Esseri umani non solo numeri
Syed è il figlio di un talebano, ma da molto tempo non ha più contatti con la sua famiglia perché dal suo Afghanistan è fuggito quando aveva 10 anni. Ora ne ha 20. Syed è un rifugiato arrivato a Roma due anni fa. Lui ce l’ha fatta, molti altri suoi compagni di viaggio no. Li ha visti morire assiderati durante la traversata delle montagne che separano l’Afghanistan dall’Iran, ha tentato di soccorrerli dopo i pestaggi della polizia iraniana nel carcere di Evin, prigione dove finiscono anche i clandestini.
Syed adesso lavora come mediatore culturale, parla perfettamente l’italiano e aiuta i ragazzi che giunti nel nostro Paese tentano di crearsi una vita normale. Per farlo però dovranno gettarsi alle spalle i ricordi orribili di un viaggio fatto di camion, stive e container bui e asfissianti, con la compagnia costante dell’odore della morte.
La testimonianza di questo ragazzo ha aperto ieri la conferenza stampa a Roma dell’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, in occasione della giornata mondiale a loro dedicata che si celebra oggi. “Rifugiati, non solo numeri ma persone reali con esigenze reali” è il titolo scelto quest’anno, lo stesso in cui l’Ue ha deciso di blindare i propri confini.
Una scelta operata in primo luogo dall’Italia con la politica dei respingimenti recentemente adottata, che si pone in aperto contrasto con gli obblighi internazionali: la Convezione di Ginevra prevede il diritto d’asilo alle persone che per «fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche».
Il nostro Paese l’ha ratificata. «In una giornata come questa - ha affermato Giusy D’Alconzo di Amnesty International - sarebbe un bel gesto da parte delle autorità italiane dare notizia delle 500 persone rinviate in Libia nei mesi scorsi. Destino che è toccato ieri notte ad altri 77 migranti intercettati nel Mediterraneo» e rispediti al mittente libico.
A ricordare che le persone nel mare nostrum non sono solo numeri è stato anche Asinik Tuygu, il comandante della nave Pinar che ha ricevuto, nel corso della cerimonia di premiazione per chi salva le vite in mare, la menzione speciale dell’Unhcr. Il 16 aprile scorso per Asinik era iniziata una normalissima giornata di navigazione prima di incontrare due barconi in avaria pieni di migranti in stato di choc.
«Ho chiamato subito il mio armatore per chiedergli cosa dovevo fare - racconta il comandante turco -. Avevo già iniziato a prestare i primi soccorsi». La questione ha creato l’incidente diplomatico tra Malta e Italia: entrambe non volevano accogliere i migranti prima che il nostro Paese cedesse di fronte al disastro umanitario.
Durante la partita italo-maltese giocata per quattro lunghissimi giorni in acque internazionali con il cadavere di una giovane nigeriana a bordo, a prevalere, come spesso accade in mare, più che la ragion di Stato è stato il buon senso. «Se c’è in gioco la vita umana tutto il resto è un dettaglio» ha affermato Asinik con voce commossa.
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