Immigrati, la Cassazione "allarga" le frontiere: "Non è reato far entrare clandestinamente i figli"
Roma - L'immigrato che ha un lavoro da noi può fare entrare clandestinamente i figli per "non abbandonarli" nel Paese d'origine. Il comportamento non merita censure, è giustificato dallo "stato di necessità". Lo sottolinea la Cassazione (Prima sezione penale, sentenza 44048) nel bocciare il ricorso della Procura di Trieste contro l'assoluzione dal reato di favoreggiamento dell'ingresso clandestino nel nostro territorio accordata ad un macedone, con un lavoro regolare, che aveva fatto entrare clandestinamente la figlia dodicenne rimasta sola in Macedonia.
La sentenza della Cassazione Ilco R., un macedone 39enne con un lavoro stabile in Italia, aveva portato con sè la moglie e un figlio, per i quali aveva ottenuto il ricongiungimento, mentre aveva fatto entrare clandestinamente la figlia di 12 anni costretto dalla "necessità di non abbandonarla" nel luogo d'origine. Ne era scaturita una denuncia per favoreggimanento dell'ingresso clandestino conclusasi con una assoluzione piena da parte del Tribunale di Trieste, nel dicembre 2007. Contro l'assoluzione, la Procura di Trieste ha fatto ricorso in Cassazione lamentando la "carenza dello stato di necessità" da parte di Ilco R., sulla base del fatto che il padre avrebbe potuto abbandonare il lavoro in Italia e cogliere "le opportunità dell'espansione dell'economia macedone" per non abbandonare la figlia.
I motivi della Corte Piazza Cavour ha respinto il ricorso della Procura e ha sottolineato che il pm "affida la sua censura a considerazioni meramente congetturali afferenti improbabili o evanenscenti scelte alternative di Ilco R. la cui valutazione, a fronte dell'argomentazione dell'impugnata sentenza, non può avere ingresso in questa sede". Per la Cassazione, dunque, il padre immigrato che ha fatto entrare clandestinamente la figlia va assolto perchè ha agito "in stato di necessità" per evitarne "l'abbandono".
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