| L'amicizia libica costa cinque miliardi di dollari |
| Scritto da Angelo D'Addesio | |
| domenica 31 agosto 2008 | |
... E' stata un'amicizia dura da conquistare quella fra l'Italia e la Libia, ma a quanto pare sembra sancita definitivamente dal Trattato di Amicizia e Cooperazione, a suon di miliardi di dollari, ben 5, che l'Italia sborserà in modo scaglionato per i prossimi 25 anni al paese africano, come risarcimento compensativo per la pesante aggressione subita nel 1911 e perpetuata fino al 1943, durante gli anni del dominio coloniale. In questo accordo Muammar Gheddafi ha sfogato tutto il sentimento di umiliazione suo e della popolazione libica, uccisa durante il biennio 1911-1912 in sanguinosissime battaglie nel deserto, oppure deportata nella repressione che ne seguì, in cui il 50% della popolazione civile furono spinti alla prigionia, alla fuga nel deserto ed al confino nelle isole italiane, tra cui numerosi parenti del leader libico, come il nonno ferito a morte ed il padre gravemente menomato. Eppure questo accordo sancisce anche il definitivo rientro della Libia nel panorama delle potenze africane emergenti sul piano economico, energetico oltre che storico, al fianco dell'Egitto, della Nigeria e del Sudafrica. Dopo il grande isolamento, l'avversione degli Usa, gli anni della guerra fredda, oggi la Libia può contare sulla riappacificazione statunitense, su un seggio provvisorio all'Onu e sul rapporto di timore/rispetto con l'Unione Europea. Il rapporto con l'Italia, poi, è dettato da interessi reciproci che vanno molto al di là dei semplici corsi e ricorsi storici. L'accordo sottoscritto dal premier Berlusconi a Tripoli, configura non solo un risarcimento danni ma rafforza anche la serie di notevoli investimenti italiani in Libia: la costruzione della grande autostrada litoreanea Tripoli-Bengasi, lunga 2000 km per un costo di 6 miliardi, ricalcante la vecchia Via Balbia, la prima grande strada in Africa, di ideazione italiana, che unificava la Tripolitania e la Cirenaica, la costruzione lungo il tragitto di numerose infrastrutture, la costruzione di due nuovi grandi ospedali, la predisposizione di un piano di miglioramento scolastico con borse di studio per studenti libici in Italia ed indennizzi per mutilati di guerra e la restituzione delle opere d'arte trafugate in Italia, fra cui la Venere di Cirene, già consegnata durante l'incontro ed oggetto di un contenzioso chiusosi in favore libico, con una sentenza del Consiglio di Stato, il giugno scorso. Passi in avanti anche per la restituzione dei visti per i 20.000 italiani cacciati dalla Libia dopo il golpe nel 1970, sebbene i rimpatriati non siano del tutto in sintonia con la scelta del governo. Dietro tutto questo, il cartello delle grandi imprese energetiche ed edili impegnate in fruttuosi accordi ed il rafforzamento del partenariato sull'immigrazione. Proprio lo scorso anno l'ENI ha ottenuto il rinnovo per 25 anni delle concessioni per l'estrazione di gas e petrolio e la medesima si farà carico dei costi per la costruzione di autostrada ed altre infrastrutture. Altri lavori coinvolgeranno Impregilo, Finmeccanica, perfino l'Università di Palermo che ha instaurato preziosi rapporti con quella di Bengasi. Infine l'ultimo grande contrappeso per l'Italia è il rafforzamento dell'accordo sottoscritto da Amato nel 2007, ovvero pattugliamenti congiunti di Italia e Libia nel canale di Sicilia e intensificazione dei controlli, anche a mezzo radar, ai confini con Ciad, Niger e Sudan, collaborazioni con guardia costiera e forze dell'ordine. La guerra ai "mercanti di schiavi" passa per questo accordo, anche se fino ad una settimana fa l'emorragia di immigrati dalla Libia è proseguita ed un peschereccio con 48 persone è partito dalle coste della Tripolitania ed è stato riportato in Libia qualche giorno dopo e la soluzione dei respingimenti in mare non è umanamente la migliore, visto che il regime di Gheddafi non ha di certo mano tenera con i profughi che per legge sono destinati ai centri di detenzione per un certo periodo di tempo, dove solo quest'anno, sono finite 60.000 persone. La speranza è tutta in una cooperazione energetica ed in un aiuto efficace sull'immigrazione, nulla più della linea seguita dai governi precedenti. Solo il tempo potrà dire se sarà valsa la pena e se questo precedente non porterà Eritrea e Somalia in futuro (e non sarebbe uno scandalo, anzi l'Eritrea sembra intenzionata in questa direzione) a seguire l'esempio del vicino libico. |



dell'inviata Enrica Battifoglia

Un immigrato romeno su tre tra quelli che si trovano in Italia ha intenzione di tornare "definitivamente" in Romania nei prossimi due anni. È quanto risulta da un sondaggio presentato la scorsa settimana a Bucarest dall'Agenzia delle strategie del governo romeno. Tra gli immigrati, il 23% degli intervistati pensa di ritornare in patria per aprire un'attività in proprio, mentre il 31% desidererebbe costruire una casa in Romania. Questi progetti potranno probabilmente realizzarsi, considerato che la maggior parte degli immigrati romeni sostiene di guadagnare sette volte in più di quello che aveva nella busta paga nel paese d'origine. Secondo lo studio condotto tra novembre e dicembre 2007 su 1.066 persone, il 35% degli intervistati ha affermato di volere "ritornare definitivamente in Romania nei prossimi due anni", mentre il 21% ha dichiarato al contrario di volere "restare definitivamente in Italia. Secondo i dati raccolti dallo studio, il 57% dei romeni lavora regolarmente in Italia, il 23% ha un posto di lavoro stabile ma è pagato al nero, il 5% svolge delle attività occasionali, mentre l'8% sono casalinghe o disoccupati. Solitamente i lavoratori romeni sono occupati nell'edilizia (24%), nel lavoro domestico (12%), nel commercio (8%) o nell'assistenza agli anziani (7%). Più del 70% dei romeni è arrivato in Italia tra il 2001 e il 2007 e spesso inizialmente aveva soggiornato in altri paesi europei prima di stabilirsi in Italia. L'identikit del lavoratore romeno è il seguente: circa 33 anni (per gli uomini e per le donne), senza una laurea, proveniente dalle zone del nord del Paese (dalla Moldavia o dalla Transilvania). Soltanto il 7% ha una laurea, ma il 72% ha un diploma di liceo o di scuola professionale. L'indagine statistica rileva inoltre che i romeni che si trovano in Italia "mantengono relazioni strette" con i parenti rimasti in Romania. Il 51% invia denaro alla famiglia almeno due o tre volte all'anno, mentre il 70% ritorna in Romania almeno una volta all'anno. Secondo lo studio, realizzato dopo l'aggressione mortale ai danni di Giovanna Reggiani da parte di un cittadino romeno, il 63% degli intervistati ha risposto che i mass media italiani hanno presentato in modo "tendenzioso e sbagliato" l'accaduto ed il 72% ritiene che l'immagine che gli italiani hanno degli immigrati romeni "si è deteriorata" dopo l'omicidio di Roma. Il 22% degli intervistati pensa che non sia cambiato nulla e circa il 33% crede giustificato il decreto per le espulsioni dei cittadini comunitari varato dal governo italiano subito dopo il caso Reggiani. Il 92% degli immigrati afferma di seguire i casi che vedono protagonisti romeni che non rispettano le leggi italiane. Il sondaggio rivela che i romeni generalmente si considerano integrati nella società italiana, il 67% ha un'opinione buona o ottima dei datori di lavoro italiani, il 92% ha un buon rapporto con i vicini e il 94% pensa di conoscere la lingua italiana abbastanza bene per cavarsela nella vita di tutti i giorni. Il 78% dei romeni che lavora in Italia si dice fiero o addirittura fierissimo della propria nazionalità. Il sondaggio è stato realizzato dall'Istituto Metro Media Transilvania, dal 20 novembre al 15 dicembre 2007, presso le comunità romene che risiedono in varie regioni italiane.




