mercoledì 14 gennaio 2009

Bush l’africano

Bush l’africano

George W. Bush

Ironia della sorte. George W. Bush, il 43esimo presidente degli Stati Uniti, l’uomo che secondo la maggior parte dei sondaggi tra pochi giorni lascerà la Casa Bianca con l’indice di gradimento più basso di sempre (attorno al 27 percento in patria), ha fatto breccia nei cuori africani. Proprio nel continente che ha dato le origini al suo successore, Barack Obama, Bush raccoglie un consenso medio che si aggira attorno all’80 percento, secondo un recente sondaggio della fondazione Pew.

Le guerre in Afghanistan e Iraq, Guantanamo, l’uragano Katrina e i discutibili metodi adottati nella guerra al terrorismo. Ieri, nell’ultima conferenza stampa da presidente, Bush ha dovuto difendersi dal fuoco di fila dei giornalisti, che gli hanno chiesto conto di tutte le principali decisioni prese durante i suoi due mandati presidenziali. Pochi, però, hanno evidenziato i lati positivi dell’amministrazione, quelli che in Africa ricordano molto bene: il ruolo avuto nella fine della guerra civile sudanese, durata vent’anni e costata la vita a più di due milioni di persone; gli aiuti allo sviluppo verso il continente nero, passati da 1,3 a 5 miliardi di dollari nel periodo 2001-2008; ma, soprattutto, il piano per la lotta all’Aids da 15 miliardi di dollari, lanciato nel 2003 e destinato a dodici Paesi africani (sui quindici totali) in cui gli indici di sieropositività sono tra i più alti del mondo.

Non un programma da poco, se si tiene conto di quanto l’Aids pesi sulla vita del continente: un milione e mezzo di africani morti solo nel 2007, molti dei quali giovanissimi. In alcuni Paesi, come lo Swaziland e il Sudafrica, dove l’indice di sieropositività tocca il 20 percento della popolazione, la lotta contro la malattia è una lotta per il futuro della società. E questo Bush lo ha capito bene, lanciando un programma a tutto tondo che comprende trattamenti sanitari, educazione e prevenzione (comprese campagne a favore dell’astinenza sessuale prematrimoniale, molto criticate da alcune organizzazioni internazionali). Una delle poche storie di successo dell’amministrazione Bush, ma talmente efficace da indurre Obama a promettere di continuarla, garantendo gli stessi fondi stanziati dal suo predecessore.

In nessuna parte del mondo, tranne Israele e pochi altri Paesi, Bush può vantare un indice di gradimento così alto. Questo nonostante, negli ultimi otto anni, la politica americana in Africa non sia stata certo una passeggiata trionfale. Il fallimento della strategia di Washington in Somalia, dove il governo sostenuto dalla Casa Bianca sta cadendo sotto i colpi delle milizie islamiche, ne è la riprova, così come lo scetticismo con cui è stato accolto Africom, il nuovo comando militare unificato americano per il continente, talmente poco amato da essere costretto a mantenere la propria sede in Germania. Considerazioni che però non reggono di fronte alle folle festanti che hanno accolto Bush in Liberia, Ruanda, Tanzania e Benin solo per citare alcuni dei Paesi in cui il presidente ha fatto più breccia. L’attaccamento alla religione e alla famiglia espressi da Bush hanno fatto il resto: in un’Africa ancora povera, e che ha subìto la faccia peggiore della globalizzazione, il richiamo ai valori tradizionali costituisce ancora un fattore importante. Così come il sostegno del continente è una piccola consolazione per l’unico presidente americano a cui è toccata l’umiliazione di dover schivare scarpe in una conferenza stampa. Almeno in Africa, l’uomo di Crawford non sarà dimenticato.

FONTE

1 commento:

Okey.Chukbyke C. ha detto...

Questa mi sembra una bestemia!!!!!!!!!!!!!



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