Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci linciavano perché rubavamo il lavoro o facevamo i crumiri, ci proibivano di mandare i figli alle scuole dei bianchi in Louisiana, ci consideravano "non visibilmente negri" nelle sentenze in Alabama. Quando gli "albanesi" eravamo noi, truffavamo mezza Europa raccogliendo soldi per riscattare inesistenti ostaggi dei saraceni, vendevamo i nostri bambini agli sfruttatori assassini delle vetrerie francesi e agli orchi girovaghi, gestivamo la tratta delle bianche riempiendo di donne nostre anche dodicenni i bordelli di tutto il mondo. Quando gli "albanesi" eravamo noi, espatriavamo clandestini a centinaia di migliaia oltre le Alpi e gli oceani, seminavamo il terrore anarchico ammazzando capi di stato e poveri passanti, dormivamo a turno in quattro nello stesso fetido letto ed eravamo così sporchi che a Basilea ci era interdetta la sala d'aspetto di terza classe. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci accusavano di essere tutti criminali, ci rinfacciavano di avere esportato la mafia e ci ricordavano che quasi la metà dei detenuti stranieri di New York era italiana. Quando gli "albanesi" eravamo noi, ci pesavano addosso secoli di fame, ignoranza, stereotipi infamanti. Quando gli "albanesi" eravamo noi, era solo ieri. Tanto che in Svizzera pochi anni fa tenevamo ancora trentamila figli nascosti che frequentavano scuole illegali perché ai papà non era consentito portarsi dietro la famiglia.
Nella ricostruzione di Gian Antonio Stella, ricca di fatti, personaggi, avventure, aneddoti, storie ignote, ridicole o sconvolgenti, c'è finalmente l'altra faccia della grande emigrazione italiana. Quella che meglio dovremmo conoscere proprio per capire, rispettare e amare ancora di più i nostri nonni, padri, madri e sorelle che partirono. Quella che abbiamo rimosso per ricordare solo gli "zii d'America" arricchiti e vincenti. Una scelta fatta per raccontare a noi stessi, in questi anni di confronto con le "orde" di immigrati in Italia e di montante xenofobia, che quando eravamo noi gli immigrati degli altri, eravamo "diversi". Eravamo più amati. Eravamo "migliori". Non è esattamente così. |
3 commenti:
una risposta formidabile e precisa.
Chukwubike, sei un grande veramente.
Sono.
Paola
Scusa, ma lei crede che il tizio che a fatto quel commento è capace di leggere?
Quando gli albanesi eravamo noi. Gli italiani sono un popolo di emigranti. "In 27 milioni circa se ne andarono, nel secolo del grande esodo dal 1876 al 1976". Ce lo ricorda un libro uscito di recente (Gian Antonio Stella, L'orda, quando gli albanesi eravamo noi, Rizzoli). E ci ricorda che "non c'è stereotipo rinfacciato agli immigrati di oggi che non sia già stato rinfacciato, un secolo o solo pochi anni fa, a noi." (Pag. 11).
Gli emigrati italiani spaventavano gli altri facendo troppi figli: "i nostri emigrati facevano in media 8,25 figli a coppia ma... nel Rio Grande do sul ne mettevano al mondo fino a 10, 12 e anche 15, così com'era nelle campagne del Veneto, del Friuli e del Trentino". E questo allarmava le popolazioni locali. C'era l'incubo "dell'orda color oliva" e un giornalista australiano riportava discorsi di questo genere: "Andate a...e mettetevi alla prima cantonata. Sopra cento parole che vi arrivano all'orecchio, è molto se venti sono inglesi. Adesso cominciano a comparire anche insegne in italiano. Se andiamo avanti così, tra qualche anno nel Queensland vedremo i policemen con un cappello da carabiniere e le gondole nel Johnson River". (Pag. 40).
Facendo mestieri oggi inimmaginabili. Lo spazzacamino (e lo facevano soprattutto i bambini, per la loro capacità di "ficcarsi nei tubi come sorci"). Ecco il racconto di uno di questi bambini. Fu portato via quando aveva otto anni: "Fui svegliato alle sei di mattina. Mia madre mi vestì, mi infilò delle caldarroste in tasca e un sacchetto sotto il braccio e insieme a mio fratello maggiore mi trascinò per la strada della Cannobina. Dopo una decina di chilometri avevo le fiacche a un piede... Allora mio fratello mi infilò dentro un gerlo che aveva sulle spalle e mi portò fino a Cannobio. Era la prima volta che vedevo il lago.... Al battello un signore ci attendeva. Si scambiarono poche parole, poi mia madre, all'improvviso, mi strinse forte da farmi male. Sentii che aveva la faccia bagnata. Il battello si mosse, per un po' vidi tante mani alzate, vidi mia madre, poi tutto sbiadì come in una nebbia, non vidi più nulla" (pag. 101).
Il lustrascarpe. Nella rivista americana Life del 1911 c'è una vignetta, intitolata all'homo italicus, con la seguente didascalia:
"Mezzo chilo 'e spaghett' e un fazzolett' al collo,
lo stilett' e calzoni 'e fustagno,
metti l'aglio che inghiott' a boccate bestiali
e un talent' a lustrare stivali".
Il mendicante. Particolarmente diffusa era figura del mendicante italiano con l'organetto a manovella e un animale di accompagnamento, in genere una scimmia, che "infestava" i quartieri londinesi.
"Il razzismo colpì tutti. E fece degli italiani... probabilmente più maltrattati tutti gli stranieri. Gli ultimi degli ultimi..... Nei cantieri, per esempio, questi wops non meritavano di avere la stessa paga dei bianchi e se uno di loro spariva non ci si faceva poi molto caso. Alla fine della costruzione del Canale d'Erie, un capomastro interrogato sul bilancio umano dei lavori si congratulava 'che nessuno è rimasto ucciso ad eccezione di alcuni wops... solo dei wops' . Wop come without passport, senza passaporto. Un nomignolo xenofobo che ebbe fortuna perché suonava foneticamente uàp. Guappo." (Pag. 34).
Uno dei tanti soprannomi usati verso l'immigrato italiano: altri erano dago, che significava all'incirca accoltellatore, babis, che vuol dire rospo, assieme a cincali, dal grido cinque! del gioco della morra, o guinea nel senso di africani, usato soprattutto gli Stati Uniti del Sud dov'era radicato il pregiudizio sulla "negritudine" degli italiani. In un giornale del 6 giugno del 1930 il Judge, c'è una vignetta intitolata "la discarica senza leggi", che descrive l'invasione giornaliera dei nuovi immigrati "direttamente dai bassifondi d'Europa": rappresentati come topi con cappelli e fazzoletti in testa, su cui è scritto "mafia" o "anarchico".
Molti ci lasciarono le penne. "Furono tantissimi i linciati in America: dal 1880 al 1930 almeno 3943. Nella stragrande maggioranza (3220) si trattava di neri, assassinati spesso per i motivi più futili. Dei bianchi (723) buona parte erano immigrati" e, come scrisse il giornale La tribuna, "se la legge di Lynch viene applicata contro stranieri, su cento casi novanta sono italiani" (pag. 20).
E tante altre storie che fanno parte della storia dell'emigrazione italiana. "Una storia carica di verità e di bugie. In cui non sempre puoi dire chi avesse ragione e chi torto.... E se andiamo a ricostruire l'altra metà della nostra storia, si vedrà che l'unica vera e sostanziale differenza tra 'noi' allora e gli immigrati in Italia oggi è quasi sempre lo stacco temporale. Noi abbiamo vissuto l'esperienza prima, loro dopo. Punto." (Pag. 13).
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