'associazione ha imboccato la via dell'arretratezza. Lasciai la presidenza, ma ritenni fosse mio dovere restare nell'associazione». Ieri l'organo dei garanti, comitato che raggruppa i fondatori dell'associazione, gli ha comunicato di aver votato all'unanimità la sua espulsione. Con comunicazione orale, «perché non hanno avuto neppure il coraggio di metterlo nero su bianco».
Spiega Chaouki: «Pensano di censurare il dissenso e il pluralismo con lo stesso zelo delle peggiori dittature contro le quali stanno combattendo altri giovani arabi e musulmani nell'altra sponda del Mediterraneo. La mia espulsione dall'associazione, che ho contribuito a fondare nel 2001, dimostra quanto sia ancora lunga la strada verso il rispetto dell'altro all'interno di alcune realtà organizzative dell'islam italiano». Di qui l'appello agli altri giovani musulmani affinché prendano le distanze dall'associazione: «È avvilente constatare che le speranze delle seconde generazioni dei musulmani in Italia siano purtroppo così mal riposte. Sono certo che, insieme a me, tanti giovani sapranno esprimere la volontà di cambiamento e la ribellione a metodi così settari e ormai fuori tempo». Khalid, marocchino, 28 anni, in Italia da venti, è stato membro della Consulta dell'Islam creata nel 2006 dall'allora ministro dell'interno Giuseppe Pisanu. Oggi è responsabile immigrazione dei Giovani del Pd. È diventato uno dei simboli di un Islam moderato, integrato, aperto.
Adesso lo hanno «processato come in un tribunale medievale», giudicandolo addirittura «pericoloso, indegno, dannoso, incompatibile con la mia comunità, così mi hanno detto».
Un segnale «tremendo», avverte ora il vicepresidente della Comunità ebraica di Milano, Daniele Nahum, che registra un «cambio nella direzione politica dell'associazione dei Giovani Musulmani, opposta a quella che portava avanti Khalid». Da anni, avverte Nahum, i Giovani musulmani hanno interrotto il dialogo e praticamente annullato le occasioni di confronto con la comunità ebraica: «Con Khalid presidente abbiamo portato avanti molte iniziative comuni per il dialogo fra i popoli e il ruolo delle minoranze etniche e religiose in Italia. L'espulsione di Khalid, un generale dell'associazione nonché massimo esponente della linea di apertura, è un segnale tremendo e pericoloso». Solidarietà a Chaouki è arrivata anche dal segretario dell'Unione delle Comunità e organizzazioni islamiche in Italia (Ucoii), Ahmed Paolantoni. 

lunedì 7 febbraio 2011

AFRICAN DIASPORA: Khalid Chaouki - Assemblea Nazionale Roma

AFRICAN DIASPORA: Khalid Chaouki - Assemblea Nazionale Roma

Cameron: il multiculturalismo è fallito

NTERVENTIO ALLA CONFERENZA SULLA SICUREZZA DI mONACO

Cameron: il multiculturalismo è fallito

Il premier britannico: «La tolleranza passiva incoraggia la separazione. Lo stato liberale impone i suoi principi»

INTERVENTIO ALLA CONFERENZA SULLA SICUREZZA DI mONACO
Cameron: il multiculturalismo è fallito
Il premier britannico: «La tolleranza passiva incoraggia la separazione. Lo stato liberale impone i suoi principi»
Cameron e Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco (Epa/Ansa)
Cameron e Merkel alla conferenza sulla sicurezza di Monaco (Epa/Ansa)
LONDRA - Il multiculturalismo? E' fallito. La sentenza è del premier britannico, David Cameron. Ed è destinata a sollevare più d'una polemica e più d'una riflessione sui modelli di integrazione con i quali tutta Europa, e non soltanto la Gran Bretagna, ha affrontato il problema dell'immigrazione e dell'integrazione. Con riferimenti specifico all'Islam e in una situazione nella quale ciò che sta avvenendo in Medio Oriente pone nuovi e ulteriori rischi.
VALORI COMUNI PER TUTTI- Secondo Cameron il ««multiculturalismo di stato» ha fallito e ha lasciato i giovani musulmani vulnerabili al radicalismo, ha affermato il primo ministro britannico nell'intervento alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera. «È tempo di voltare pagina sulle politiche fallite del Paese. Per prima cosa, invece di ignorare questa ideologia estremista, noi dovremo affrontarla, in tutte le sue forme». E ancora: «Sotto la dottrina del multiculturalismo di stato, abbiamo incoraggiato culture differenti a vivere vite separate, staccate l'una dall'altra e da quella principale. Non siamo riusciti a fornire una visione della società, alla quale sentissero di voler appartenere. Tutto questo permette che alcuni giovani musulmani si sentano sradicati».
Per Cameron è il momento di lasciare da parte la «tolleranza passiva» del Regno Unito con un «liberalismo attivo, muscolare», per trasmettere il messaggio che la vita in Gran Bretagna ruota intorno a certi valori chiave come la libertà di parola, l'uguaglianza dei diritti e il primato della legge. «Una società passivamente tollerante rimane neutrale tra valori differenti. Un paese davvero liberale fa molto di più. Esso crede in certi valori e li promuove attivamente» (fonte Ansa)

http://www.corriere.it/esteri/11_febbraio_05/cameron-multiculturalismo_9ed76dd4-3120-11e0-90b6-00144f02aabc.shtml
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Cameron attacks 'state multiculturalism'



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